Collezionismo.

L’evoluzione dell’esempio nell’incontenibile passione.

Uno dei ricordi più vivi della mia fanciullezza riguarda i modellini di aerei e navi della prima guerra mondiale che osservavo formarsi quasi per magia grazie alle mani esperte di mio padre. Per qualche tempo, il modellismo divenne per me un’attività molto piacevole, alimentata da una grande passione per la storia che continuo a nutrire ancora oggi. 

In quel periodo – siamo all’inizio degli anni Settanta – molti ragazzi come me si dedicavano a un hobby favorito dai genitori come la mineralogia, la numismatica e la filatelia, che nella maggior parte dei casi aveva vita molto effimera, mentre in altri crebbe fino a diventare maturo, come avvenne per un mio amico appassionato di stelle, che oggi svolge felicemente la professione di astronomo.

Qualche tempo più tardi mi imbattei nella musica classica, l’arte che sarebbe diventata la strada della mia vita e uno dei doni più preziosi che ho ricevuto dal mio mai abbastanza rimpianto padre.

Grazie a lui iniziai a scoprire i grandi capolavori di Mozart e Beethoven e a immergermi nella magia dei concerti, rimanendone profondamente affascinato. 

Fu l’inizio di una grande passione, che mi portò a diventare un assiduo spettatore – scuola permettendo – delle trasmissioni di Radio 3 e a esplorare di nascosto la vasta collezione di vinili di mio padre, un vero e proprio scrigno di tesori per il quale nutriva un sentimento di gelosia che allora mi sembrava del tutto incomprensibile e che oggi condivido in una forma – se possibile – ancora più estrema.

Così, tra un compito di matematica e uno di italiano, in sua assenza iniziai ad ascoltare i dischi che mi incuriosivano di più, spaziando da Bach (i mitici cofanetti delle cantate sacre di Nikolaus Harnoncourt pubblicati dalla Telefunken Das alte Werk in lussuosi cofanetti doppi corredati addirittura della partitura) a Mahler e provvedendo a registrarli su musicassette – che a distanza di oltre 40 anni conservo ancora – per poter avere sempre con me la musica che amavo tanto.

Ecco, questo è il punto: averla sempre con me, possedere i supporti che la contenevano, collezionarli, vedere con malcelato orgoglio crescere sempre di più il loro numero. I ripetuti ascolti mi permettevano di conoscere sempre meglio i lavori più famosi e nello stesso tempo cercavo di imparare a memoria i libretti delle grandi opere liriche, quasi potessi in questo modo trasformarmi per un attimo in tutti i loro personaggi – e pazienza se per qualche volta aveva a soffrirne lo studio della geografia o delle scienze. 

Questo era avvenuto perché nel frattempo ero diventato anch’io un avido collezionista. Ancora oggi non posso fare a meno di pensare con un misto di tenerezza e di rimpianto ai tempi in cui – dopo avere racimolato il denaro necessario – mi recavo nel mio negozio preferito per acquistare un disco nuovo, per poi correre a casa per ascoltarlo con religiosa devozione. 

I sintomi c’erano tutti: ero ormai diventato un collezionista di dischi, un’attività che porto avanti ancora oggi e che mia moglie e le mie figlie tollerano con amorevole indulgenza. 

Rispetto a quei tempi eroici, oggi gli appassionati della grande musica possono contare su strumenti molto più potenti, che consentono loro di ascoltare a poco prezzo (Spotify e Naxos Music Library, per esempio) se non addirittura gratuitamente (YouTube) un’infinità di opere di autori noti e di compositori pressoché dimenticati, un patrimonio immenso, da fare quasi girare la testa.

Si tratta però di un patrimonio virtuale, di una disponibilità sconfinata che finisce per generare in molti un senso di smarrimento, che rende difficile trovare il punto di partenza per un’esplorazione organica, l’unica in grado di garantire una vera soddisfazione.

Per stare in termini astronomici, questa situazione non è diversa da quella di chi si reca su un’alta montagna per ammirare il cielo stellato, ma senza conoscere le costellazioni e le caratteristiche delle stelle principali: in questo modo – dopo l’incanto dei primi momenti – questo spettacolo sublime finisce per venire presto a noia. 

Quanta differenza c’è invece in una collezione di dischi da abbracciare con gli occhi e accarezzare con le dita, ognuno dei quali richiama alla nostra memoria emozioni incancellabili!

Per me e per moltissimi altri appassionati della mia generazione il collezionismo di dischi è stato la chiave che ha aperto un mondo favoloso tutto da esplorare e ha dato vita a una passione in molti casi totalizzante, sia che si svolga la professione di critico musicale sia quella di commercialista, medico o avvocato.

Il progressivo tramonto del disco come strumento fisico – con il suo fascino tattile – e la quasi totale scomparsa della storia della musica dai programmi scolastici hanno finito per rendere la musica classica una forma d’arte sempre più lontana dalla sensibilità e dagli interessi del pubblico – soprattutto giovane, ma non solo – del XXI secolo, che non possiede gli strumenti per capirla e spesso non compie il benché minimo sforzo per comprenderla, limitandosi a etichettarla sprezzantemente come “roba da vecchi” e a snobbarla a favore di generi musicali che qualche decennio fa non sarebbero stati presi nemmeno in considerazione (ovviamente non mi riferisco al rock e al pop d’autore). 

In questo modo sta malinconicamente scomparendo uno dei patrimoni più straordinari della nostra civiltà, un tesoro di capolavori che furono concepiti per dare vita insieme alla poesia, al teatro, all’architettura e alla pittura a un concetto di Bellezza che continua a sopraffarci con la sua maestosa grandiosità.

Per preservare e – magari – trasmettere a chi verrà dopo di noi questa inestimabile eredità non si può fare leva solo sull’impegno delle istituzioni e dei musicisti – che nel nostro paese conducono una vita molto più grama di quella dei loro colleghi di altri paesi più sensibili alla musica – ma ognuno deve fare la sua parte, cercando di sostenere un settore della nostra cultura che merita la massima considerazione.

Non sono richiesti atti di eroismo ma piccole cose, magari assistere a un concerto e acquistare un disco ogni mese (ascoltandolo con amore), niente di diverso da quanto fanno gli editori, che esortano da anni le “persone di buona volontà” a leggere (almeno) un libro al mese. 

Queste lodevoli pratiche possono renderci uomini e donne migliori, in possesso di una sensibilità più profonda e di orizzonti più ampi, in grado di svincolarsi dalle scelte che ci vengono continuamente imposte – magnifico ossimoro! – dai mass media dominanti. 

Per dare il mio piccolo contributo a una causa di tale importanza, ho pensato di proporre sulle colonne – come si diceva una volta a proposito dei quotidiani – di Civico 20 qualche modesto suggerimento discografico, basato sulla mia esperienza di critico.

Tramite questa rubrica non voglio fornire indicazioni sui “titoli assolutamente imperdibili” o suggerimenti per “costruire la collezione perfetta”, perché in rete non mancano di certo risorse anche migliori che si pongono questi obiettivi, ma parlare delle opere e dei compositori dimenticati in cui mi capita spesso di imbattermi sia nelle mie peregrinazioni discografiche sia nei cartelloni delle stagioni musicali a cui collaboro.

Se vissuto con interesse, questo viaggio di scoperta può dare vita a una incontenibile passione, con una sola, seria, controindicazione, costituita dal concreto rischio di cadere in una grave – e nel mio caso incurabile – forma di dipendenza!

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Articolo pubblicato il 27/12/2017