La “Torino noir” vista e narrata da Milo Julini

30 dicembre 1922: cinque morti in piazza Castello

Sul finire del dicembre del 1922, il nuovo governo, presieduto da Benito Mussolini, decide – con altri provvedimenti riguardanti le forze di polizia - di sciogliere, a partire dal 1° gennaio 1923, la Regia Guardia per la Pubblica Sicurezza, nata tre anni prima, il 2 ottobre 1919, per sostituirla con la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale.

Gli appartenenti alla Regia Guardia potevano inoltrare domanda, senza automatismo, per essere arruolati nell’Arma dei Carabinieri. Nei fatti poche migliaia di guardie regie transitavano nell’Arma, per riempire l’organico degli istituendi Battaglioni mobili; le regie guardie provenienti dalle Forze armate e dalle Forze di polizia ritornavano ai corpi di provenienza, senza però vedersi riconosciuto l’eventuale grado maturato e qualche migliaio veniva licenziato perché non idoneo. Questa decisione del governo colpisce le guardie regie che protestano animosamente in tutta Italia.

Il 30 dicembre, a Torino, dove sono acquartierate almeno 2.600 guardie regie, la protesta parte dalla caserma “Carlo Emanuele” di via Giuseppe Verdi, dove le guardie si barricano e rifiutano di obbedire agli ordini dei loro superiori.

Verso le ore 21:30, dalla “Carlo Emanuele” parte un corteo formato da alcune centinaia di guardie regie, armate di pistole e moschetti. I dimostranti si avviano verso la caserma “Cernaia”, da cui escono almeno altri 200 commilitoni per unirsi alla protesta. Si dirigono verso piazza Solferino, si diramano per via Bertola fino a raggiungere via Garibaldi e via Piave, dove si trova un’altra caserma, la “San Luigi”, dove le guardie regie non sono insorte e si mantengono calme malgrado l’arrivo di un gruppo di sediziosi che tentano di abbattere la porta ma vengono allontanati dai carabinieri.

Gli agenti in protesta si dirigono verso piazza Castello, diretti alla Prefettura, e intanto sparano in aria numerosi colpi d’arma da fuoco, gettano bombe a mano e gridano contro il governo: “Abbasso Mussolini!” e “Viva Lenin!”. Le guardie regie, che si sentono ingannate ed umiliate, inneggiano al leader bolscevico russo in contrapposizione al Duce, come per sfida e non come presa di posizione politica. Ma questo provocherà la reazione fascista.

Se fin dall’inizio dell'ammutinamento, gli ufficiali della Regia Guardia e dei Carabinieri hanno cercato di impedire che si uniscano gli altri militi delle varie caserme cittadine, dialogano con gli agenti e cercano di riportarli alla calma, per prudenza hanno anche richiesto l’intervento di autoblindo e truppe del Regio Esercito che si sono schierate intorno alle caserme delle guardie regie, bloccandone le uscite. La mobilitazione dei militari è imponente, impressionante per il ricorso alle autoblindo «lugubri ordigni di guerra che da molto tempo non facevano più la loro comparsa in pubblico» come scrive il cronista della “Gazzetta del Popolo”. Malgrado questo non si sono verificati scontri cruenti con gli ammutinati.

L’episodio veramente grave della serata avviene in piazza Castello per uno scontro a fuoco tra fascisti e guardie regie. I fascisti torinesi, dopo essersi riuniti in gran numero nella loro sede in corso Cairoli e in altri luoghi di concentramento, sono accorsi in questura, in piazza San Carlo, per mettersi a disposizione dei funzionari. In breve, alcune centinaia di appartenenti alle varie squadre si sono radunati nell’atrio della questura, al comando di Piero Brandimarte. I fascisti sono risentiti e indignati per l’accaduto e per le grida sovversive lanciate dagli ammutinati. Così, verso le 23, da piazza San Carlo si dirigono inquadrati in piazza Castello dove avviene lo scontro col corteo di guardie regie ammutinate. Scoppia una breve ma violentissima sparatoria: la guardia regia Fortunato Arcuri, di 21 anni, è colpita alla testa da un proiettile e muore durante il trasporto all’ospedale di San Giovanni. Altre tre guardie regie muoiono in questo scontro, Antonio Correnti, di 25 anni, Alfredo Leone, di 22 anni, anche lui colpito alla testa, e Vincenzo Pagliano, di 21 anni.

