Presentazione del libro: “Il Faro di Mussolini – Il colonialismo italiano in Somalia oltre il sogno imperiale - Nuova edizione aggiornata” – Autore: Alberto Alpozzi

Presso Fondazione Magellano – via Conte Rosso, 3 – Torino. Venerdì 15 dicembre 2017.

 


 

La ricerca storica, la cui finalità dovrebbe portare alla stesura di una storia condivisa, raggiunge questo difficile obiettivo quando riesce a liberarsi dai condizionamenti ideologici e a tenere sempre conto della contestualizzazione temporale degli avvenimenti.

La storia del colonialismo italiano in Africa, tra eventi indubbiamente tragici, luci e zone grigie, presenta ancora coni d’ombra e di silenzio che meriterebbero di essere esplorati al fine di contribuire in modo esauriente e documentato al complesso percorso di “integrazione e aggiornamento” della storia di questo controverso periodo.

Rientra in questa occasione la presentazione del libro del giornalista e fotoreporter Alberto Alpozzi Il Faro di Mussolini – Il Colonialismo italiano in Somalia oltre il sogno imperiale – Nuova Edizione 2017 – Editore Eclettica che si terrà il giorno 15 dicembre 2017 – ore 20,30 presso la Fondazione Magellano, 3 – Torino.

All’evento culturale sarà presente l’ex Governatore di Guardafui Abdulkadir Yusuf Mohamed.

L’incontro in anteprima con l’Autore ha evidenziato la necessità di far emergere la finalità culturale e l’impostazione del contenuto del libro che pertanto è ampiamente illustrata nella sua nota introduttiva che segue:

“… Scrivere oggi di colonialismo è ancora molto complesso. Spesso le nuove pubblicazioni e ricerche, anziché fornire inediti elementi di conoscenza e riflessione, si riducono a pure e semplici ripetizioni di cliché e condanne tout court che riconducono tutto quanto attiene a questo capitolo storico al solo periodo fascista e ancor più alla sola guerra d'Etiopia (1935-36).

Eppure e intere generazioni di italiani si avvicendarono nelle colonie italiane di Eritrea (dal 1870), Somalia (dal 1889), Libia (dal 1912) e d'Etiopia (dal 1936): leggendo le date è facile constatare come molti dei nostri nonni si trovassero già in Africa ben prima della marcia su Roma.

Certo, avranno considerato la loro visione del mondo, la loro morale, i loro costumi superiori a quelli barbari delle popolazioni locali, ma una valutazione seria dei loro comportamenti non dovrebbe perdere di vista che si era in pieno positivismo: scienziati, storici e letterati europei vivevano nel quadro della situazione caratterizzata dai nuovi sviluppi della società industriale e dalla crescita delle scienze e della tecnica che, secondo il filosofo francese Auguste Comte (Discours sur l’esprit positif, 1844) doveva essere rivolta al miglioramento della condizione dei singoli e della società: portare la civiltà.

Le ragioni alle quali si può tentare di attribuire la difficoltà di condurre un'analisi di confronti di passate narrazioni da diversi (ma documentati!) punti di vista, scevra da ideologie partigiane, sono varie.

Per lungo tempo, e spesso ancora oggi, l'unico approccio allo studio del periodo coloniale concesso, per non essere tacciati di apologia del fascismo, è quello imposto da un certo pensiero unico, che ha voluto porre in luce solo ed esclusivamente gli aspetti negativi (che senz’altro ci furono) ignorando tutti quei valori e modelli positivi, che ci furono anch’essi, che caratterizzarono il fenomeno coloniale che permeò tutta l'Europa per quasi 100 anni.

La storia italiana recente, poi, ha subito una damnatio memoriae basata solo sulla dissoluzione di quelle idee e di quei valori su cui si fondava la società dei primi del '900, che ha accomunato nell’ostracismo anche opere, uomini e azioni che hanno il solo torto di essersi trovati in un dato periodo storico.

