La Borsalino dichiara fallimento. Eppure, l’azienda piemontese è piena di lavoro
Jean-Paul Belmondo e Alain Delon nell'indimenticabile film "Borsalino"

Meccanismi dell’allegra finanza e duri verdetti affossano le propaggini sane dell’azienda Italia. Rabbia e stupore.(Aggiornamento a maggio 2018. L'azienda ha di nuovo il suo mercato)

La Borsalino, storica azienda alessandrina di cappelli, ha dichiarato fallimento. Il tribunale di Alessandria infatti, ha respinto la richiesta di concordato della Haeres Equita srl, società dell'imprenditore Philippe Camperio, che gestisce l'azienda dopo l'affitto della sua diramazione.

Con la fine dell'azienda, icona di stile italiano nel mondo, affonda un altro prestigioso Titanic del made in Italy. Accade secondo una logica che ormai sfugge al controllo poiché non sono più né la produttività, né il lavoro a stabilire le sorti di un’azienda, ma una vorace e nuova spirale di potere che va oltre il capitalismo. È la mostruosità di un sistema “finanziario d’assalto” che maschera altro. È un drago al servizio di pochi e che divora la nostra storia.

Frammenti di 'Siur Pipen' e il furto del segreto della bombetta perfetta

La celebre fabbrica fu fondata nel 1857 da Giuseppe Borsalino, "u siur Pipen", classe 1834, che di certo non immaginava tutto questo. Per avere la qualifica di Maestro Cappellaio Giuseppe aveva lavorato per 7 anni nel cappellificio Berteil in Rue du Temple a Parigi. Al ritorno, aveva aperto il suo primo laboratorio in un cortile di via Schiavina ad Alessandria insieme al fratello Lazzaro. Ma Siur Pipen pioniere piemontese e ambizioso industriale, voleva far di più. Da qui il suo viaggio in Inghilterra, nazione all’avanguardia, patria di macchine che avevano rivoluzionato il mestiere dei cappellai.

La leggenda narra che nel 1897 il Maestro cappellaio, durante una visita alla fabbrica di Battersby di Londra, furtivamente “pucciò” il fazzoletto nella vasca della 'catramatura', portandosi a casa il segreto inglese per la fabbricazione delle bombette perfette. Nascita del successo, il resto dell’azienda Borsalino è comprovata storia.

Star di Hollywood, gangster e statisti, tutti con il feltro in testa 

Da allora ad oggi, il marchio è diventato un’icona da portare in testa. Un feltro borsalino è stato un segno di distinzione sfoggiato da vip d’ogni rango: Al Capone, Humphrey Bogart, Alain Delon e Jean-Paul Belmondo (nel film Borsalino), Federico Fellini e Francois Mitterand, John Belushi, Michael Jackson… Robert Redford scrisse persino una lettera a un ererde della famiglia Borsalino per avere il copricapo che indossava Mastroianni in “8 e 1/2”. È incredibile come un cappello abbia accompagnato la storia recente del cinema e in parte, anche quella del mondo, finendo persino sull’enciclopedia Treccani, ma ora la  fabbrica sta chiudendo. Per colpa di chi?

Il feltro nelle mani del finanziere senza testa e senza scrupoli

All’origine del fallimento Borsalino c’è il disinvolto finanziere astigiano Marco Marenco, anni 61, ex “re del gas” imputato per la bancarotta  fraudolenta delle sue società, con oltre 3 miliardi di euro per debiti con le banche, imposte e accise non versate all’Erario. Il maggior fallimento in Italia dopo quello della Parmalat.

Marenco aveva deciso l’acquisto della Borsalino, diversificando il suo castello di società dell'energia con un marchio storico della moda. Nel momento del crack  fra le quote di undici società a lui riconducibili e messe sotto sequestro risultava anche il 50,45% della Borsalino oltre al 17 % riconducibile alla Finind, altra società dell’avventuriero, commissariata per bancarotta.

A quel punto, il Cda della Borsalino chiese un primo concordato preventivo. Trattasi di uno strumento giuridico che ha come obiettivo evitare il fallimento attraverso un accordo destinato a individuare una soddisfazione anche parziale dei creditori, pervenire a un risanamento e proseguire l'attività dell'impresa e la Borsalino, di per sé, è una azienda sanissima (La previsione di fatturato 2017 supera 17 milioni di euro). Una situazione grottesca legata a una nuova “piovra” in giacca e cravatta e ora al vaglio delle decisioni dei giudici.

Il futuro dell’azienda sembrava schiarirsi nel maggio 2015 con l’intervento di Philippe Camperio, imprenditore italo-svizzero affittuario del settore della Borsalino attraverso il fondo Haeres Equita. L’imprenditore si presentava con una cordata di associati scelta con gara internazionale, risultando adeguata a dare le migliori garanzie di continuità. Al termine dell’iter previsto dalla legge, Camperio avrebbe assunto il pieno controllo della fabbrica.

Nel frattempo il cappellificio ha continuato a lavorare con profitto e senza contraccolpi. Anzi, le sventure finanziarie sembrano addirittura una botta di pubblicità per l’azienda che lancia il progetto “cappello su misura” nelle sue diverse boutique. Ma a raffreddare gli entusiasmi arriva l'ultimo alt del tribunale di Alessandria, causa giri di capitali sospetti fino al 2012-2013 con società del bancarottiere Marenco. E questo è quanto.

Quale futuro per la storica fabbrica piemontese?

Sempre di più la nostra vita scorre in un perenne dubbio: chi è che imbroglia? Il governo annuncia che le cose vanno meglio, che la disoccupazione diminuisce (grazie alle cooperative da due euro all'ora), ma il debito pubblico aumenta, l'attenzione è rivolta al dramma "salvabanche" e intanto, anche il marchio  Perla, oggi è stato acquisito dai cinesi! Borsalino è un altro marchio che fa gola. Se qualcuno lo acquisterà a prezzo fallimentare, farà certo un buon affare. I dipendenti ne saranno lieti, ma qualche diavolo che fa ormai sia le pentole che i coperchi, si metterà in tasca un altro pezzo di valore. Un pezzo italiano, terra di svendite ormai, inspiegabile fenomeno che va avanti da troppo tempo. Nessuno sembra in grado di invertire la tendenza. Nessuno sembra più interessarsi nel reggere il timone del nostro Paese 

Fino ad oggi - come informa il sito web dell'azienda - la Borsalino aveva dieci punti vendita monomarca di proprietà in Italia e uno a Parigi, oltre ad essere presente nelle boutique e negli stores di tutto il mondo: da Saks Fifth Avenue a Harrod's, da Galerie Lafayette a  Printemps. I dipendenti, increduli e in preda a giustificata rabbia, si affidano ai sindacati, ultima spiaggia. Se si chiude un’epoca imprenditoriale in questo modo, è ben più di un dubbio quel che poi, sotto al cappello resta.

Aggiornamento a maggio 2018

La Borsalino è stata rilevata, dopo lunghe trattative, dall'imprenditore svizzero Philippe Camperio, a cui era stata affidata la gestione dell'azienda e che già si era offerto di rilevarla. 

Un grande sospiro di sollievo per i 154 addetti allo storico marchio italiano e per la città di Alessandria tutta, per la quale il cappello di feltro è un'icona ed un vanto che, nel corso degli anni si è trasformato da prodotto commerciale a vero e proprio oggetto da collezione. 

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Articolo pubblicato il 21/12/2017