La comunità scientifica è in fermento. Grazie alla notevole preparazione tecnica dei chirurghi ed alla possibilità di disporre di tecnologie sempre più evolute e raffinate, l'asticella dei limiti da superare è stata posta ancora più in alto ed è un chirurgo italiano che ha osa tentare di realizzare quanto fino a non molti anni fa sembrava un'impresa impossibile: il trapianto della testa.
Sergio Canavero, il chirurgo italiano che intende tentare sul vivente questa improbabile (al momento) e difficoltosa operazione, ha studiato e si è laureato all'Università di Torino, città in cui ha lavorato per 22 anni con l'idea fissa di innestare una testa umana su un altro corpo umano. Questo può sembrare al tempo stesso un atto barbaro e strampalato; molte persone si rifiutano di accettare una simile eventualità eppure, a dispetto dei numerosi ostacoli tecnici ed etici che si pongono di fronte a un simile intervento, un'altra corrente di pensiero ritiene che una tale operazione potrebbe salvare le persone il cui corpo malato non consente loro una vita dignitosa.
Canavero, per prepararsi all'intervento sull'uomo, ha già compiuto esperienze simili su dei roditori ed ha anche già descritto l'innesto, a suo dire riuscito, della testa di un topo sul corpo di un altro roditore. Non solo, ma l'intervento sarebbe stato replicato su altri animali ed avrebbe ottenuto parecchi topi a due teste che hanno vissuto, in media, 36 ore.
Le persone potenzialmente interessate a questo intervento potrebbero essere pazienti tetraplegici, o malati colpiti da malattie che non lasciano scampo o affezioni fortemente invalidanti nei vari distretti corporei, senza coinvolgimento della testa. Pazienti con neoplasie in fase terminale, tetraplegici o affetti da malattie croniche potrebbero essere fra i primi a richiedere un simile intervento che, almeno su di un piano teorico, potrebbe risolvere il loro problema.
Per quanto riguarda lo svolgimento dell'intervento, la procedura descritta a grandi linee ed in modo assai superficiale, dovrebbe consistere nella rimozione della testa del paziente che verrà trapiantata sul corpo del donatore, il quale dovrà essere adeguatamente predisposto a riceverla. La testa viene posta in ipotermia, a 15 °C, in modo da diminuire l'attività metabolica dell'encefalo, al fine di limitare i danni causati dagli inevitabili tempi morti del trasferimento. A livello del collo vengono sezionati i muscoli, i vasi sanguigni, la trachea e l'esofago, mantenendo intatta la tiroide. La stessa operazione viene realizzata su di un paziente in stato di morte cerebrale, il cui corpo è integro e le cui dimensioni ed il sesso sono compatibili con quello del donatore.
E' chiaro che un intervento simile non può prescindere da una organizzazione perfetta ed è richiesta l'opera di un gran numero di chirurghi e personale altamente specializzato; si prevede che siano circa un centinaio di persone che dovranno coordinare i numerosi passaggi richiesti da un simile complesso intervento. Ma tralasciando i particolari tecnici relativi all'operazione in se, in particolare il ripristino delle connessioni nervose di pertinenza specialistica, rintracciabile nei testi dedicati, viene spontaneo interrogarsi sulla liceità o meno di un simile intervento sull'uomo.
La tematica è quasi degna di un lavoro di fantascienza e permette di comprendere lo stato di avanzamento delle nostre possibilità tecniche che hanno portato la comunità medica ad affermare con decisione che una simile procedura è straordinariamente controversa, considerando lo stato attuale della nostra tecnologia medica. La paura è che vi possano essere effetti sconosciuti, non correttamente prevedibili ed è probabile che tale operazione possa determinare danni molto gravi per il paziente, presumendo che questi riesca a sopravvivere alle prime fasi dopo l'intervento.
Il problema reale è che al momento attuale, nonostante il fiorire di dibattiti e discussioni a vari livelli, vi è ancora una notevole scarsità di dati attendibili relativi alla ricerca scientifica riportati dalla letteratura. Non vi sono infatti relazioni riguardanti un protocollo di trapianto di testa da cui risulti la standardizzazione della procedura e che ne attesti la sua perfetta riuscita. Ma a queste incognite di carattere per lo più tecnico, si associa il problema fondamentale riguardante la coscienza di un individuo che verrà a essere trapiantata nel corpo di un altro soggetto, con la sua personalità ed i suoi ricordi. Recenti studi sulle scienze cognitive hanno suggerito, che il riconoscimento del proprio corpo non origina solamente all'interno dei tessuti dell'encefalo, ma gli esseri umani acquisiscono la coscienza corporea con un meccanismo cui partecipa il corpo stesso.
E' possibile pertanto che un individuo sottoposto ad una procedura di trapianto di testa possa incontrare difficoltà psicologiche nell'adattarsi al corpo nuovo e provvedere a questo, difficoltà che al momento non sappiamo quantificare. Su di un piano teorico potranno esserci alterazioni drammatiche nella personalità dell'individuo, addirittura alcuni ricercatori sospettano che possano venire alterati i ricordi soggettivi.
Mentre questi sono problemi certamente seri, il vero problema al momento è quello di ottenere uniformità di regolamentazioni internazionali in grado di disciplinare una tecnica che, come tutto in campo medico potrebbe, in futuro, rivelarsi molto utile nella cura delle più svariate malattie per cui, al momento, non si intravede una via di guarigione.
Gli organi preposti alla salvaguardia dell'Etica della ricerca e fra questi il Belmont Report, Il Codice di Norimberga, Il Consiglio per Organizzazioni Internazionali delle Scienze Mediche (CIOMS), per citare alcuni fra i più importanti enti posti a tutela della dignità umana, dovranno presto affrontare questa nuova complessa tematica, impegnandosi a far rispettare l'autonomia del paziente, controllando che vengano compiuti solamente esperimenti per cui esista una prospettiva ragionevole di beneficio, prima di passare alla realizzazione pratica. Solo in tale modo verrà salvaguardato e rispettato il Giuramento d'Ippocrate che lega ogni medico all'etica tradizionale facendo si che vengano somministrate ai pazienti solo terapie sicure ed ampiamente testate con criteri scientifici, in modo che possano offrire reali benefici escludendo, o per lo meno, cercando di limitare ogni possibile danno che possa derivare al malato il quale chiede, in ultima analisi, di ritrovare il proprio stato di salute ottimale.
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Articolo pubblicato il 07/01/2018