STRABISMO ITALICO? - I Paesi dell’Est Europa ci portano via le fabbriche, ma noi abbiamo paura della Russia di Putin.

Se si guarda al portafogli, il nostro Paese sta con chi non dovrebbe stare.

Come tutti ormai sanno perché ci viene spiegato ogni giorno, l’Italia è in pericolo. Perché Vladimir Putin vuol far vincere la Lega e il M5S, distruggere la coesione della Ue e, se tutto va bene, anche la civiltà occidentale. Per questo manovra centinaia di cattivissimi hacker che ne sanno una più del diavolo e ci faranno credere questo e quello a colpi di fake news. Il che suona bene, è divertente e appassiona come un romanzo.

Poi, accidenti a lei, arriva la realtà. Che nella sua ultima manifestazione ha il nome di Embraco, una controllata brasiliana della più nota Whirlpool che, in uno stabilimento non lontano da Torino, produce compressori per frigoriferi. Inutile rifare tutta la storia. Fatto sta che, a dispetto di aiuti di Governo, Regione e Provincia, e dopo anni di licenziamenti, cassa integrazione, mobilità e prepensionamenti, ora la Embraco vuol chiudere quello stabilimento per delocalizzare la stessa produzione in Slovacchia, lasciando a casa 500 lavoratori.

Altrettanto stava per fare la Honeywell (da Atessa, provincia di Chieti, Abruzzo, verso la Slovacchia) con 380 operai. In Polonia si è trasferita da Torino la Carson Wagonlit, come pure la K-Flex (sede in Brianza), leader mondiale nel campo degli isolanti termici.

 

Prima ancora si era spostata dal Friuli, per produrre lavatrici in Polonia, Romania e Ungheria, la svedese Electrolux, che a suo tempo aveva rilevato l’italianissima Zanussi, all’epoca del passaggio di proprietà con 35 mila lavoratori seconda solo alla Fiat per numero di dipendenti. E durante le trattative la proprietà svedese, a un certo punto, aveva proposto di ridurre gli stipendi degli operai italiani a 700-800 euro mensili per allinearli, appunto, a quelli dei loro colleghi polacchi.

Negli ultimi tempi, poi, è scoppiato lo scandalo dei cosiddetti “lavoratori distaccati”, più di due milioni di lavoratori (ma il dato è del 2015) dei Paesi dell’Est Europa (in testa Polonia, Bulgaria e Lituania) che vengono poi impiegati nei Paesi dell’Europa dell’Ovest, pur continuando a percepire stipendi da Est. 

 

In Italia è noto il caso dei camionisti polacchi, ma il fenomeno si sta allargando ovunque, tanto da provocare forti reazioni e far nascere un’Alleanza per il trasporto tra nove Paesi Ue (Germania, Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Italia, Lussemburgo, Norvegia e Svezia) per ribattere a questa concorrenza sleale.

Per non parlare poi della fuga delle imprese italiane, dalla Fiat in su e in giù: nel 2016, secondo la Cgia di Mestre, erano 27.100 le imprese che avevano trasferito all’estero almeno parte della loro attività produttive, creando oltre confine un milione e mezzo di posti di lavoro. E quasi sempre nei soliti posti: Polonia, Romania, Bulgaria, Ungheria, Paesi Baltici.

Bravi loro, per carità. Applauso. Però questi Paesi sono così attraenti perché offrono a chi lavora garanzie sindacali e sociali e salari assai inferiori dei nostri. 

 

Ma non solo: spesso usano i per loro abbondanti fondi strutturali Ue per creare condizioni di concorrenza sleale. Prezzi dell’energia molto più bassi, per esempio. Condizioni di assoluto vantaggio per l’edilizia industriale e relative urbanizzazioni. Sconti fiscali che fanno a cazzotti con le regole della Ue. Il che, secondo il ministro Calenda, è proprio quanto sta avvenendo nel caso del trasferimento della Embraco in Slovacchia.

Ora, non è difficile notare che quasi tutti questi Paesi sono nemici giurati della Russia. E non solo: sono dei veri pasdaran della Nato e, in ambito europeo, sono i più fedeli chierichetti dell’alleanza con gli Usa, alle cui imprese partecipano sempre con entusiasmo. Si veda per esempio il sistema missilistico installato in Romania e Polonia, la mobilitazione anti-russa in Ucraina, l’entusiastica adesione della Repubblica Ceca alla mossa di Donald Trump su Gerusalemme e così via.

Quindi vien da riflettere più o meno così. Vladimir Putin è certamente brutto sporco e cattivo e trama per affrettare la fine del mondo. Ma quali problemi abbiamo mai avuto, come Italia, per le forniture di gas o per il commercio con la Russia? 

 

Nel 2012, cioè poco prima della crisi in Ucraina e delle relative sanzioni anti-Cremlino, eravamo il secondo esportatore europeo in Russia dopo la Germania, con affari per 10 miliardi l’anno. E nel periodo 2007-2011, secondo i dati di Confindustria, il 9% degli investimenti esteri diretti in Italia è arrivato proprio dalla Russia. 

 

I dati dunque dimostrano che noi, come Italia, non stiamo con chi ci converrebbe stare, almeno dal punto di vista del portafoglio, ma con chi appena può ci tira la fregatura. Basta saperlo. Anche questi sono i famosi “costi della politica”.

 

linkiesta.it

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Articolo pubblicato il 22/02/2018