La banalità del bene, la cattiveria salverà il mondo: “L’impero del bene” di Philippe Muray, pamphlet uscito recentemente per Mimesis.

L’obiettivo dei libelli è presto detto: far circolare le idee per risvegliare le coscienze.

Il pamphlet è un genere letterario tipicamente francese. Il tono polemico e veemente con cui l’autore si scaglia contro il nemico, unito alla brevità del contenuto, lo rende appetibile al grande pubblico. L’obiettivo dei libelli è presto detto: far circolare le idee per risvegliare le coscienze. Il titolo uscito recentemente per Mimesis appartiene proprio a questo genere. E l’autore è difatti un francese a tutti gli effetti. Stiamo parlando di Philippe Muray che con L’impero del bene si è meritato l’attenzione di scrittori e intellettuali come Jean Baudrillard e Michel Houellebecq.

Siamo affetti da un Bene incurabile. Un millennio in crisi iperglicemica. Questa è la diagnosi con cui l’autore apre il volume. Ma quale sarebbe il Bene da cui tutti noi dovremmo difenderci? È il nuovo PC, per dirla con Marcello Veneziani: il Politicamente Corretto, il pensiero unico, che vive grazie ai dannosi buonismi che i demoni del bene (definizione di Alain de Benoist) continuano a propagandare per il mondo. Sempre attenti a non dire ciò che potrebbe nuocere la sensibilità del prossimo, abbiamo finito per rifiutare quel che nella vita c’è di duro, di scomodo, di difficile, anche se inevitabile e necessario. Abbiamo smesso di crescere, di maturare, di confrontarci col male. Una società di eterni adolescenti, ecco ciò che siamo. E di eterni giovani, dato che la vecchiaia è ormai un tabù. Esiste solo la terza età, perché i sessanta sono i nuovi quaranta. Non lo sapevate?

Cosa c’è dietro questo comportamento puerile? il rifiuto della morte. Troppo dura, troppo spaventosa, troppo difficile da affrontare. Meglio fingere che non esista, relegarla nel cestino dei rifiuti. E girarsi dall’altra parte. Scrive infatti l’autore:

Viviamo nell’era dello zucchero senza zucchero, delle guerre senza guerra, del tè senza teina, del dibattito in cui tutti sono d’accordo per dirsi che in fondo sì, domani sarà meglio di ieri.

Ci raccontiamo delle bellissime bugie, idealizzando un mondo che non esiste e mai esisterà. E anziché affrontare i problemi preferiamo girarci intorno. È proprio così che un male dilaga, come un cancro. O lo si prende in tempo – prendendo atto della sua esistenza – o se ne viene divorati dal di dentro. È proprio questo che fa il Bene (con la maiuscola). Ecco quello che denuncia Muray nel suo pamphlet, scritto in perfetto stile céliniano. Parafrasando il divo Andreotti del film di Sorrentino, l’obiettivo dell’Impero è il seguente: perpetuare il Bene per garantire il Male. In che modo? Volete un esempio? Prendete il problema immigrazione. La cosa più buona e giusta secondo il Verbo dei demoni del Bene sarebbe accoglierli tutti a oltranza. Non è in fondo un sentimento buono e giusto l’accoglienza? Certo! Peccato che mentre noi ci mettiamo in posa a far bella mostra delle nostre coscienze immacolate, seduti sui divanetti alla moda, fuori dalla finestra si compie il disordine sociale. E potremo continuare a fingere che il problema non esista solo fino a quando la realtà non ci schiaccerà con tutto il suo peso. Allora sarà troppo tardi per una qualsiasi azione correttiva. Ma i buonisti avranno compiuto il loro dovere: propagandare il Bene per perpetrare il Male. Le strade dell’inferno, si sa, sono lastricate di buone intenzioni. Ecco perché l’autore parla di una gestione dell’informazione che fa leva sull’emotività della gente, e ammonisce il lettore dicendo:

Alla furia dei venti caritatevoli non regge più nessuna realtà.