Senz’altro una semplicistica divisione del mondo in oppressi e oppressori, vincitori e vinti, che azzera la coscienza critica dei lettori dividendoli solo per schieramenti alla maniera delle tifoserie, è più facilmente assimilabile e quindi ben si attaglia alle esigenze di chi rifiuti, per qualsivoglia motivo, la storicizzazione degli eventi: riconoscere che da una data epoca ad oggi le scale dei valori siano mutate e che la visione del mondo abbia seguito nuove morali rende senz’altro più difficile la compilazione della lista dei “buoni” e dei “cattivi”... per non parlare poi degli studiosi dichiaratamente di parte, i cui lavori non possono che risultare divisivi per loro stessa natura.

Quali che ne siano le ragioni, il panorama storiografico italiano relativo al periodo coloniale evidenzia una predominanza di libri e articoli carichi di acredine, livore e disprezzo verso i nostri padri e nonni quasi non fossero stati italiani, di analisi soggettive che ripropongono quasi ossessivamente gli stessi temi, senza alcuna contestualizzazione o riflessione sulle condizioni politiche, storiche e sociali che determinarono quei fatti ed avvenimenti, fatti ed avvenimenti che riguardarono l'Europa tutta, non solamente l'Italia.

Con una sorta di compiacimento perfino imbarazzante per una nazione matura, è stata presentata per anni un'immagine dell’Italia coloniale estranea non solo a chi la visse in prima persona, ma anche – vorrei dire soprattutto! – a quegli stessi popoli che dall'Italia vennero colonizzati e con i quali per decenni vivemmo a stretto contatto.

La guerra d'Etiopia, con l'utilizzo dei gas e le repressioni sono il cavallo di battaglia di una visione storica ristretta, usato sempre come grimaldello politico-ideologico post 1968 che spesso sorvola su quanto il clima nazionale di quegli anni fosse euforico, al punto di produrre in

Italia un effetto straordinario di coesione nazionale: molti esuli antifascisti tornarono in Italia e partirono volontari per quella stessa guerra voluta dal fascismo.

Benedetto Croce e Luigi Albertini donarono alla Patria, per combattere il sanzionismo, le loro medagliette d’oro da parlamentari. La comunità ebraica di Roma alienò oggetti d’oro della Sinagoga principale per contribuire alla conquista fascista dell'Impero (siamo nel 1935, le ignobili leggi razziali vennero promulgate nel 1938).

Nel 1948, a guerra finita, quando si discuteva sul ritorno dell'Italia nelle sue ex colonie, Palmiro Togliatti scrisse: “Il governo inglese, se proprio vuol dimostrarsi nostro amico, perché invece di cominciare da Trieste, non comincia col dichiarare di essere d’accordo che rimangano all’Italia le sue vecchie colonie?” (L'Unità, 26 marzo 1948). Significherà pur qualcosa, o no?

Perché dunque un libro su un faro dimenticato? Perché dedicare quattro anni di ricerche a un singolo elemento abbandonato nel deserto della Somalia?

Perché dopo la casuale scoperta che feci nel luglio 2013 durante un reportage sulla Missione Antipirateria mi si è aperto un mondo infinito e dimenticato di fatti, di uomini e di elementi storici di cui non avevo mai trovato alcuna traccia nei lavori di quanti, negli ultimi decenni, hanno scritto di storia coloniale.

Andando avanti con la mia ricerca mi sono reso conto di quanto sia necessario portare all'attenzione di tutti quanto sia grande l'ignoranza sulla nostra storia coloniale, quanto essa sia nozionistica e raffazzonata.

Il giudizio su un capitolo storico che si sviluppa a cavallo di due secoli viene basato – quando va bene – sulla riconquista della Libia dopo la 1^ Guerra Mondiale e sull’uso dell’iprite in Etiopia nel 1935. Le vicende coloniali italiane coprono 90 anni di storia: il fascismo ne durò 20 e l'Impero solamente 5. Senza contare la sconfortante confusione geografica tra Libia, Etiopia, Somalia ed Eritrea.

