A Ginevra i soldi della strage

La procura generale di Bologna ha avviato una rogatoria in Svizzera per indagare sulle trame massoniche e sui conti di Licio Gelli

Si torna a scavare su una delle pagine più nere della storia italiana, a quasi 40 anni dai fatti. E questa volta la pista degli inquirenti porta in Svizzera. Più esattamente a Ginevra, dove – secondo le ipotesi al vaglio dei magistrati – sarebbero transitati i fondi serviti a finanziare la strage che il 2 agosto 1980 fece 85 morti e oltre 200 feriti nella stazione del capoluogo emiliano.

La procura generale di Bologna, come ha confermato alla RSI la portavoce dell'Ufficio federale di giustizia Ingrid Ryser, ha avviato una rogatoria internazionale lo scorso 8 febbraio. L'ipotesi è che i magistrati italiani vogliano indagare su un conto corrente riconducibile a Licio Gelli, il "venerabile maestro" della loggia massonica P2 scomparso nel 2015, condannato in via definitiva per depistaggio nel processo sulla strage.

La rogatoria, secondo quanto ha anticipato il Fatto Quotidiano, è stata avviata sulla base di elementi ancora coperti da segreto. Tuttavia, non si esclude che all’esame degli inquirenti ci sia anche il "doc. 27", noto anche come "documento Bologna", per via della dicitura riportata nell’intestazione: il nome della città seguito dal numero di conto corrente di una banca svizzera (BOLOGNA - 525779 - X.S.), più una serie di cifre affiancate da alcune diciture, come "Dif. Mi" e "Difes. Roma".

L'orologio della stazione di Bologna fermo dal 2 agosto 1980 (ansa)

Il foglietto, sequestrato dalle autorità elvetiche al momento dell’arresto di Gelli a Ginevra nel settembre 1982, potrebbe contenere rivelazioni importanti sui presunti pagamenti (15 milioni di dollari in totale) effettuati in favore degli esecutori della strage.

L’appunto, come viene documentato nel libro "Alto tradimento", rimase nelle mani della giustizia elvetica fino al 1986, e per una serie di circostanze in parte ancora oscure, non finì mai nelle carte del processo di Bologna, ma riemerse soltanto nel 2015 da un fascicolo sul crack finanziario del Banco Ambrosiano, grazie ad una richiesta dell’Associazione dei familiari delle vittime.

Nel 2017, la procura generale della città delle Due Torri ha avocato la nuova inchiesta sulla strage, precedentemente archiviata. L’obiettivo dei magistrati è individuare il tassello mancante del puzzle, quello più importante: i mandanti.

Come è noto, infatti, la giustizia italiana ha condannato soltanto gli esecutori materiali, tra cui l’ex capo dei Nuclei armati rivoluzionari di neofascisti, Valerio Fioravanti e la sua compagna Francesca Mambro.

Elena Boromeo


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Articolo pubblicato il 15/02/2018