29 dicembre 1810: nasce a Roma Ferdinando Augusto Pinelli

Appartiene alla famiglia canavesana dei Pinelli di Cuorgnè (Torino) che ha attivamente partecipato al Risorgimento italiano e ha dato numerosi illustri personaggi anche in tempi più vicini a noi

C’era una volta una famiglia originaria di Ingria, abitante a Cuorgnè, che ad un certo momento decide di cambiare il cognome, nella convinzione di discendere da uno dei partecipanti alla congiura dei Fieschi, avvenuta a Genova, il 2 gennaio 1547. Fallita la congiura, dice un racconto tramandato in famiglia, l’uomo è fuggito per rifugiarsi nell’alto Canavese. La famiglia di Ingria ha il cognome “Pineri” ma, sulla base di questa tradizione familiare, decide di assumere il cognome del fuggiasco genovese, Pinelli.

La famiglia Pinelli ha dato numerosi illustri personaggi, noi ci occupiamo soltanto di Ferdinando Augusto, nato a Roma il 29 dicembre 1810, nel periodo in cui il padre Ludovico (Cuorgnè, 1762-Torino, 1828), magistrato, prestava servizio come sostituto procuratore imperiale in questa città per poi tornare in Piemonte con la restaurazione dei Savoia (1814).

Ferdinando intraprende la carriera militare ed è storico e scrittore di cose militari. È deputato al Parlamento per due legislature, per il collegio di Cuorgnè, dopo la morte del fratello Pier Dionigi, altro importante personaggio risorgimentale (e titolare di una via torinese, nel Borgo San Donato).

Entrato nel collegio di marina di Genova nel 1826, Ferdinando ne esce nel 1831 come sottotenente di fanteria. Nella prima campagna della prima guerra di indipendenza del 1848 è capitano e combatte con valore; nella seconda campagna, il 21 marzo 1849, si distingue a Mortara, dove rimane prigioniero. È premiato con una medaglia d’argento al valore. Alla apertura della scuola militare di fanteria in Ivrea, il governo lo destina fra i primi per l’ordinamento dell’istituto; nel 1851 è giunto al grado di maggiore. Nel 1853, la sua carriera ha una interruzione per motivi di salute: dapprima è posto in aspettativa e poi riformato per malattia. Poco tempo dopo viene nominato colonnello della Guardia Nazionale di Torino.

La guerra di Crimea fa tornare in attività Ferdinando, il quale organizza e comanda il I° reggimento della legione anglo-italiana. Questa unità militare, destinata alla guerra in Crimea, si rivela un infelice esperimento perché è composta soprattutto da indisciplinati e ingovernabili avventurieri. Nel 1856, a Malta, assassinano un ispettore di polizia e commettono altri atti criminali nei confronti della popolazione civile, tanto che Ferdinando dà le dimissioni.

Nel 1859, il conte Cavour lo invia a Bologna con Massimo d’Azeglio per organizzarvi le forze militari del governo delle Romagne, dopo l’allontanamento degli Austriaci. È nominato tenente colonnello e regge il ministero della guerra delle Romagne. Nominato colonnello comandante della brigata Bologna combatte nell’Umbria e nelle Marche, contribuendo alla presa di Ancona e guadagnandosi così la nomina a generale.

E veniamo all’episodio oggi più noto di Ferdinando. Nell’ottobre 1860 è posto al comando di una colonna mobile, formata dalla sua brigata Bologna, da bersaglieri, cavalleggeri, artiglieri ed altri militari ancora, destinata a combattere negli Abruzzi e nell’Ascolano quelli che allora erano detti “briganti”, impedendo anche l’arrivo delle bande che si formavano sul confine romano. Ferdinando conduce una implacabile repressione, adotta durissime misure anche contro la popolazione civile: il 4 novembre proclama uno stato di assedio così rigoroso che Luigi Carlo Farini, luogotenente a Napoli del re Vittorio Emanuele II, deve in parte revocarlo. Ferdinando pone l’assedio alla imponente fortezza di Civitella del Tronto, dove una sparuta guarnigione di soldati borbonici non vuol saperne di arrendersi all’esercito italiano. Per incitare le sue truppe, Ferdinando, il 3 febbraio 1861 da Ascoli, indirizza loro questo proclama:

“Ufficiali e soldati!

La vostra marcia fra le rive del Tronto e quelle della Castellana è degna d’encomio. S.E. il Ministro della Guerra se ne rallegra con voi. Selve, torrenti, balze nevose, rocce scoscese non valsero a trattenere il vostro slancio: il nemico mirando le vostre penne sulle più alte vette dei suoi monti, ove si teneva sicuro, le scambiò per quelle dell’Aquila savoiarda che porta sulle sue ali il genio d’Italia; le vide, impallidì e si diede alla fuga.

