L'EDITORIALE DELLA DOMENICA DI CIVICO20NEWS - Francesco Rossa: Elezioni: Il trionfo dei predatori, pauperisti e fannulloni.

Le cavolate deleterie urlate dai politicanti hanno raggiunto livelli insuperabili.

Non è ancora partito lo sprint finale degli affamati candidati per strapparsi il seggio della sopravvivenza a Montecitorio o a Palazzo Madama.

Il mercato delle vacche che ha contrapposto papabili e potenziali defenestrati all’interno delle coalizioni, con lacerazioni trasversali non da poco, si chiude oggi tra clamori e delusioni.

In queste settimane a ritmi crescenti abbiamo subito il vociare scomposto ed osceno dei leader che noncuranti della situazione dei conti pubblici e dei dati allarmanti sul ruolo dell’Italia nel mondo, diffusi a Davos, continuano imperterriti con demagogia e incompetenza a promettere tutto e il contrario di tutto, sapendo di mentire spudoratamente. Ovviamente ricalcano la peggiore scia italica dell’irresponsabilità.

“L’Italia è l’assoluto fanalino di coda dell’eurozona, messa anche peggio della Grecia“. Lo sostiene il quotidiano tedesco Die Welt in un articolo  intitolato Se i greci lasciano indietro gli italiani pubblicato il 25 gennaio. Secondo il quale il timore degli economisti delle banche d’affari è che alle prossime elezioni, indipendentemente da chi vinca, “non c’è da aspettarsi riforme di base”, dice Timo Schwietering, analista della banca Metzler.

“Solo riforme radicali, come in Grecia, potrebbero cambiare qualcosa”, dice il quotidiano di Berlino. “Ma cose del genere non sono nel programma elettorale di nessuno dei contendenti alle elezioni”.

Mentre sarebbe necessaria soprattutto una riforma dell’amministrazione: “Le prestazioni sono scarse e per giunta care”. Un permesso di costruzione costa tre volte in più che in Germania, un procedimento giuridico in Italia dura 3 anni, in Germania uno e mezzo…

Siamo sommersi dalle molte fallaci promesse dei politicanti e schifati dagli anatemi del più incolto tra i leader, quel Di Maio ex studente ed ex in tutto, dignità inclusa che agita la mannaia contro le comunicazioni veloci e lo sviluppo industriale del Paese e verso coloro che, avendo lavorato e prodotto con impegno per oltre quarant’anni, si sono illusi di ricavarsi una vecchiaia migliore, prima che costui emergesse dalle guapperie napoletane, con l’esplicita minaccia di rapinare le pensioni legittimamente sudate.

Complice il retaggio, di una formazione culturale clerico- marxista impastata con la demagogica lettura dei testi evangelici, l’italiano medio rimane attratto dalla panzane ed è ancor oggi un acritico tifoso del passaggio del cammello dalla cruna dell’ago.

Una effimera rivalsa mentale con cui chi “non arriva” legittima il proprio livore e l’espressione della peggiore invidia sociale verso chi produce e possiede.

Così, nella standardizzata ipocrisia generale, siamo rimasti il paese più miseramente socialista dell’Occidente; quello in cui riuscire è una colpa, e mostrare gli esiti del proprio successo diventa disdicevole.

E si perdono il senso della realtà, e della storia stessa dell’uomo. Che se sin dai nostri più lontani antenati non avesse immaginato, provato, rischiato, per cambiare e per crescere, oggi ancora gireremmo coperti da pelli di animali braccati a scopo alimentare.

Fortunatamente la Persona, secondo la definizione di Severino Boezio, è un essere irripetibile, dotato di altissima dignità e concretezza e, a dispetto dei teorici della decrescita felice, è sempre stato “homo oeconomicus”.

Ha applicato la propria razionalità per progettare, costruire, produrre, risparmiare, reinvestire e migliorare in continuazione, secondo un circolo virtuoso che nessun sacerdote del pauperismo potrà mai separare dalla nostra natura.

Ricerca scientifica, trasporti, sanità, assistenza, servizi, previdenza sono cresciuti con lo sviluppo dell’uomo, grazie alla sua capacità d’ingegnarsi e di produrre ricchezze e destinarle al miglioramento delle condizioni di vita della propria specie.

Oggi invece, il benessere in Italia è malvisto, salvo che ciascuno poi cerca di perseguire il proprio addebitandone i costi ad una impersonale società; che poi – secondo la più classica definizione del socialismo, significa campare alle spalle altrui predicando l’egualitarismo, ovvero il sistema per abbassare i capaci al livello dei mediocri e dei fannulloni.

