Resistenza. I silenzi colpevoli dell’Anpi.
Silvio Ortona

Perché la verità fa ancora paura?

Per poter leggere giudizi sereni e studi non frammentari sull’antifascismo militante e sulla resistenza, dovremo forse attendere gli storici delle future generazioni che non abbiano risentito del clima di parte, a volte fazioso che ancora si respira ai nostri giorni.

Abbiamo avuto l’onore di conoscere, perfettamente inseriti nella vita civile del dopoguerra, personaggi positivi che, dopo aver rischiato la vita e combattuto giovanissimi, per un ideale, finite le ostilità belliche, hanno recuperato gli anni di studio tralasciati e, senza chiedere  alcunché, paghi delle loro testimonianza, si sono inseriti, con profitto per il Paese, nella vita professionale e produttiva. Costoro sono poco citati dalla storiografia ufficiale, per cui è bene rammentarne almeno il nome, soprattutto a vantaggio dei più giovani lettori.

Innanzitutto i tre Piemontesi medaglie d’oro al valor militare:  Edgardo Sogno, Enrico Martini Mauri e Mario Bogliolo.

Il comunista Nicola Grosa che avanti in età s’era dedicato alla pietosa sepoltura dei suoi compagni periti sui monti; Silvio Geuna, del Comitato Militare del CLN, scampato per un soffio all’eccidio del Martinetto; Il Professor Alessandro Passerin d’Entréves che ha trasmesso a generazioni di studenti, il lucido messaggio di quanto elevato fosse l’anelito che animava gli estensori della Carta di Chivasso, per creare una nuova Italia, dove democrazia, autonomia dei popoli in un contesto europeo allora ancora da costruire,  responsabilizzazione e meritocrazia, costituissero il presupposto per la rinascita della Nazione uscita dal totalitarismo.

Altri di cui, almeno in questa sede, omettiamo i nomi, dopo aver fatto il salto di campo, con velocità supersonica, dalle brigate nere alla pseudo resistenza, hanno trascorso tra onori e gloria la loro vita in Parlamento o nelle redazioni di giornali poi divenuti di regime, additati indegnamente ad esempio.

Ma tutto passa e l’onestà dovrà, prima o poi, trionfare come la realtà storica. Di altri fatti dove la politica o l’espressione ideologica hanno lasciato spazio alla crudeltà fine a se stessa, si dovrebbe almeno aver il coraggio di esprimere una corale condanna.

Nei  giorni scorsi su questo giornale, il professor Giancarlo Pavetto ha riproposto il caso di Pinuccia Ghersi, la povera tredicenne di Noli, violentata e uccisa da un partigiano comunista con un colpo alla nuca, senza un perché. L’opposizione dell’ANPI di Savona alla posa di una lapide a ricordo della vittima innocente delle barbarie, nel settembre scorso è stata sconcertante  per la sua brutalità.

Stiamo ancora aspettando una presa di posizione ufficiale da parte dell’Anpi Nazionale, dopo l’ignominiosa figuraccia fatta a settembre dai savonesi, stigmatizzata anche da esponenti di sinistra.

E purtroppo questo caso divenuto eclatante, si colloca in una scia vergognosa e inevasa.

Come non dimenticare la riprovevole figura dell’ebreo Silvio Ortona, comandante partigiano delle Brigate Garibaldi, omaggiato con l’elezione in Parlamento per conto del Partito Comunista Italiano per più legislature?

Costui è stato il regista e protagonista dell’eccidio dell’ex-Ospedale psichiatrico di Vercelli avvenuto il 12 maggio del 1945, a guerra ormai finita.

Diede l’ordine di uccidere tutti quei prigionieri repubblicani, molti dei quali sedicenni e diciannovenni, che vennero poi barbaramente trucidati dai suoi partigiani comunisti.

Le vittime erano militi della R.S.I. senza colpe particolari e men che meno senza processo alcuno, che furono barbaramente pestati a sangue dopodiché ancora vivi fatti stendere a decine sul piazzale antistante all’ex-Ospedale (laddove vi era un comando partigiano), per essere poi maciullati vivi dalle ruote dei camion che andarono avanti e indietro fino a ridurre tutto ad informe poltiglia.

Ancora oggi i famigliari di quelle vittime, dopo avere tentato per decenni tramite ogni canale possibile, non sono riusciti a conoscere dove i loro congiunti siano finiti o sepolti.

Purtroppo le omissioni o le posizione oscurantiste, all’Anpi sono di casa. Per fortuna però c'è chi ancora oggi quelle storie, documentandosi, le studia. E la verità la racconta.

Una verità che a coloro che oggi si definiscono eredi morali dei partigiani comunisti non piace affatto. Perché dimostra che le loro mani sono molto più insanguinate di quello che per più di settant'anni hanno tentato di far credere.

L’attesa di un gesto di onestà intellettuale, comunque rimane.

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Articolo pubblicato il 15/12/2017