È però consolante che queste ricerche, improntate a una visione storica che si distacca da quella dominante nel nostro paese, abbiano suscitato un interesse in cui, quando mi sono messo a scrivere, potevo solo sperare.

Un interesse testimoniato non solo dal successo editoriale della 1^ Edizione, ma anche dal mio incontro, avvenuto a Torino, nell'autunno 2015, con Abdulkadir Yusuf Mohamed, Governatore di Guardafui, la regione dove si trova il faro. Il nostro colloquio, voluto dal Governatore, ebbe luogo nel Municipio di Torino, con la partecipazione del Sindaco Piero Fassino e del Consigliere Comunale Maurizio Marrone.

Con questo testo, che non tratta della guerra d'Etiopia, tema già molto dibattuto (quasi l'unico dai grandi editori) ma della Somalia, altra nazione con una sua storia e altre date fondamentali non sempre riconducibili al fascismo - non ho voluto né riscrivere la storia né fare revisionismo, semplicemente ho voluto colmare alcune lacune per completare il quadro storico: cosa ci fu nel colonialismo italiano, oltre agli errori e le nefandezze già pubblicate, dibattute e incontrovertibili?

Il 21 novembre 1949 l'Assemblea Generale dell'ONU approvò la Risoluzione 289, con la quale assegnò il territorio della Somalia in Amministrazione Fiduciaria all'Italia, benché, come nazione sconfitta, non facesse ancora parte delle Nazioni Unite.

Il compito assegnato all'Italia fu di guidare gradualmente, in 10 anni (il nostro Governo ne aveva chiesti 30), l'ex colonia all'indipendenza, creandone la classe dirigente e il sistema democratico. È il caso di sottolineare che si trattò dell'unico caso di amministrazione fiduciaria assegnata ad una nazione sconfitta nella seconda guerra mondiale. Anche in questo caso: ci sarà stato un motivo, no?

Basta conoscere i fatti storici per interrogarsi sul perché al tempo della decolonizzazione in Somalia, questa avvenne in maniera assolutamente pacifica e senza problemi mentre in quasi tutto il resto dell'Africa fu contrassegnata da eccidi, rappresaglie e barbarie inenarrabili: la lotta dei Mau Mau in Kenia con eccidi di coloni inglesi, le violenze nella Rhodesia e nel Mozambico, la guerra civile in Algeria...

Per chiudere questa nota, nell'ottica riguardante la ricerca della verità storica, pubblico per esteso in questo libro, tra gli altri documenti inediti, la lettera del “patriota somalo” Hagi Hassan Bersane che nel 1924 richiedeva la restituzione degli schiavi liberati dalle autorità italiane grazie all'azione del Governatore C.M. de Vecchi di Val Cismon.

Lo Sheikh sembrava più preoccupato per la perdita dei suoi schiavi che per altre considerazioni. Rivendicava il diritto di sfruttare e disumanizzare altri esseri umani nati liberi come lui in nome della religione [...] per la prima volta nella sua storia, attraverso la potenza militare e politica italiana, la Somalia fu unita in un’unica società, con un vasto territorio che si estendeva dal fiume Giuba fino all’accesso al Golfo di Aden – comunità precedentemente divise da barriere geografiche”, scrive il professore Mohamed Issa Trunji nel suo libro “Somalia. La Storia mai raccontata 1941-1969 …”.

Si consiglia di visionare il booktrailer: https://www.facebook.com/FaroFrancescoCrispiCapeGuardafui/videos/1156885104445928/

Ad integrazione di quanto sopra illustrato, segue il commento-prefazione dell’ Ex Governatore di Guardafui Abdulkadir Yusuf Mohamed:

“… Alula, Dicembre 2014, ore 06:00. Ero in piedi sul balcone del primo piano di un vecchio edificio italiano di fronte al Golfo di Aden.

