Il Pescatore e l'Assassino

La canzone di De André e gli efferati delitti del killer di Budrio come monito per condannare, anche ideologicamente, il crimine

Catturato in Spagna lo scorso Dicembre dopo una rocambolesca fuga attraverso il Sud Europa, Norbert Feher - alias Igor Vaclavic - alias Igor il Russo, l’efferato assassino noto in Italia per essere il killer di Budrio, davanti agli inquirenti iberici si è avvalso della facoltà di non rispondere.

Tre le vittime italiane perite sotto i colpi della sua barbara e cieca ferocia. Infatti, oltre giustappunto a Davide Fabbri, barista di Budrio freddato nel corso di una rapina, gli vengono altresì imputate le morti della guardia volontaria Valerio Verri, uccisa mentre braccava l’assassino nelle paludi ferraresi, nonché quella del metronotte ravennate Salvatore Chianese.

Altrettanti i caduti spagnoli: due esponenti della Guardia Civil e un agricoltore, abbattuti nei pressi di Teruel poco prima che il pericoloso figuro venisse finalmente assicurato alla Giustizia.

Al momento, il pluripregiudicato quarantaduenne serbo si trova detenuto nel carcere di massima sicurezza di Zuera, vicino Saragozza. Ivi ha altresì avuto luogo l’interrogatorio, cui hanno assistito il Procuratore Capo di Bologna Giuseppe Amato e il Pubblico Ministero Marco Forte.

L’Italia chiederà alla Magistratura iberica di applicare il giudizio immediato in videoconferenza.

Data per certa l’inoppugnabilità del materiale probatorio che inchioda Vaclavic, resta tuttavia da far luce sulla sua fitta e opima rete di fiancheggiatori, la quale gli ha consentito di darsi con relativa tranquillità alla macchia per più di sei mesi. Questo a dispetto dell’ingente dispiegamento di forze in campo, tutte sulle tracce del killer.

Detta omertosa e connivente zona grigia ha richiamato alla memoria il testo di una nota canzone di Fabrizio De Andrè, intitolata Il Pescatore e qui viatico per alcune considerazioni susseguenti.

Composta nel pieno della contestazione sessantottina, essa assurge oggi a manifesto canoro di tutta un’epoca (e di un’epopea…) storicamente svoltasi sotto la bandiera rossa del buonismo dilagante, dell’assistenzialismo spinto e del cinismo a tratti becero, ancorché sempre nascosto e spanso sotto filiali cespi di fiori profumati.

Il tutto a braccetto di un generale e vieppiù incipiente sentimento di deresponsabilizzazione (e di devalorizzazione…) collettivo, falsamente adombrato col lirismo anticipatore di immagini tenui, giustappunto quali quella dove “all’ombra dell’ultimo sole s’era assopito un pescatore e aveva un solco lungo il viso come una specie di sorriso”.


Infatti, tenendo nella fattispecie presenti i truci fatti di cronaca poc’anzi descritti, risulterebbe oggettivamente difficile scorgere nel recidivo Vaclavic solo “due occhi grandi da bambino, due occhi enormi di paura”, trasecolati  specchi di un’avventura” semplicemente sfuggita di mano (e magari senza colpa alcuna da parte dell’assassino)…

Ha dunque egli ucciso per forzatura? La colpa vera deve ricadere su chi non ha inteso cedere alle sue intenzioni, violente, bellicose e illegittime?

Ha forse sbagliato il barista opponendosi alla rapina? Ha sbagliato nel voler tutelare i proventi del proprio onesto lavoro, oltre ovviamente ai famigliari? …

Braccato, in fuga, probabilmente indebolito dal lungo peregrinare e celarsi, l’assassino incontra sulla spiaggia il vecchio pescatore e, pietendo il “poco tempo” e la troppa fame”, chiede per sé pane e vino.

Dunque gli emblemi della sopravvivenza e della vita, reclamati da chi invece ha proditoriamente somministrato al prossimo annullamento e morte.