Il libro, ora tradotto in italiano da Francesca Lorandini, è del 1991. Attualissimo, come si può capire. Ma data la velocità con cui la società ha preso a mutare (10 anni fanno ormai un’epoca) alcuni dei temi trattati da Muray nel suo pamphlet appaiono già sbiaditi. Perché le allusioni all’obbligatorietà della coppia e ai buonismi retorici sulla famiglia fanno parte del Bene di ieri ma non di quello di oggi, in cui la società mira a costruire l’individuo assoluto, atomo (a)sociale, slegato, asessuato, sradicato e ridotto a uno: fine a se stesso. Sempre volto all’auto-compiacimento di sé. L’individuo del migliore dei mondi possibili è solo, isolato, narciso, vanitoso, infantile. Ma al contempo sempre corale, segugio delle masse. Finge di avere idee proprie delegando a terzi la designazione dei propri gusti. Un rincoglionito, insomma. Spiega la curatrice Lorandini nel suo saggio introduttivo:

Il terrorismo del Bene ha decretato la fine di ogni discussione: ripetiamo tutti le stesse parole, abbiamo gli stessi problemi, ci piacciono o non ci piacciono le stesse cose. La nostra neolingua è un linguaggio binario. Viviamo in una società che si crede buona e giusta e che pur dichiarandosi laica e secolarizzata ha una fede inamovibile nella propria idea di progresso.

Con le boldrinate d’oltreoceano a cui abbiamo assistito pochi mesi fa, vedendo abbattere statue importanti per la storia statunitense, e non solo, il saggio si carica di un ulteriore significato. Il motivo scatenante queste azioni è stato dettato dalla cattiva coscienza del popolo americano che, in seguito agli scontri sorti durante la manifestazione dei suprematisti bianchi a Charlottesville, vuole rifarsi un’identità nuova nuova, cancellando il passato e atteggiandosi a candidi angioletti con mani conserte e tanto di aureola, dimenticando il suo passato schiavista. E quindi, la parte buona della società americana ha avuto la bella idea di rifiutare la commemorazione di Colombo (per ora solo in alcune città) e di effettuare la rimozione di opere che, in questa linea di pensiero, riconducessero in qualunque modo al razzismo.

Nella lista degli impresentabili, oltre ai nomi dei combattenti sudisti, compaiono anche quelli di Italo Balbo e, persino, di Giovanna d’Arco. In questa maniera, secondo i buoni, ci si lava subito la coscienza nella speranza di essere arruolati nell’esercito del Bene. Il delirio che sta alla base di queste azioni pare evidente. D’altronde, il popolo americano è un popolo di eterni ragazzoni. La cosa non dovrebbe stupire: è in linea con la loro tradizione puerile. Una tradizione che ormai sta diventando anche la nostra, dato che abbiamo preso gli USA come modello da seguire a priori. È infatti sempre più frequente la frase che viene ormai ripetuta senza sosta sul treno, a lavoro, a scuola, al bar, al cinema: in America lo fanno da una vita! Quindi perché non dovremmo farlo anche noi?

Ma poi, in fondo, perché preoccuparsi? Viviamo o non viviamo nel migliori dei mondi possibili? Di più non si può fare, se non attendere che la marmellata democratica venga spalmata sull’intero suolo terrestre.

Siamo liberi. È fatta, basta preoccupazioni, per niente e per nessuno. Adesso ci sono la democrazia pluralista e l’economia di mercato. Adesso ci sono loro a occuparsi di noi, potete dormire sonni tranquilli.

Che pare un po’ la realizzazione dell’aforisma di Flaiano che, ironicamente, esclamava: coraggio, il meglio è passato. Infatti. È col peggio che dovremmo fare i conti. Perché questi buoni sembreranno pure degli angeli, ma agiscono come diavoli. D’altronde lo diceva pure Edmund Burke: perché il male trionfi è sufficiente che i giusti comincino ad agire. Per sopravvivere in questo mondo, dunque, non ci resta che dar retta ai cattivi, ascoltando i loro consigli. Eccone uno che fa al caso nostro: Louis-Ferdinand Céline, l’impresentabile, il mostro, la bestia; il cattivo a cui Muray si è ispirato, omaggiandolo nel suo pamphlet.

Sappiate avere torto, il mondo è pieno di gente che ha ragione. È per questo che marcisce.

La Cattiveria salverà il mondo. È la bontà che lo distrugge. Quindi, un ultimo consiglio: sappiate essere cattivi. E confrontatevi col male; con la realtà, col marcio, con la durezza della vita. È l’unica maniera per arrivare indenni al termine della notte. E assistere così al sorgere di una nuova, possibile luce.

lintellettualedissidente.it

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Articolo pubblicato il 21/12/2017