Torino - La sanità pubblica ed i politicanti

Le ultime follie di un governo in agonia

Di solito, anche se non sempre, chi ha fatto degli studi in economia e commercio sa far di conto. Ma se il tuo partito ha deciso di farti fare l’assessore alla sanità della regione e ti ha incaricato di risparmiare il più possibile sui costi della sanità, tu devi obbedire e darti da fare.

 

E allora tu chiudi grandi ospedali, nosocomi, ambulatori di ogni genere, centri di diagnosi e cura, riduci il numero dei medici e quello degli infermieri, ma il cittadino che ha votato per te anche se è il solito “pecora” e si comporta da “bono taliano”, non è contento.

 

Soprattutto perché, quando prenota all’ASL una qualunque visita specialistica, e si sente fissare un appuntamento dopo quattro o cinque mesi, si arrabbia (anche se il termine non è quello che adopera) e c’è il rischio che ti mandi qualche maledizione.

 

Tu, caro assessore regionale, cerchi allora di scaricare la colpa del disservizio su di una precedente amministrazione, ma il trucco, dopo tanti anni che sei al governo, non funziona e sei costretto a correre ai ripari ed a chiedere aiuto al ministero della salute che è del tuo stesso colore politico.

 

Di lì ti arriva la soluzione del problema e ti informano che, poiché hai ridotto sedi e personale sanitario, e le liste di attesa hanno assunto di conseguenza tempi biblici, è necessario trovare, soprattutto in vista di appuntamenti elettorali, una soluzione.

 

Le menti pensanti più lucide del ministero, femminili e maschili, la trovano e te la impongono.

 

Tu assessore devi applicare quelli che si chiamano i “tempari”.

 

Devi fissare il tempo necessario da impiegare per ogni visita e devi obbligare il sanitario ad osservare il regolamento e la tempistica che tu, in accordo con il tuo buon presidente della regione, avete stabilito.

 

Alcune regioni, legate per tradizione al criterio dell’obbedienza cieca, pronta e assoluta,  si sono già adeguate ed osservano il decreto governativo. Ora devi applicarlo anche tu.

 

Una visita oncologica? Al massimo venti minuti.

 

Una visita ginecologica? Non può durare più di venti minuti.

 

Un’ecografia ginecologica? Ancora venti minuti.

 

Una gastroscopia? Trenta minuti.

 

Una biopsia di una o più sedi di esofago stomaco o duodeno? Al gastroenterologo saranno concessi solo 35 minuti.

 

Il decreto governativo non chiarisce se all’assessore alla sanità compete di istituire la nuova figura del  burocrate addetto ai controlli della tempistica di ogni visita ed in particolare non specifica come il guardiano dovrà intervenire nei casi di sforamento dei tempi.

 

Forse interrompendo di colpo una visita ginecologica ed obbligando la paziente a socchiudere le cosce e a ricoprirsi in fretta?

 

Oppure obbligando il gastroenterologo ad estrarre in fretta la sonda dallo stomaco e dall’intestino, anche se l’esame non è terminato?

 

O ancora facendo irruzione nell’ambulatorio e fermando un oncologo che è impegnato ad   individuare la sede di una neoplasia e cerca di capire se sono presenti lesioni metastatiche.

 

Sul decreto ministeriale sono intervenuti gli ordini dei medici, che, all’ unanimità e con insolito ardire (alcuni presidenti degli ordini dei medici rivestono purtroppo cariche politiche), hanno approvato una mozione che recita: il rapporto numero di prestazioni/unità di tempo, proprio dell’industria manifatturiera non è applicabile alla medicina.

 

Hanno richiesto pertanto il ritiro delle disposizioni.

 

Sono le ultime follie di un governo che è in stato preagonico e che si spera non venga riconfermato dal Mattarella alle prossime elezioni.

 

 

 

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Articolo pubblicato il 27/02/2018