Giovanni Riva, da falegname a scultore della Fontana Angelica di Torino

La vita appartata e tranquilla dell’autore di una fontana circondata da un alone esoterico se non addirittura sulfureo

L’alone esoterico se non addirittura sulfureo che qualcuno ha voluto alimentare intorno alla Fontana Angelica induce a immaginare il suo autore come una sorta di inquietante artista maledetto dalla vita misteriosa e avventurosa.

Niente di tutto questo: Giovanni Riva è uno scultore appartato e tranquillo, con una biografia che appare essenzialmente delineata dalle varie opere da lui realizzate.

Giovanni Riva nasce a Torino il 20 novembre 1890 e la sua infanzia è molto difficile come scrive un giornalista che si firma M. S. su La Stampa dell’8 agosto 1924:

La sua storia ha motivi di fiaba e squarci di uno squallore desolante. A Moncalieri incomincia la sua esistenza tribolata da una stalla ove visse i primi giorni, trentadue anni or sono. Una buona donna pietosa fu per il bimbo sperduto la mamma amorosa e il bimbo crebbe buono e volenteroso, rassegnato nell’ambiente meschino della povertà, del lavoro più umile. All’età dei garzoni andò nella bottega di un falegname: che la sua sorte migliore era di apprendere un mestiere.

Incomincia la sua carriera come un modesto operaio ebanista. Dopo un breve tirocinio in una officina da falegname entra in una ditta di arredi sacri dove si distingue nell’arte dell’intaglio e della scultura in legno. Ancora adolescente rivela rare qualità artistiche specialmente nell’esecuzione di Madonne e santi, rifiniti e colorati con genialità e con istintivo buon gusto. Prosegue M. S.:

Il senso d’arte fu più forte della sua povertà - talvolta triste come la miseria - e vinse la sua timidezza e l’avversità delle cose. Da Moncalieri viene a Torino. È per lui l’entrata nella via dell’arte. Di giorno lavora il legno: la sera frequenta la scuola San Carlo. Studia, disegna, si forma, si scopre. Quando ha coscienza della sua forza si presenta all’esame della vita artistica.

Poverissimo, non può iscriversi all’Accademia Albertina e deve frequentare le scuole serali municipali di disegno (Istituto Professionale Operaio) dove si distingue su tutti gli altri compagni.

M. S. insiste sulle difficoltà finanziarie che si frappongono ai suoi studi:

Costretto dalla mancanza di mezzi finanziari, studia il vero sul corpo di amici, poveri anch’essi e compiacenti, che si scamiciano per la sua necessità di ritrarre e di disegnare: talvolta, quando non ci son neppure gli amici, studia figura sul suo corpo mettendosi davanti allo specchio. La sua costanza ha qualche aspetto di abnegazione, di eroismo silenzioso, soffocato nella rinunzia e nel silenzio che gli infliggono le sue condizioni.

Secondo le varie fonti, i maestri di Riva sono Giovanni Guarlotti, Edoardo Rubino, Giuseppe Realini e anche Leonardo Bistolfi che – secondo M. S. – «… ha compreso qualcosa di buono e di forte nell’anima del giovane artista che si affaccia al mondo con coraggio e con volontà. E lo incuora e lo sospinge».

Nel 1912 Riva incomincia a modellare targhe, medaglie e statuette decorative. Nel 1913 ottiene il primo riconoscimento: per il concorso internazionale cattolico sportivo, tenuto a Roma, modella un’originale medaglia commemorativa. Nello stesso anno, partecipa al Pensionato Nazionale di Scultura e fra le opere presentate la sua è tra le più quotate.

Sempre nel 1913 espone per la prima volta, alla Promotrice di Belle Arti, una sua opera dal titolo “Ottuagenaria”: è premiato.

Dal 1913 è sempre presente alle maggiori manifestazioni d’arte, Triennali di Milano e Firenze, Biennali di Venezia, Quadriennali di Roma.

Lavora come ritrattista di divi cinematografici per i manifesti pubblicitari dei film. Il Museo del Cinema di Torino conserva due sue opere, le statue degli attori Leda Gys del 1915 e Febo Mari del 1917.

Nel 1916 consegue quello che M. S. definisce «il primo successo». Vince infatti a Bologna il premio nazionale di scultura della Fondazione Baruzzi, uno dei più importanti concorsi d’Italia con l’opera “Incubo”.

Questa, secondo M. S., la vissuta genesi di questa scultura:

Troppo conosce - avendoli sofferti fino in fondo - la povertà, la tristezza, il dolore; perché la sua prima opera e diciamo pure il primo grido della sua anima artistica finalmente sprigionata, possa essere una figurazione delle cose belle che sono nella vita.

