Arte sacra a Firenze nel Cinquecento

La grande mostra Il Cinquecento a Firenze. Tra Michelangelo, Pontormo e Giambologna, si è tenuta a Palazzo Strozzi

La mostra, da pochi giorni conclusasi nella sede di Palazzo Strozzi a Firenze, ha delineato un importante momento artistico dell’arte italiana, che si alterna armoniosamente tra sacro e profano. Proponiamo qui una lettura delle opere religiose che sono state esposte, le più forti ed evocative…

A Firenze nella sede di palazzo Strozzi fino al 21 gennaio scorso si  è tenuta una sontuosa mostra sulla tradizione artistica cinquecentesca fiorentina, in chiusura della trilogia di esposizioni, che prese il via nel 2010 con Bronzino, poi proseguita con Pontormo e Rosso Fiorentino nel 2014, secondo il progetto di Antonio Natali e Carlo Falciani.

Inaugurata il 19 settembre scorso, la mostra vantava circa 70 capolavori che, con ricchezza di iconografie, colori e stili, raccontavano le numerose correnti culturali in dialogo nel XVI secolo. Da tale novero, emergeva cristallino il giustapporsi di figurazioni di carattere profano ed espressioni sacre, entrambe caratterizzate da soluzioni in continuo divenire, anche se con divergenti andamenti.

Firenze, nella sua storia artistica vide infatti avvicendarsi e dialogare artisti del calibro di Michelangelo Buonarroti, Bronzino, Giorgio Vasari, Rosso Fiorentino, Pontormo, Santi di Tito, Giambologna, Bartolomeo Ammannati.

L’esposizione appena terminata ha scelto di raccontare questi protagonisti del panorama italiano seguendo un senso cronologico, sala dopo sala, dal periodo che precede la pubblicazione delle celebri Vite di Giorgio Vasari (1550), pittore, architetto e critico d’arte, all’epoca di Francesco I de’ Medici, grande mecenate delle arti, con la decorazione del suo meraviglioso Studiolo in palazzo Vecchio (1570-72), per giungere infine ai prodromi del nuovo secolo, con le opere di Santi di Tito e Bernini padre (1598).

Attraverso i capolavori dell’arte fiorentina la grande rassegna accompagnava l’osservatore nel passaggio dall’interpretazione potente di Michelangelo negli anni Venti al pieno manierismo dell’epoca di Francesco I fino alla rivoluzione culturale portata dalla Riforma Cattolica, principiata attivamente nel 1545 con l’apertura dei lavori del Concilio di Trento (conclusi poi nel 1563).

Se grande spazio espositivo è stato riservato alla cultura profana, alle rappresentazioni mitologiche e allegoriche che costituiscono il soggetto di molte opere di stampo manierista, è tuttavia alla scena sacra che si lega il gruppo delle opere più belle e significative raccolte in questa occasione.

Già dagli anni Venti del secolo, Andrea del Sarto, pittore che godeva anche tra i contemporanei di grande credibilità, aveva posto la questione della rappresentazione del divino in chiave anti luterana, ribadendo la presenza reale di Cristo nell’iconografia dell’Ostia consacrata.

La sua pittura limpida e definita costituisce ai nostri occhi un esempio ante litteram dei principi comunicativi di chiarezza e divulgazione che alcuni decenni più tardi sarebbero stati promulgati durante le sessioni del Concilio di Trento.

Il confronto diretto della Deposizione di Volterra di Rosso Fiorentino (1521), della Deposizione di Santa Felicita del Pontormo (1525-1528) e del Cristo deposto di Besançon del Bronzino (1543-1545 circa) definisce le tre possibili interpretazioni del tema.

Ove Pontormo riecheggia Andrea del Sarto ossia nella concettualizzazione del Cristo–Eucarestia, Bronzino cerca risposte nella materia: l’artista sembra incidere nella pietra dura ricercando in una struggente resa scultorea i significati ultimi della narrazione divina. Ma a dare una scossa in avanti è Rosso Fiorentino che, nella scelta di soluzioni formali arcaiche, slega l’argomento sacro dagli eccessivi tecnicismi e lo libera attraverso un linguaggio semplice ed universale.

Con la chiusura del Concilio tridentino e la definizione dei nuovi dettami sulle immagini sacre, le opere d’arte divenivano un mezzo potente nella trasmissione di tali prescrizioni: le pitture nelle chiese fiorentine, fulcro della vita religiosa cittadina, rappresentavano alcuni dei concetti nodali nella battaglia contro i luterani.

Il messaggio religioso doveva anzitutto essere comprensibile e coinvolgere anche a livello emozionale. Furono introdotti perciò all’interno delle scene sacre alcuni personaggi abbigliati con vesti moderne per facilitare l’identificazione dell’osservatore e vennero approfonditi gli studi sulla gestualità e sull’espressività del volto, così da poter più profondamente coinvolgere i fedeli nella rappresentazione.

Le grandi pale sugli altari delle chiese con la Crocifissione, l’Immacolata Concezione, la Resurrezione di Cristo, le storie delle vite dei santi, formidabili exempla di penitenza e martirio nel nome di Dio, divennero raffigurazioni profondamente connesse con la tradizione e la vita dei fedeli.

Alla fine del XVI secolo, l’interesse per il naturale ossia per un’osservazione del mondo circostante non filtrata da un’idea intellettuale, prese il sopravvento sulle ultime ondate di un manierismo ormai costituito di codici ripetuti e vuoti di significato. Ispirandosi alla pittura bolognese contemporanea, ma anche marchigiana e lombarda, pittori quali Santi di Tito e Lodovico Cigoli aggiornarono la propria tavolozza in una visione artistica non preconcetta, ma ancora più vicina alla percezione umana: vediamo aumentare il vibrato delle linee, così come le notazioni luministiche in una resa estremamente emozionale e vera. Le opere sacre godettero di questo rinnovato vocabolario, acquisendo forza espressiva e inedite soluzioni formali.

Così si chiude un’epoca, dolcemente, con l’ultima eco di una pittura bella e intellettuale, fatta di influenze e rimandi antichi, mentre già si intuisce, in alcuni movimenti poderosi e in alcune metafore ripetute, la nuova visione rivoluzionaria barocca, che diventerà un vessillo potente dell’arte sacra in pieno Seicento attraverso tutta la penisola e in Europa.

Michela Gianfranceschi

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Articolo pubblicato il 20/03/2018