Non ci si può assuefare al pensiero unico, oggi predicato da tribuni incolti che pretendono di comandarci, calpestando la dignità dei cittadini e portandoci nel baratro, riuscendo anche ad abbattere il principio di meritocrazia nell’insegnamento!

Crediamo in chi rischia e produce; ci battiamo perché il cittadino possa godere dei risultati del suo impegno. Riaffermiamo in antitesi alle tesi sostenute dalla seconda carica dello Stato che sta dando spettacolo, sulle piazze d’Italia della propria incultura e dabbenaggine, il diritto alla disuguaglianza ed all’ambizione ad arrivare più lontano degli altri. Ferma restando l’uguaglianza delle regole.

Intendiamo ribattere alle tesi qualunquiste e forcaiole su cui si fonda il dibattito odierno, in cui le peggiori “bufale” assurgono a ruolo di verità inconfutabili.

Facciamo qualche esempio.

“Tagliare le tasse è sbagliato, e se proprio si deve, si cominci dai redditi bassi”.

Ora, non c’è bisogno di essere docenti di diritto tributario per sapere che in Italia, tra fasce di esenzione, detrazioni e sconti, chi ha poco paga quasi nulla. Ma bisogna essere ipocriti per non riconoscere il diverso effetto che si avrebbe sull’economia generale di tutti, se anziché regalare 960 € all’anno ( gli strombazzati, 80 €/mese, rapinati ai risparmiatori da Renzi) a chi paga poche o zero tasse si abbassasse di diversi punti percentuali il prelievo a chi – individuo, famiglia, o azienda che sia -avendo in tasca una quota maggiore del proprio denaro potrebbe generare un consistente aumento dei consumi.

“E’ necessario redistribuire il reddito”.

Tradotto, significa alimentare l’idea che si possa stare anche a casa a far nulla, tanto da qualche parte c’è lo scemo di turno che rischia, lavora e produce, cui poi si sequestreranno i risultati per spartirsi il bottino.
E’ la logica, aberrante del “reddito di cittadinanza”, secondo il quale lo Stato schiavizza l’elettore del quale conquista il voto assicurando una rendita purchessia come se – ancora una volta – i soldi dello Stato fossero prodotti in proprio e non provenissero dalle tasche di chi li ha generati.

“Bisogna introdurre la patrimoniale”.

A parte che la tassazione di immobili e rendite finanziarie già costituisce una patrimoniale, ci siamo mai chiesti cosa rappresenti una imposizione di questo tipo? Significa far pagare le tasse su beni che si sono cumulati negli anni, sommando i risparmi sui quali anno per anno si è già abbattuta la scure del fisco. Si tratta, in altri termini di ripetere ogni anno la tassazione sugli stessi redditi già colpiti alla fonte; concetto che dovrebbe essere palesemente incostituzionale in un paese che non fosse viziato dalla sbornia dello straccionismo militante.

“La ricchezza mondiale si sta concentrando nelle mani di una percentuale sempre più ridotta di popolazione”.

Non è così, dati alla mano. Non è che diminuisce il numero dei possidenti; è che l’ esplosione demografica delle aree più arretrate del pianeta estende ed estenderà a dismisura il numero dei nullatenenti che non sapranno come mettere insieme pranzo e cena.
Ma anche qui, la mafia che gestisce il fiorente business delle accoglienze (associazioni, ong, sindacati, parrocchie, e quanto altro di peggio offra il panorama dell’internazionale del terzomondismo) considera più conveniente speculare sull’emotività generata dalle disgrazie di gente cui non potrà comunque essere garantita miglior sorte, piuttosto che investire a livello globale con un piano formativo idoneo a ridurre il degrado e favorire l’inserimento responsabile e ordinato di parte di costoro in aree competitive.

Purtroppo Luigi Einaudi, Vilfredo Pareto e Stuard Mill, pensatori ed economisti che con i loro insegnamenti hanno favorito nel decenni passati, la crescita dei popoli, oggi in Italia sono oscurati da ignoranti tribuni pressapochisti che vomitano slogan, che neppure riescono a comprendere, ma funzionali a chi del degrado di un popolo ne potrà trarre vantaggio.

Concludiamo affermando che se in Europa – ed in Italia in particolare – non si tornerà a incentivare, favorire ed agevolare la produzione di ricchezza, i primi che ne pagheranno socialmente le conseguenze saranno proprio quelli che ricchi non saranno mai, ma che necessitano di un sistema in cui vi sia chi può spendere, consumare, generare lavoro, investire, e consentire livelli di welfare che – viceversa – dovremo dimenticare in meno di una generazione.

Francesco Rossa
Direttore Editoriale
Civico20News.it

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 28/01/2018