La sua rivelazione non è un canto, è un lamento: «L’incubo». Quello che forse maggiormente la sua anima giovane ha sentito opprimente e sfibrante. È una figura maschia di forza, di volontà combattuta e ribelle.

La vincita del prestigioso premio migliora sensibilmente la vita artistica di Riva che può viaggiare e studiare le opere dei grandi del passato. Realizza una serie di opere, una targa commemorativa e di un busto a Don Luigi Garneri che si trova nell’atrio dell’Ospedale di Carrù. Sono opere sue, tra le altre, due targhe Ave, Regina Pacis ed il Sogno acquistate dal Re, quelle in memoria dei caduti di San Front e di Martiniana Po. Riva ha anche modellato i grandi gruppi di putti che decorano il palazzo della Scuola Municipale Santarosa alla Barriera di San Paolo.

Nel 1920 vince il Concorso nazionale per il monumento dei Caduti di Civitavecchia, «uno dei pochi lodati vivamente dal Re che, profondo conoscitore d’arte, è cosi schivo dalle parole elogiative», come sottolinea M. S.

A Torino realizza le due grandi lapidi in bronzo dedicate dalla Città a Guglielmo Oberdan e Cesare Battisti, inizialmente collocate sul Palazzo Carignano per essere poi sistemate ai lati dell’entrata della Galleria Subalpina, in va Cesare Battisti n. 13.

Riva è autore di fontane, ritratti, gruppi decorativi e di alcuni monumenti funerari che si trovano nei Cimiteri di Soriso, Genova e Staglieno.

Dal 1922 al 1930 si occupa della Fontana Angelica e per questa, nell’anno dell’inaugurazione, riceve alla Quadriennale di Milano un omaggio particolare.

Sono di questo periodo le informazioni più partecipate dello scultore Riva, contenute in un articolo de La Stampa dell’8 agosto 1924, dedicato appunto a «La Fontana Angelica e il suo autore». È un momento di forti polemiche per i ritardi nella realizzazione della fontana, polemiche che hanno anche coinvolto lo scultore che ha deciso di isolarsi a lavorare nella palestra scolastica e che vuole rassicurare la cittadinanza torinese sul suo impegno.

L’autore dell’articolo, che si firma M. S. ed è stato già più volte citato in precedenza, accenna ad un aspetto affettivo di Giovanni Riva, quello della madre adottiva:

La sua madre di pietà? Non l’ha dimenticata iniziando la sua strada. La volle con sé anche a Torino e prima ch’ella morisse le fece un ritratto che ora tiene nello studio fra le cose più care e venerate.

Negli anni ’30, Riva prosegue la sua attività con gruppi scultorei per il Cimitero di Torino, commesse Municipali e partecipazioni a varie occasioni espositive di livello nazionale: 1937 Napoli, Palazzina Spagnola, 1938 Torino, Esposizione Annuale Amici dell’Arte, 1940 Venezia, XXII Biennale dove espone il gruppo scultoreo in gesso “Centauro e Ninfa”.

Dal 1928 al 1935 è designato come componente della giuria per gli esami annuali al Liceo Artistico di disegno e plastica dell’Accademia Albertina.

Nel dopoguerra, oltre a varie commesse per opere cimiteriali, partecipa assiduamente a rassegne e occasioni espositive torinesi. Le ultime mostre sulla sua attività risalgono agli anni ‘70.

La morte di Giovanni Riva, «lo scultore della Fontana Angelica», è annunciata da Stampa Sera del 31 dicembre 1973. Il giornale ricorda che:

Aveva 83 anni, abitava in corso Agnelli 8. Tre mesi fa era stato ricoverato alle Molinette per una grave malattia. Non si è più ripreso. Il decesso è avvenuto nella notte fra sabato e domenica [29-30 dicembre].

Il cronista delinea un breve profilo biografico basato sull’elenco delle sue opere fra cui primeggia la Fontana Angelica: come si è detto in apertura, un artista appartato e modesto che ha saputo concretizzare con un’opera di rilevante valore artistico il legato del conte Bajnotti.

Di lì a qualche anno sarebbe nato, sui libri e soprattutto in rete un secondo Giovanni Riva, cultore di scienze occulte che con l’enigmatico conte Bajnotti trama per costruire una blasfema fontana davanti al Duomo di Torino e che anche in piazza Solferino, con la modifica dell’orientamento di una delle teste maschili riesce ad assicurare oscuri legami con malvage entità extraterrestri o demoniache… e qui facciamo punto, nel timore di trovare, fra qualche tempo, queste nostre annotazioni ironiche spacciate come verità inconfutabili in qualche sito internet.

M. S., Cammin facendo... La fontana “Angelica” e il suo autore, “La Stampa”, venerdì 8 agosto 1924.

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 19/04/2018