Il mio rito mattutino di bere il tè guardando i delfini nuotare nel mare fu interrotto da una telefonata del signor Saleh, ex colonnello dell'Esercito Nazionale Somalo (SNA). Conoscendo il mio amore per la regione di cui ero Governatore, il signor Saleh mi suggerì di cercare informazioni su un affascinante progetto di ricerca sul faro di Guardafui, conosciuto come faro Francesco Crispi.

Scoprendo che qualcuno in Italia stava mettendo così tanto tempo, denaro e sforzi nella ricerca e nella raccolta di documenti storici sull'area tanto cara al mio cuore, mi sono subito incuriosito.

Incerto se sarei stato in grado di stabilire un contatto, ho scritto alla pagina Facebook “Faro Francesco Crispi” per saperne di più sulla persona che stava dietro questo lavoro di ricerca dedicata alla storia dei nostri paesi: la Somalia e l'Italia.

Sono stato felice di avere trovato Alberto Alpozzi e le sue incantevoli fotografie del faro riprese dall'elicottero.

Orgogliosamente svettante sul Corno d'Africa, il faro di Guardafui segna ancora oggi la presenza italiana in Somalia, percepita in tutta l'architettura nello Stato del Puntland: le rovine della stazione radiotelegrafica nel vicino villaggio di Tohen, l'edificio dell'ospedale “Regina Elena” ad Alula e il monumento del Capitano Gatti, conosciuto ancora oggi come "Mad Captain" per il modo in cui difese il faro dalla popolazione locale insieme ad un piccolo numero di ascari.

Questa e molte altre storie sono la testimonianza delle difficoltà affrontate dall'Italia durante la costruzione del faro.

Sospettosi degli stranieri arrivati nella loro terra, la comunità somala locale non vide con favore la costruzione di un faro.

Oltre a questa riluttanza, per non parlare del sacrificio finanziario, non fu facile per il governo italiano di quel tempo costruire il faro anche a causa delle interferenze politiche di Gran Bretagna e Francia.

Che sia amaro o controverso, nessuno può nascondere il passato. Apprezzo la ricerca d'archivio svolta da Alberto Alpozzi che ci insegna tutta la nostra storia comune dimenticata da tempo.

Durante un incontro nel 2015 a Torino con Alberto, siamo stati invitati dal Sindaco Piero Fassino per una riunione ufficiale.

Sono rimasto colpito da quanto a Torino io abbia trovato la mia seconda casa. Abbiamo discusso di come poter rinnovare il rapporto secolare tra l'Italia e la Somalia, magari con un gemellaggio tra le città di Torino e Alula.

Come parte di questi sforzi, sono quindi lieto di presentare il libro IL FARO DI MUSSOLINI, che farà luce su come il governo di Mussolini abbia costruito con esito positivo il faro nonostante i contrasti con la popolazione locale.

Il libro documenta il successo dell'Italia senza il contributo di altri paesi occidentali e la sua opera per il miglioramento della vita della comunità locale.

Non voglio rovinarvi la lettura di questo libro fantastico e affascinante che vi guiderà passo dopo passo dal primo giorno in cui si pensò di edificare un faro a Guardafui fino alla sua costruzione.

Spero che questo testo vi incoraggi a visitare questi luoghi storici e riflettere sulle complesse relazioni tra i popoli. La pacifica regione di Guardafui e del Puntland sono popolate da gente amichevole e ospitale. Spero che queste ricerche ridiano vita ai legami storici tra somali e italiani come io ho già ho avuto il piacere di sperimentare..”.

Abdulkadir Yusuf Mohamed, Ex Governatore di Guardafui

Il libro in oggetto sicuramente copre una lacuna poco nota, confinata per tanti motivi alla marginalità storica e nello stesso tempo evidenzia e ripropone la necessità obiettiva della contestualizzazione temporale degli eventi.

Il Libro è importante per la ricchezza di documentazione e di immagini, utile agli studiosi, da consigliare a insegnanti, studenti e come sempre ai lettori interessati ad approfondire aspetti inediti della nostra storia coloniale.

 

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Articolo pubblicato il 12/12/2017