Ufficiali e soldati!

Voi molto opraste, ma nulla è fatto quando qualche cosa rimane da fare. Un branco di quella progenie di ladroni ancor s’annida fra i monti; correte a snidarlo, e siate inesorabili come il destino. Contro nemici tali la pietà è delitto; vili e genuflessi quando vi vedono in numero, proditoriamente vi assalgono alle spalle quando vi credono deboli, e massacrano i feriti.

Indifferenti ad ogni principio politico, avidi solo di preda e di rapina, ora sono i prezzolati scherani del Vicario, non di Cristo, ma di Satana; pronti a vendere ad altri il loro pugnale quando l’oro carpito alla stupida credulità dei fedeli non basterà più a sbramar le loro voglie.

Noi li annienteremo, schiacceremo il sacerdotal vampiro, che colle sozze labbra succhia da secoli il sangue della Madre nostra; purificheremo col ferro e col fuoco le regioni infestate dall’immonda sua bava, e da quelle ceneri sorgerà più orgogliosa la libertà anche per la nobile Provincia Ascolana.

Il Maggior Generale Comandante la

colonna mobile degli Abruzzi e dell’Ascolano

Ferdinando Pinelli”.


Ferdinando ne è evidentemente fiero, perché lo invia alla redazione del giornale cattolico intransigente L’Armonia, a Torino, sfidandola a stamparlo. La repressione nell’Ascolano è tanto feroce che il nome di Pinelli diventa una sorta di babau usato dalle madri ancora molti anni dopo per rimproverare i bambini: “Se non stai buono, guarda che chiamo Pinelli!”, come scrivono i giornalisti Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella in un lungo articolo pubblicato dal Corriere della Sera il 1° maggio 2010. Ma a creare problemi per Ferdinando è il suo proclama. Già all’epoca queste dichiarazioni non sono gradite agli alti comandi militari italiani e sono fortemente censurate nelle altre nazioni europee, dove l’insulto al Pontefice è stato largamente enfatizzato dai simpatizzanti borbonici.

Il governo di Torino pone così Ferdinando in aspettativa e lo sostituisce col generale Luigi Mezzacapo, che riesce a ottenere la resa di Civitella: la bandiera del regno delle Due Sicilie è ammainata il 20 marzo 1861, tre giorni dopo la proclamazione del regno d’Italia.

Ferdinando è richiamato in servizio nello stesso anno e destinato a operare nelle province napoletane. A Napoli, incontra il generale Genova Thaon di Revel, il quale racconta la loro conversazione in uno dei suoi libri di ricordi. “Generale, mi raccomando, non più proclami!” dice Thaon di Revel a Ferdinando, il quale risponde: “Oh! Non c’è pericolo. Mi ha costato troppo caro il primo!”.

Ferdinando conduce varie operazioni di repressione ed è premiato con una medaglia d’oro al valor militare, concessa il 9 febbraio 1862, con questa motivazione: “Per i soddisfacenti risultati ottenuti col suo coraggio e per l’instancabile sua operosità nella persecuzione del brigantaggio nelle province napoletane, 1861”. Questa onorificenza è oggi spesso oggetto di polemiche perché non premiava successi militari, ma operazioni di repressione che spesso avevano coinvolto anche la popolazione civile, senza riuscire nella conquista di Civitella.

Nel 1862, Ferdinando ha il comando di una divisione in Sicilia, nel 1863 diviene comandante della divisione militare di Bologna, dove è nominato luogotenente generale. Per ricordare agli italiani la mancata “liberazione” del Veneto, prende posizione con questa incisiva dichiarazione «Io non crederei mai che quattrocentomila soldati italiani sostenuti dall’intera nazione non siano capaci di liberare la Venezia: se lo credessi , come soldato spezzerei la mia spada e come uomo mi vergognerei del nome di italiano». Manoscritta sotto una sua fotografia, questa frase, che riassume le idee di molti patrioti italiani, viene riprodotta in cartolina e largamente diffusa.

Ferdinando non partecipa alla terza guerra d’indipendenza, che porta all’assegnazione del Veneto al regno d’Italia, perché muore il 5 marzo 1865.

Oggi di Ferdinando Pinelli resta soprattutto il ricordo delle campagne repressive da lui condotte nel Sud d’Italia e il suo nome è spesso associato a quello di un altro canavesano, quel Pietro Fumel di Ivrea, autore di un altro infelice proclama per la repressione del brigantaggio, tristemente celebre: proclami concretizzati purtroppo da azioni cruente di reparti militari anche contro la popolazione civile che hanno provocato distruzioni e morti.

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Articolo pubblicato il 29/12/2017