Eppure, vuoi per tornaconto e cameratismo nel caso degli scherani ausiliari di Igor, vuoi per aprioristico, irragionevole e sragionato buonismo da parte del pescatore, il nostro novello samaritano “non si guardò neppure intorno, ma versò il vino e spezzò il pane per chi diceva ho sete e ho fame”.

Ora, fatti salvi quei principi ecumenici connaturati alle radici storiche e culturali stesse dell’Europa, occorrerebbe tuttavia tener sempre ben presente come non si diventi criminali obtorto collo. Esiste il libero arbitrio o, in alternativa, cuius faber suae quisque fortunae est (ciascuno è artefice del proprio destino): motivo per cui si configura come totalmente illogico (oltre che scorretto) trattare la quotidianità di un delinquente con gli stessi parametri destinati ai non reprobi.

Specialmente, dovrebbero rammentarsene coloro i quali dissertano, forse con eccessiva faciloneria, di misure alternative alla detenzione carceraria.

Perdonato dei suoi dichiarati misfatti, l’assassino si sfama e subito fugge “via di nuovo verso il vento”, lasciandosi “dietro alle spalle un pescatore” e, nel cuore, “il rimpianto d’un Aprile giocato all’ombra di un cortile”.

Quasi fosse lui, inseguito e perseguitato, la vera vittima… e non il povero barista, barbaramente assassinato proprio il 1° Aprile dell’anno scorso…

Ed ecco “vennero in sella due gendarmi, vennero in sella con le armi” - personaggi ahimè cantati alla stregua di cattivi inquisitori - e “chiesero al vecchio se lì vicino fosse passato un assassino”…

All’uopo, per abbattere finalmente codesto ideologico e immeritevole rovesciamento di ruoli, urgerebbe invece sottolineare la troppo spesso sottaciuta abnegazione delle forze dell’ordine.

Sentinelle poste a custodia e difesa dell’incolumità pubblica, dunque di tutti, in certi casi esposte tuttavia ai molteplici rischi di un ruolo in qualche modo vilipeso dalle istituzioni stesse (quando predicanti un buonismo a tratti vigliacco e demagogico).

Vedasi, nel caso di Torino, la facinorosa e violenta manifestazione cosiddetta antifascista del 22 Febbraio scorso, conclusasi con tre agenti feriti, nella tiepida non condanna di un certo segmento della canea politica. Oppure il millantato proposito della Giunta comunale di predisporre un ulteriore presidio interforze presso il campo nomadi di Via Germagnano, apparentemente sottovalutando i rischi clinici cui gli agenti sarebbero esposti, visti i reiterati nonché sempre impuniti roghi e sversamenti di rifiuti che, lì, continuano neghittosamente ad aver luogo.

Nel merito, le argomentazioni a sostegno non sono solo di provenienza territoriale e nazionale. Risale infatti all’altro ieri la notizia del decesso di Arnaud Beltrame, l’eroico Tenente Colonnello quarantacinquenne morto in seguito alle gravi ferite riportate durante l’attacco terroristico del 23 Marzo a Trèbes, nel Sud-Ovest della Francia. Aveva offerto come ostaggio se stesso in luogo di una donna: il Presidente Emmanuel Macron ne ha tributato gli onori, giustappunto esaltandone la ”prova di coraggio e di abnegazione eccezionale”.

Ma il pescatore della canzone non collabora con i gendarmi, mancando d’indicar loro la direzione verso la quale è fuggito l’assassino…

Torna invece ad assopirsi, “sempre all’ombra dell’ultimo sole”, sempre con una inspiegabilmente compiaciuta espressione che pare “un solco lungo il viso come una specie di sorriso”.

Quante vittime innocenti avrebbe potuto salvare se avesse parlato, se avesse compreso che gli individui non sono sempre incolpevoli martiri delle proprie azioni, bensì loro consapevoli artefici?

Quanto beneficio avrebbe apportato alla comunità tutta se, in luogo di regalare all’assassino – figuratamente parlando – un pesce, gli avesse invece insegnato a pescare, condannandone apertamente i misfatti e invitandolo ad accettare un giusto e commisurato fio? …

 

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Articolo pubblicato il 27/03/2018