La messaggistica di whatsapp può costituire prova di reato.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n.1822/2018, ha chiarito che i messaggi whatsapp e gli sms, acquisiti dalla memoria del telefono dell'indagato e sottoposti a sequestro, possono, se connessi al reato, essere considerati prove documentali, con conseguente applicazione dell'articolo 234 del codice di procedura penale.
La Corte di Cassazione, ha comunque precisato che la loro acquisizione non è soggetta alle regole stabilite dal codice di rito per la corrispondenza o per le intercettazioni telefoniche.
Per chiarire meglio, ai predetti messaggi, se scoperti in un telefono sottoposto a sequestro, non si applica la disciplina ex articolo 254 c.p.p. sul sequestro di corrispondenza, in quanto, la nozione di corrispondenza, “implica un'attività di spedizione in corso o, in qualunque modo, indirizzata dal mittente, attraverso la consegna a terzi per il recapito”.
Alla loro acquisizione, non si estende neppure la normativa sulle intercettazioni, in quanto, queste ultime, hanno ad oggetto “la captazione di un flusso di comunicazioni in corso”.
Per i giudici, la trascrizione di conversazioni su messaggistica e whatsapp, memorizza un fatto storico, utilizzabile per fini probatori, tuttavia, poiché la trascrizione ha una funzione di mera riproduzione della prova documentale, la si può utilizzare in un’aula di Tribunale, solo acquisendo il supporto che la contiene, (smartphone, pc. etc), perché solo in questo modo, si può assodare l’affidabilità della prova.
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Articolo pubblicato il 20/03/2018