Legge Fornero? No, legge Napolitano - Monti - Fornero.

Calimero, il pulcino nero.

Tutti ce l’hanno con la prof. Elsa Fornero, tutti le mandano maledizioni, tutti inscenano cortei e le gridano insulti nelle piazze. Perché lei è la ex ministra che ha scritto quella legge di riforma delle pensioni che ha ridotto in miseria molte migliaia di italiani, trasformandoli da lavoratori in esodati.

 

Ma la responsabilità di questa legge famigerata è proprio soltanto e tutta sua? Era lei che, in base a convinzioni personali, aveva deciso di mandare in pensione il più tardi possibile gli italiani e le italiane?

 

O qualcuno che stava al comando, l’aveva convinta che il paese era sull’orlo del baratro e che andava salvato anche con lacrime e sangue?

 

Elsa Fornero era soltanto un’insegnante universitaria che era stata nominata ministra e come tale non poteva agire di sua volontà.

 

Il compito di scrivere quella legge iniqua le era stato imposto, ed a comandarglielo era stato il capo del suo governo, considerato in alcuni ambienti (e tra questi proprio il giornale del suo consorte) un salvatore della patria ed imposto al paese con una specie di colpo di stato.

 

Ossia, un bocconiano, il sedicente economista Mario Monti, che portava in dono agli italiani, nel suo curriculum, un bagaglio di nozioni elitarie, apprese in circoli economici internazionali, quali il club Bilderberg di cui era stato anche presidente.

 

Un uomo algido e supponente che, allora come oggi, aveva nel suo credo solo quello di obbedire alle direttive che l’europa gli faceva pervenire.

 

Sono tristemente note le lettere con i compiti da svolgere, che la Merkel e gli euroburocrati (tra i quali il Monti era stato inserito da Berlusconi) gli facevano pervenire e che gli imponevano di ridurre, costi quel che costi, i requisiti pensionistici agli italiani.

 

Ma Il bocconiano, che, ancor oggi si aggira nelle varie TV del paese, non si era autoeletto. E neppure lui avrebbe potuto dettare alla povera Fornero la legge che porta il suo nome, ma che, già più correttamente, doveva essere definita legge Monti - Fornero.

 

Al di sopra dei due parvenus era in azione un livello superiore, quello della presidenza della repubblica, occupata, in base alla costituzione più bella del mondo (cfr. Benigni), da un personaggio che il popolo italiano non aveva mai eletto: Giorgio Napolitano.

 

 

Un politicante che aveva nel suo passato, oltre ad una acritica adesione all’ideologia totalitaria sovietica, anche una fosca notorietà per avere cavalcato ideologicamente i carri armati sovietici che nel 1956 avevano spento nel sangue la rivolta dell’Ungheria.

 

Per lui, nessuna legittimazione popolare. Solo un accordo tra confuse fazioni politiche lo aveva portato alla carica più alta del nostro paese.

Spinto dalla sua cultura, presa in prestito dall’ideologia marxista, il Napolitano aveva preso nelle sue mani, valicando in molti casi i limiti imposti dalla costituzione, le redini della nazione ed aveva chiamato al governo quello che i “grandi giornali” di allora definivano “l’uomo della provvidenza”.

 

Ossia quel Mario Monti che aveva imposto alla improvvida professoressa di San Carlo Canavese di firmare con il suo nome quella riforma delle pensioni, che ancor oggi è vilipesa da molte migliaia di italiani.

 

Nascondendo le mani con ipocrisia dietro la schiena.

Ed anche ridacchiando, come un qualsiasi Franti bocconiano di fronte alle lacrime consapevoli della sua ministra.

 

Sarebbe corretto pertanto definire l’attuale legge sulle pensioni con un nome più rispondente alla verità: quello di riforma Napolitano-Monti-Fornero.  

 

  

 

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Articolo pubblicato il 12/12/2017