"La Commedia" di Matteo Renzi

Parte seconda: Purgatorio e Paradiso. Ovvero da "Fiorenza mia" all'Italia

Riprendiamo l'ardito itinerario inaugurato Venerdì, proseguendo col (ri)leggere in chiave sinistra(mente) contemporanea alcuni dei contenuti politici più celebri della Commedia.

Abbiamo lasciato Dante nel terzo cerchio infernale, intento a disquisire con il dannatamente ingordo Ciacco circa le ragioni della incipiente decadenza fiorentina.

Abbiamo altresì lasciato Renzi nel Cerchio Magico dei suoi accoliti, intento a vomitare esternamente al PD  - e, soprattutto, esternamente alla sua stretta filiazione toscana - le maggiori responsabilità per lo smacco elettorale subito: colpa della dissidente minoranza interna (guidata da un Ministro Orlando vieppiù furioso), colpa di Liberi e Uguali per aver promosso la scissione, colpa del Presidente Mattarella per non aver indetto prima le elezioni…

Insomma, colpa di tutta codesta “turba spessa”. Di certo, mai convintamente colpa della sua Segreteria: altrimenti le dimissioni sarebbero state rassegnate subito, e non in guisa di un pantomimico “volgendo a loro, e qua e là, la faccia, e promettendo mi sciogliea da essa”.

Dunque. Dopo aver visitato le anime dei pigri (per assurdo, quanti Politici di oggi annovereremmo in questa schiera? …), Dante e Virgilio si ritrovano nella seconda balza dell’Antipurgatorio, ove attendono di espiare la propria colpa Pia de’ Tolomei e gli altri morti per forza.

Anche Renzi, per forza di cose, dovrà prima o poi ragionevolmente espiare la propria colpa, lasciando la direzione di un PD disastrato del quale davvero non riesce più a “inforcar li suoi arcioni”.

Firenze lo fé, disfecelo Padania, con esplicito riferimento alla salviniana e arringatrice “anima lombarda, […] altera e disdegnosa e nel mover de li occhi onesta e tarda” che, Domenica scorsa, ha indiscutibilmente prevalso nelle ex Regioni rosse del Centro Italia. Le quali – e giustamente – di rosso conservano soltanto la rabbia, essendo ormai lega(te) al verde speranza…

L’incontro con Sordello da Goito, ertosi ad abbracciare Virgilio non appena appresa la di Lui origine mantovana, offre a Dante lo sprone per un’altra veemente invettiva, questa volta indirizzata all’Italia tutta.

Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!

Egli infatti recrimina le profonde divisioni spesso alberganti all’interno della medesima città (Firenze ne è l’esemplificativo principe), responsabili di ingiustizie quale quella del suo esilio, e comunque in antitesi rispetto al natio cameratismo dimostrato dai due Mantovani.

Cameratismo autentico e spontaneo che ricorda, probabilmente, l’occhieggiante solidarietà di Matteo Renzi nei confronti della sua fedelissima conventicola di Toscani…, sempre catapultati in prima fila e sulle poltrone più di rilievo...

Chissà, forse in virtù della scarsa ambizione altrui… Magari perché “molti rifiutan lo comune incarco; ma il popol tuo solicito risponde sanza chiamare, e grida «I’ mi sobbarco»”…

Tuttavia, oggidì, detta apostrofe risulterebbe forse più acconcia al servile e pusillanime atteggiamento assunto dall’Italia rispetto a tematiche di rilevanza (e competenza!) europee, prime fra tutte l’immigrazione fuori controllo e l’esigenza di una fattiva politica interna comunitaria, che miri davvero all’integrazione degli aventi diritto e non, invece, a una miope e omertosa disintegrazione etichettata intra omnes (sottinteso, in Italiam!).

In quanto al fatto che l’Italia sia una  una nave sanza nocchiere” (ma, ahimè, con numerosi traghettatori – o scafisti – impuniti)..., oggi ci troviamo effettivamente in attesa di un nuovo Esecutivo, così come l’agognato Partitissimo della Nazione (meglio noto come PD) lo è di una novella Segreteria.

Magari con meno favella, ma più fatti.

E proprio l’esagerato ma consapevole disallineamento fra mythos e logos ha probabilmente rappresentato uno degli errori principali di Renzi, contribuendo ad approfondire il solco fra realtà millantata e presente oggettivo, con la dismissione di presidi amministrativi dirimenti come Torino, Roma e, successivamente, Genova.

