Il futuro del lavoro secondo Alain Dehaze.

Il Mister Adecco Ceo della piattaforma per le risorse umane numero 1 al mondo.

 

 

Alla vigilia dell’inizio del World Economic Forum, è arrivato a Davos, con un giorno di anticipo, il ceo di The Adecco Group per presentare l’edizione 2018 del Global Talent Competitivness Index, che realizza ogni anno insieme a Insead e che mette in fila i Paesi e le città del mondo in relazione alla loro capacità di attrarre talenti da ogni parte del mondo.




Sul futuro del lavoro Alain si dichiara ottimista, non crede possa avverarsi  ciò che a suo tempo fu preconizzato da John Maynard Keynes, nel suo celebre discorso di Madrid nel giugno del 1930: «Quello di cui soffriamo non sono acciacchi della vecchiaia - disse -, ma disturbi di una crescita fatta di mutamenti troppo rapidi, e dolori di riassestamento da un periodo economico a un altro.  L’efficienza tecnica è andata intensificandosi con un ritmo più rapido di quello con cui riusciamo a risolvere il problema dell’assorbimento della manodopera: è la disoccupazione tecnologica.”


«Io sono convinto che tutti questi cambiamenti creeranno molte nuove opportunità, invece - spiega Dehaze -. guardiamo al passato: all’inizio del ventesimo secolo, più o meno il 40% della popolazione americana lavorava nell’agricoltura. Oggi siamo al 2%, ma gli Stati Uniti hanno raggiunto il più basso tasso di disoccupazione di tutti i tempi».


Secondo Dehaze, La tecnologia crea sempre nuove industrie e nuovi lavori. Oggi vede una marea  di nuovi lavori che stanno vedendo la luce: data scientist, esperti di cybersicurezza, diversi lavori nel campo della salute, che deriva dall’invecchiamento della popolazione. Quindi la tecnologia sta cambiando le cose in modo molto veloce.  La domanda è: saremo in grado di creare nuovi tipi di business e occupazioni?  Seconda domanda: saremo capaci di rieducare le persone, permettendo alla forza lavoro di adattarsi a questo nuovo ambiente competitivo? Questa è la sfida dei nostri tempi.


Parafrasando Keynes, nel lungo periodo siamo tutti vivi, mentre  è il breve periodo di cui dobbiamo preoccuparci. E come se ne esce da una situazione di questo tipo? Se guardiamo alla situazione attuale, il problema è che tutta la formazione successiva all’iniziale periodo di studio è governata dalle regioni, dai governi e comunque dai decisori politici.

 

Il vero cambiamento dovrebbe essere invece quello di far guidare questo tipo di formazione dalla comunità economica, dalle imprese. Una maggior collaborazione tra le aziende, gli attori del sistema educativo e le istituzioni creerebbe un ecosistema virtuoso in grado di formare le competenze che servono al mercato. L’adattamento è necessario.

 

Basta guardare alla riforma dell’apprendistato che è stata fatta in Francia. Ha cambiato tutto, è diventata molto orientata al business e molto professionalizzante. La fase storica in cui si studiava, poi si lavorava, poi si andava in pensione è finita. Ora la formazione dev’essere permanente. Lavorare, studiare, adattarsi alle nuove tecnologie di un settore. Ma per farlo, bisogna avere la giusta cornice nelle imprese, nelle leggi sul lavoro, nel governo. Questo non è un problema di Paesi, è un problema globale: tutto il mondo deve cambiare il suo paradigma sulla formazione.

 


Il lavoro pertanto è il miglior integratore sociale che abbiamo sperimentato dall’inizio dei tempi. La gente si integra nella società grazie al lavoro. Creare un sistema che metta le persone nelle condizioni di integrarsi nella società senza nemmeno cercare un lavoro è sbagliato.


In merito alla situazione italiana, Dehaze è molto preciso: “ la buona notizia è che siete migliorati rispetto allo scorso anno e che avete una buona istruzione di base. Quella cattiva è che avete una tassazione e una burocrazia tali da far scappare la gente dal vostro Paese. Del resto, perché qualcuno vorrebbe trasferirsi in un luogo dove paga un mare di tasse? Specialmente, aggiungo, se le infrastrutture e i servizi non sono al medesimo livello come ad esempio accade nei Paesi scandinavi.

 


Altri problemi problemi sono la difficile relazione tra il governo e le imprese , un sistema regolatorio molto complesso e l’instabilità politica. Inoltre, non avete un ambiente che promuove l’imprenditorialità, né tantomeno l’insediamento di grandi hub dell’innovazione. Questo rende il Paese molto poco attrattivo per le aziende. Ed è un peccato: perché è un Paese bellissimo.


Dehaze è chiaro, insieme ad una formazione continuativa dobbiano velocemente creare i grandi Hub dell’innovazione, ma anche quelli legati alle eccellenze del nostro Paese, a partire dal cibo, e dal turismo: i nostri politici sono avvisati.

 

 

 

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Articolo pubblicato il 09/02/2018