Italiani in Niger, le nuove "volpi" del deserto?

I paracadutisti della Folgore in missione di pace nel fortino della legione straniera. L’ultima frontiera dell’incongruenza per arginare migranti e terrorismo?

L’impresa che mancava e di cui si sussurrava da tempo, ha preso forma, annunciata dal premier Gentiloni: l’invio di un contingente armato italiano in Niger, con lo scopo dichiarato di addestrare l’esercito regolare al contrasto del traffico di migranti, combattere l’attività dell’Isis e contribuire a pattugliare i 600 km di frontiera che separano il Niger dalla Libia. Questo ed altro con un contingente di 470 soldati, un imprecisato numero di mezzi e adeguato supporto aereo. Il contingente va ad affiancarsi a 3000 soldati francesi già presenti sul terreno e si prevede l’intervento di altri reparti europei. Questo è quanto grosso modo trapela dalle prime dichiarazioni. In teoria dovrebbe trattarsi di un intervento “No combat”, gli spunti per un’analisi più approfondita però non mancano, ma cosa conosciamo del Niger?

Si tratta di una Repubblica  sud sahariana di 1.267.000 km quadrati (quattro volte l’Italia) con 20 milioni di abitanti di cinque etnie. Il 93% della popolazione è di fede islamica a pratica sunnita, l’economia è tra le più povere del terzo mondo, ma non mancano ricchi giacimenti, tra cui quelli di uranio, sfruttati da società francesi. Il territorio è per i 2/3 desertico, non vi sono sbocchi al mare, confina con la Libia e con l’Algeria a nord, e poi, con un insieme di regioni molto instabili, scosse da conflitti interni insanguinati da una crudeltà poco documentata e da cui fuggono molti migranti verso la Libia e quindi l’Italia.  Un territorio politicamente instabile che è pacchia per trafficanti d’armi pagati in diamanti, e di interesse per i nuovi colonialismi economici; della Cina soprattutto. La lingua ufficiale del Niger è il francese, il clima è uno dei più torridi del pianeta, quel che non manca è solo la sabbia. A questo punto sorge una domanda: “cosa andiamo a fare lì?"

 

 

Considerando che l’intervento italiano sarà inquadrato nell’operazione euro africana varata dal presidente francese Emmanuel Macron, ma che non ha raggiunto il finanziamento dei 425 milioni di euro necessari, alcune ipotesi sono lecite. Grazie al contingente italiano, la Francia potrà alleggerire le sue truppe che da anni combattono gli Jihadisti nello Shael, pur mantenendo il controllo sull’ex colonia che non rappresenta per noi alcun interesse. È da presumere che l’adesione del premier Gentiloni sia più che altro dettata dal presunto, favorevole eco delle nostre “missioni di pace” auto celebrate a gran voce sui Tg, in vista dell’appropinquarsi dell’appuntamento elettorale.

Non è cosa certa che si tratti di una scelta azzeccata, anche perché le voci dissidenti in parlamento non si sono fatte attendere, ma il consenso popolare, in questo momento di crisi che sta travolgendo il Paese sotto il segno di una informazione sfuggente, non sembra condividere l’entusiasmo di Paolo Gentiloni, anche in virtù dei costi non dichiarati, ma percepibili, di un tale intervento spacciato per altro. Non saranno certo 470 soldati prelevati dallo scacchiere iracheneno, e che sembrano destinati all’avamposto di Madama (ex fortino della legione straniera degli anni 30) a contrastare il flusso di migranti lungo 600 km di frontiera. Anzi, è da presumere che l’ampiezza della zona attraversata da piste di carovanieri, ben si presti per agguati, imboscate e attentati.

Sembra più credibile invece che Gentiloni stia tentando di ridare all’Italia un volto forte in Europa, poiché le azioni del nostro paese non sono mai state così in ribasso. Anche in questo caso l’azione non sembra molto acuta. L’impressione è quella di fare un grosso servigio alla Francia (che tra l’altro già ci ha sottratto grossi interessi economici in Libia), senza averne proprio niente in cambio.

Mentre la propaganda nazionale, avallata dal Vaticano, continua a professare la politica dell’accoglienza, raccogliendo consensi e dissensi, i problemi di povertà, di sfruttamento e di violenza che interessano una vasta area del continente africano e che sono all’origine del fenomeno, non verranno certo risolti da un manipolo di militari italiani, che oltretutto contravvengono all’articolo 11 della Costituzione, una volta ancora ignorata nella sua chiarezza vergata 70 anni fa.

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Il fortino di Madama

L’incongruenza dell’operazione poi si manifesta se si analizza il fatto oggettivo: Si spedisce un contingente militare tra le sabbie del deserto per fermare i flussi migratori (e poi farne che?), quando sarebbe assai più semplice, economico, logico e soprattutto corretto, riconsegnare alla Guardia costiera libica (alla quale forniamo addestramento e mezzi) i migranti illegali soccorsi in Mediterraneo dalla nostra Marina, affinché siano rimpatriati così come previsto dall’Onu. Due comportamenti diversi per Esercito e Marina.

È un mistero in più, tra il labirinto di tanti, che sfugge anch’esso all’attenzione di chi scrive, distolto dalle sue origini e da remoti racconti di una famiglia in cui si contano un paio di colonnelli di cavalleria. Storie d’altri tempi, ma forse la ministra della difesa Roberta Pinotti ha ben chiare le strategie. Si attende una spiegazione dettagliata che anticipi... sorprese dal fronte.

 

 

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Articolo pubblicato il 28/12/2017