Purtuttavia, se la sonora sconfitta referendaria e anche la perdita di “Roma che piagne vedova e sola, e dì e notte chiama” – peraltro pure adesso, sotto il profetico raggi(o) di luce pentastellata – potevano ancora garantirgli un posto nel Purgatorio politico, le impietose percentuali raccolte Domenica hanno inevitabilmente reso il PD una infernale “fiera […] fatta fella (ribelle), vogliosa di rottamazione e quasi, dopo l’esperimento del Quarantenne, di ri-invecchiamento...

E così il Partito Democratico, “se ben ti ricordi e vedi lume, vedrai te somigliante a quella inferma che non può trovar posa in su le piume” ma che, misconoscendo ostinatamente le proprie responsabilità, cerca senza successo di lenirne il dolore.

Del resto, in specie per quanto concerne le tematiche economiche e di sicurezza, di fronte alla retorica dei vaniloqui inconsistenti, nonché a “tanto sottili provedimenti, ch’a mezzo novembre non giugne quel che tu d’ottobre fili”, ben cinque milioni di voti piddini sono giustappunto confluiti in larga parte nell’universo a 5S.

Non si può certo asserire ch’esso abbia orrore della sterile demagogia: tuttavia, latitando la Politica seria, è pacifico ammettere come uno valga uno… e “un Marcel diventa ogne villan che parteggiando viene”, indipendentemente da caratura morale e competenze.

Allora, in ultima analisi, quando il nostro prode fiorentino Renzi può asserire di aver sperimentato il Paradiso?

Certo nel 2014, a seguito delle elezioni europee… quando seppe giustappunto mietere il 40% dei consensi fra il 100% dei votanti. La percentuale in clausola parrebbe quasi una eccessiva quisquilia rigorista eppure, checché ne dicano i benpensanti sinistrorsi, essa sottende un dato assoluto ben diverso (e molto minore...) rispetto al 40% degli aventi diritto al voto.

Come forse commenterebbe il Virgilio dantesco, “la mia scrittura è chiara”: così dovrebbe essere anche la comunicazione partitica all’atto di fornire le cifre. Ovvero senza dare i numeri.

Nel sesto canto del Paradiso troviamo Dante e Beatrice immersi nell'aere del secondo Cielo di Mercurio, ove si trovano i “buoni spirti […] attivi perché onore e fama li succeda”.

Quivi il poeta incontra l'imperatore bizantino Giustiniano (482-565) che, nel 535, mosso dallo Spirito Santo dentro le leggi trassi il troppo e ‘l vano”, conglobando e razionalizzando gli ormai dispersi codici normativi romani all’interno del Corpus Iuris Civilis.

All’uopo, quanto servirebbe anche all’Italia una figura simile?

Una figura in grado di porre ordine all’interno della disordinata congerie di leggi, a volte antitetiche fra loro, bisticciate e bisticcianti come i polli di Renzo (o, se preferite, di Renzi…), nonché spesso disattese per via di qualche buonista e trinariciuto cavillo in deroga.

Qui l’invettiva di Dante trae spunto dal racconto di Giustiniano circa le vicissitudini storiche dell’aquila imperiale romana e, di nuovo, si riversa sulla contemporaneità di una Firenze lacerata dalla contrapposizione fra Guelfi e Ghibellini. Tuttavia, in questo contesto il campo si allarga, riproponendo l’assoluta necessità di un imperatore provvidenziale che più non abbandoni l’Italia, “’l giardin de lo ‘mperio”, divenuta per cupidigia indomita e selvaggia”.

In pratica, il fiorentino Dante auspica la presenza di una personalità forte al comando, per ridare finalmente una guida e una rotta al vascello italico, ahimè alla deriva.

Calate nel contesto presente, codeste parole suonano dichiaratamente evocative… assumendo, a seconda dei casi, un timbro di vibrata speranza oppure di rassegnata disillusione.

Indipendentemente dalle reciproche appartenenze e divergenze politiche, la figura del fiorentino Matteo Renzi non ha certo saputo saturare quello spazio di pianificazione programmatica enucleato dal suo conterraneo Dante secoli prima.

Auguriamoci che, nel prossimo futuro, l’Italia possa rifuggire da imbonitori e fatui incompetenti, la cui figura (solo) in un primo momento “tanto gentile e tanto onesta pare”. Sempre permanendo nel vernacolo dantesco, urge infatti una personalità specchiata, “che sta come torre ferma, che non crolla già mai la cima per soffiar di venti”…

La cui Commedia insomma sia, questa sì, divina.

 

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Articolo pubblicato il 11/03/2018