All’Ospedale di San Giovanni viene portato anche il giovane squadrista Giovanni Porcù del Nunzio, studente universitario in lettere, di origine sarda, che ha riportato una ferita d’arma da fuoco al basso addome. Restano feriti altri otto tra agenti e militari.

Nella serata, un piccolo gruppo di guardie regie cerca di assaltare la sede del Fascio, in corso Cairoli, ma questo tentativo viene subito sventato dagli stessi fascisti. Rimane così ferito Aldo Volpino, studente diciottenne, colpito da una pallottola alla coscia destra.

Verso l’una della notte, l’ammutinamento torinese appare sedato. Pattuglie di fascisti, di agenti e di soldati chiudono i ribelli nelle caserme e provvedono a disarmare gli elementi inaffidabili. Le proteste delle guardie regie continuano, in altre città, per diversi giorni anche dopo lo scioglimento del Corpo.

Il ricordo di questo doloroso episodio è stato celebrato nella nostra città dedicando tre vie ad altrettante guardie regie cadute nel c.d. “biennio rosso” (1919-1920): Vincenzo Nazzaro (ucciso il 22 settembre 1920 da un colpo di pistola sparatogli freddamente alla testa), Luigi Santagata e Mario Crimi (uccisi il 23 settembre 1920). Questi tre caduti, pur appartenenti alle guardie regie, sono stati onorati come martiri torinesi della rivoluzione fascista e, in loro ricordo, sono apposte tre lapidi nel cimitero Monumentale.

Il fascismo ricorda questa triste vicenda anche commemorando il giovane ucciso Giovanni Porcù del Nunzio. Nel 1938 gli viene dedicato il Gruppo Rionale Fascista in zona Mirafiori, opera in stile razionalista degli architetti Mario Passanti e Paolo Perona, in corso Stupinigi angolo corso Agrigento (oggi corso Unione Sovietica angolo corso Eusebio Giambone) su cui campeggiava la scritta “Gruppo Rionale Fascista Giovanni Porcù del Nunzio”. Nel 1939 in piazza Castello, luogo della sua morte, di fianco al monumento ai Cavalieri d’Italia, è posta una scultura commemorativa in suo onore, inaugurata dal Duce Benito Mussolini il 15 maggio 1939, in occasione della sua visita a Torino.

Di queste ricordi oggi restano le intitolazioni toponomastiche - fortunatamente rimaste invariate dopo il 25 aprile 1945 - e le lapidi nel Cimitero Monumentale che sono state recentemente restaurate dal benemerito intervento dei volontari di Imago e militanti di Legio Subalpina in collaborazione con l’Associazione Memento e con il Gruppo di Ricerca storica "LAltra Verità". L’edificio del Gruppo Rionale Fascista, attualmente è sede di una caserma della Polizia di Stato, su cui è ancora possibile decifrare la scritta le cui lettere sono state divelte alla fine della guerra.

È invece sparita la scultura posta in piazza Castello in ricordo di Porcù del Nunzio. Il 26 luglio 1943 quando si sparge la notizia della caduta del fascismo, un gruppo di dimostranti la fa a pezzi, con altri simboli del caduto regime: la sua testa bronzea viene staccata, trascinata verso Palazzo Reale e poi lungo via Roma fin quasi a Porta Nuova per poi sparire, mentre la stele in pietra che reggeva la testa viene abbattuta a colpi di mazza ferrata.

Per la ricostruzione di questo doloroso episodio torinese ho utilizzato le informazioni fornite dal sito “cadutipolizia.it”, alle voci Fortunato Arcuri, Antonio Correnti, Alfredo Leone, Vincenzo Pagliano, e dall’articolo di Fabrizio Gregorutti intitolato “Carne da cannone”, ai quali rimando per eventuali approfondimenti.

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Articolo pubblicato il 30/12/2017