Putin, Erdogan, Xi Jiping: è la primavera dei dittatori.

Due dei tre Paesi più estesi al Mondo conoscono un uomo solo al comando.

 

L’incoronazione dello zar Russo per la quarta volta con percentuali bulgare a pochi giorni dal voto del Parlamento Cinese che ha abolito il vincolo dei due mandati presidenziali ha evidenziato come il fascino dell’uomo potente e decisionista non sia mai passato di moda.
Anzi, è più forte che mai.
L’idea di vivere in un mondo democratico, scevro da autoritarismi e ricco di partecipazione popolare è qualcosa che riguarda essenzialmente i Paesi Occidentali: per il resto sono molti i Paesi dove continuano a vigere forme di dittatura più o meno velata.
Ecco una breve panoramica sui tre casi più rilevanti, Russia, Turchia e Cina.

Dispotico, glaciale, iconico, tanto evocato da taluni quanto detestato dai più convinti sostenitori della democrazia, Putin sotto il suo Regno non si è fatto mancare nulla, a partire dalle lunghe ombre circa una serie di omicidi riguardanti vari giornalisti, dodici a partire dal 2002: il più celebre all’attivista Anna Politkovskaja, freddata a colpi di pistola nel suo ascensore.
Ci sono stati poi i continui interventi in Medio Oriente a fianco di Assad, i dazi imposti dalle Nazioni Unite e la guerra commerciale con l’Occidente; l’annessione della Crimea e un rapporto con l’Onu costantemente conflittuale.
C’è chi lo accusa d’aver influenzato l‘elezione di Trump in Usa e chi, nelle ultime ore, d’aver ordinato la morte per avvelenamento dell’ex spia russa Serghei Skripal a Salisbury. Questo ha portato all’inevitabile scontro con la May, l’espulsione dei diplomatici russi dal Regno Unito, a cui ha risposto con il licenziamento di quelli inglesi dalla Russia.
Lui tira dritto, la popolazione gli si stringe attorno e stravince le elezioni.
Tutti gli danno due meriti, enormi: l’aver tirato fuori dalle paludi della corruzione la sua Nazione e l’aver riportato la Russia a potenza mondiale. Mica poco.

Recep Tayyp Erdogan è per certi versi l’omologo di Putin in Turchia.
Al potere dal 2002 con l’AKP, il Partito per la Gustizia e lo Sviluppo, deve il suo successo alle privatizzazioni che hanno fatto da volano al suo Paese a inizio del nuovo Millennio, oltre che a un carattere autoritario e poco avvezzo al dibattito interno.
Ha silenziato l’opposizione, incarcerando vari giornalisti e personaggi scomodi al regime; sono state prese misure contro la libertà di stampa ed espressione, e in varie occasioni ha provato a trasformare la Turchia da Repubblica Parlamentare a Presidenziale, anche se ad oggi non ci è ancora riuscito.
Ha traghettato la sua nazione lontano dall’Europa, cui pareva a un certo punto orientata, provando a fare  della Turchia il punto di riferimento nel Medio Oriente, dove il suo intervento contro i curdi e a sostegno dei dittatori locali spesso si scontra con le volontà occidentali.
Sta facendo a pezzi giorno dopo giorno lo stato laico pensato e stabilito da Mustafa Kemal, detto Ataturk, sdoganando l’islam e ponendo le basi per una futura teocrazia.

Il suo sultanato, tuttavia, non gode sempre di ottima salute, visto che nel maggio 2013 a Piazza Taksim si è registrata una forte ondata di proteste contro il regime: tanto è bastato per causare 9 morti e oltre 8’000 feriti.
E nell’estate 2016 parte dell’esercito ha provato a organizzare un golpe contro il dittatore turco senza successo: ma sono in molti a giurare che l’atto, sedato nel giro di 24 ore, sia stato organizzato dallo stesso Erdogan per consolidare il proprio potere.

Tra i nuovi dittatori, avvolto in quella fitta coltre di nebbia e mistero in cui la Cina culla il sogno di diventare la prima potenza Mondiale, vi è Xi Jinping dal Novembre 2012 in sella al Dragone.
Nelle sue mani racchiude, oltre alla Presidenza della Repubblica Popolare Cinese, la Segreteria del Partito Comunista e la Presidenza della Commissione Militare Centrale. Un agglomerato di potere rinforzato dal voto dello scorso 11 marzo in cui l’Assemblea Nazionale ha decretato la fine del vincolo costituzionale del doppio mandato per il presidente e per il vicepresidente.

Potenzialmente Xi Jinping potrà governare a vita, eguagliando Mao per duratura e importanza: laureato in ingegneria chimica e già dirigente del Partito Comunista, ha costruito il suo consenso debellando la dilagante corruzione presente all’interno del Partito, parlando di “sogno cinese”, ridando lustro a una nazione con un potenziale enorme. E, come da copione, lo sviluppo tecnologico e industriale non si sono fermati.
Certo è che la libertà di espressione si è ulteriormente abbassata all’ombra della Grande Muraglia, e l’idea di avere un leader imperituro avrebbe dovuto mettere in allarme le potenze occidentali, che invece hanno brindato alla stabilità.

Lo Zar, l’Imperatore e il Sultano, curiosamente nati nello stesso arco di anni, 1952, ‘53 e ’54 sono a capo di Stati tanto diversi quanto cruciali, simili nella sete di potere quanto in quella di silenziare le voci interne.
Le istituzioni internazionali li osteggiano, mentre restano il punto di riferimento per molte persone, perse nella vacuità delle democrazie occidentali e attratte dal potere della decisione.
Una cosa è certa: il tramonto dei loro Regni è ancora ben lontano.

 

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Articolo pubblicato il 20/03/2018