Il reato di lesa maestà di migrante: prima i neri!

Negata la libertà di scelta di un medico

Succede spesso che si presenti in un pronto soccorso una donna araba. Avvolta come una mummia egizia in un burka che lascia trapelare solo gli occhi. Dice di avere problemi a carattere ginecologico e chiede di essere visitata. Ma non vuole un ginecologo uomo, vuole una specialista donna. Bisogna accontentarla e chiamare una donna.

Perché? Ma perché “è la sua cultuuura” con le solite tre u strascicate.

 

La libertà di scelta di un medico non è invece consentita ad una donna italiana. Lei è obbligata a farsi visitare da un medico nero, e se non è d’accordo, la TV7, di proprietà del presidente di una squadra di calcio detta “Grande Cairese”, manda in onda un talk show, in cui, conduttrice ed invitati fanno a gara nel ricoprire di insulti e di contumelie la signora che a Cantù desiderava di essere visitata da un medico italiano.

 

Al centro dello studio televisivo c’è un giovane medico africano, il suo nome non interessa, che ha conseguito una “laurea magistrale a ciclo unico (?)” in Medicina e Chirurgia presso un’Università dell’Insubria, che ha sede a Como ed anche a Varese. 

 

Di fronte a lui c’è una robusta presentatrice bionda, che si chiama Mirta Merlino, che non solo appare eccitata ma che si mangia con gli occhi il medico di colore.

 

Tutti coloro che sono nel parterre, battono le mani ad ogni frase della possente conduttrice, ed annuiscono quando afferma che la signora di Cantù non poteva vantare diritti, né era libera di esprimere la sua opinione. Non poteva sottrarsi al  dovere, dice la Merlino, di farsi visitare da un medico che, forse perché negro e laureato ad un’università secondaria, non le ispirava alcuna fiducia.

 

La canea dei presenti nello studio sì scatena a sua volta, imprecando ed ipotizzando l’imperdonabile delitto di “lesa maestà di migrante”.

 

 

Uno di loro, esponente tipico del mondo intellettualoide della sinistra, che si esprimeva dall’interno di un volto incorniciato da una capigliatura arruffata e da una barbetta ispida e trascurata, si è permesso di gridare grande imbecille al sindaco che cercava di giustificare la sua concittadina. Suscitando nella grossa conduttrice una smorfia di preoccupazione per la querela che avrebbe potuto arrivare a lei ed al proprietario della rete televisiva.

 

C’è da fare ancora un importante rilievo. Tutti i giorni, tra gli altri spot televisivi, compaiono commoventi servizi che documentano le condizioni della sanità di molti, forse troppi paesi dell’Africa. Sono visibili tensostrutture fatiscenti adibite ad ospedali, dove i ricoverati sono in balia di infermieri improvvisati. Compaiono di continuo richieste di aiuti economiciversamenti, anche mensili, da destinare a bambini malati, emaciati e denutriti che il video ci presenta. Sono esibiti giovani che usano le stampelle perché i loro arti inferiori sono deformati da malattie congenite.

 

Sappiamo infine che nel Congo ed in particolare nel katanga, la sanità è gestita ancora da sciamani e da stregoni, come il padre della ex ministra di Letta,  Kashetu Kyenge.

 

In Africa mancano i medici. Rappresentano solo una goccia nel mare quelle catene autogestite da buoni specialisti italiani che vanno laggiù a prestare la loro opera preziosa in turni di un mese.

 

In Africa mancano soprattutto medici locali disposti a spendere la loro professione, non solo nelle cure ai loro connazionali ma anche nella costruzione di embrioni di reti sanitarie dedicate agli indigeni, che appaiono ogni anno sempre più indispensabili.

 

Crea molte perplessità pertanto, l’immagine di quel baldo giovane nero, che usufruendo dei sacrifici della sua famiglia ed aiutato a conseguire una laurea dalle organizzazioni terzomondiste, non sente affatto il dovere di aiutare la sua patria. Lui se frega della sua famiglia, dei suoi connazionali e della sua terra.

 

Ed ha deciso di vivere tranquillo e pieno di sussiego in un ambulatorio della cittadina di Cantù dal quale - annuncia - esce quando gli pare a prendere un caffè.

 

 

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Articolo pubblicato il 06/02/2018