La “Torino noir” vista e narrata da Milo Julini

Il «povero Otello invecchiato e da strapazzo» di via Porta Palatina, n. 17

La location di questa vicenda si colloca nella Sezione Dora di Torino, una delle più antiche del tessuto urbano cittadino, dove le case sono spesso di impianto medievale, talvolta innalzate su fondamenta di epoca romana, e le vie appaiono anguste, tenebrose e con andamento serpeggiante. Oggi vediamo la Sezione Dora dopo il risanamento promosso nel 1885 dal sindaco Ernesto Balbo Bertone di Sambuy (1837-1909) e realizzato negli anni seguenti con il taglio della via diagonale IV Marzo, dedicata alla concessione dello Statuto Albertino nel 1848.

In questo spazio urbano degradato, il cronista giudiziario descrive, sulla “Gazzetta Piemontese” di mercoledì 17 luglio 1889, un gruppo di persone conviventi, moralmente degradate, dove matura quello che oggi diremmo un “femminicidio”.

Per la donna e per il pane.

Vinai Maria, una povera donna unita in concubinato con Fruttero Giovanni, abitante in via Porta Palatina, N. 17, aveva quali suoi inquilini certi Francesco Raffaele e Brunero Giuseppe, il primo giovane e il secondo vecchio, entrambi amanti di lei nelle ore di riposo che lo concedeva il suo titolare Fruttero Giovanni. In quella società costituita su buone basi femminine in principio le cose procedettero bene; Fruttero, il titolare, dormiva nella stessa stanza di lei nel cubicolo matrimoniale; Raffaele, il più giovane dei due inquilini su di un sofà in quella stessa stanza e Brunero, il vecchio, in una stanza attigua assieme ad un terzo inquilino.

Brunero, che prima aveva avuto ambo lo chiavi del cor della Vinai, lo perdette il giorno che entrò nella società Raffaele, più giovine di lui, ed egli, il vecchio, se ne doleva; ma, affezionato alla Vinai, non sapeva staccarsene, tanto più che era vincolato a quella società dall’interesse. Lavorava in comune con Raffaele e dividevano i frutti del lavoro, per quanto egli, vecchio, facesse meno lavoro del compagno.

Un bel giorno però il Raffaele si stancò di quella comunione di donna e di lavoro ed incaricò la Vinai (proprio lei!) di dire al Brunero che d’allora in poi voleva lavorare da solo; facesse egli Brunero altrettanto.

La Vinai, che a quanto pare desiderava farla finita col vecchio, il quale cominciava a lasciarsi prendere dalle velleità stupide della gelosia, fece di gusto la commissione, ed il Brunero le rispose pigliandola per il collo e dicendole: «Tutto per colpa tua».

Poi l’amante ripudiato in quel giorno stesso narrò la cosa al Fruttero, il socio ufficiale, avvertendolo che la Vinai lo tradiva col Raffaele; ma il Fruttero, tetragono a quei colpi di sventura, non ne fece caso.

Si giunse cosi tempestosamente sino al 22 del mese di gennaio. In quel giorno Brunero, irritato sin dalla mattina, non si sa se per gelosia o pel danno materiale della società di lavoro che si scioglieva o pel vino bevuto alla sera prima (un lunedì votato alla poltroneria), rimuginava propositi di vendetta.

Verso le otto, pochi minuti dopo che la Vinai era uscita di casa per andare a fare qualche piccola compra, entrò nella stanza di lavoro dell’alloggio, prese dal tavolo un trincetto arrotato giorni prima, esclamò: «Oggi voglio fare una cattiva fine» ed usci.

Poco dopo si udirono grida di donna invocanti aiuto. Era la Vinai, su cui il Brunero, armato di trincetto, aveva fatto la sua vendetta.

L’aveva colpita col trincetto al fianco destro, producendole una larga ferita che fu causa quasi istantanea della morte di lei.

Il Brunero si diede alla fuga, e dopo aver bevuto lungo la strada un paio di bicchieri di branda come ultimo saluto alla libertà, andò a costituirsi all’ufficio di Questura dicendo che aveva ucciso una donna.

Povero Otello invecchiato e da strapazzo!

Nel suo primo interrogatorio confessò che sua intenzione nell’armarsi era stata quella di colpire la Vinai, di cui si voleva vendicare.

Venne per ciò e per altri indizi rinviato alle Assise sotto l’imputazione di «assassinio, per avere in Torino, nel mattino del 22 gennaio 1889, con premeditazione ed agguato, volontariamente tolta la vita a Vinai Maria mediante colpo di coltello alla regione toracica destra penetrante al cuore».

I giurati nel loro verdetto esclusero l’omicidio con premeditazione ed agguato, ammisero il ferimento seguito da morte, ma di cui poteva prevedere le conseguenze, e gli concessero le attenuanti.

La Corte lo condannò a 20 anni di lavori forzati.

Il Brunero ricorse in Cassazione.

Presidente, cav. Rossi; Pubblico Ministero, cav. Cavalli; difensore, avv. Saragat; perito a difesa, dottor Federico Rivano; cancelliere, Goffi.

L’edificio di via Porta Palatina n. 17, descritto nel testo, è situato nell’isolato di Santo Stefano, nel tratto di via compreso tra via IV Marzo, dove si affaccia la casa Broglia, nota anche come “Albergo della Corona Grossa”, testimonianza del medio evo torinese con impianto del secolo XVI (1500), e via della Basilica, che lo separa dalla casa del Pingone (1525 – 1582), storico del duca Emanuele Filiberto di Savoia. Oggi appare ristrutturato e, come l’adiacente casa Pingone, è sede di un hotel pluristellato. Ma Torino non è Londra, dove si svolgono i tour turistici alla scoperta dello spietato serial killer Jack the Ripper, e dubito che il crimine di Giuseppe Brunero e gli altri perpetrati nella via Porta Palatina e negli immediati dintorni possano entrare a far parte del pacchetto di offerte turistiche di questi hotel…

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Articolo pubblicato il 19/02/2018