La fontanella di via XX Settembre, a Torino (seconda e ultima parte).

La scomparsa, la ricomparsa e la nuova scomparsa della «Fontana del candelabro», una fotografia di Mario Gabinio e «la villa della collina», uno degli articoli di fede dei torinesi di stretta osservanza.

Il giornalista de La Stampa avrà anche il dente avvelenato con il sindaco e l’amministrazione municipale torinese, ma il problema del ghiaccio che si crea intorno alla fontana non è da sottovalutare. Se ne parla al Consiglio comunale del 9 gennaio 1907, quando il consigliere Donato Bachi lamenta «gli inconvenienti dell’acqua che sfugge alla fontana di via XX Settembre e che d’inverno diventa centro di una vera ghiacciaia».

Di questo ghiaccio si parla ancora il 2 gennaio 1926, quando Ercole Moggi si diverte a descrivere la passeggiata nel primo giorno dell’anno, di una famigliola torinese che può già sbirciare, attraverso le fessure dello steccato, la Fontana Angelica in costruzione mentre la fontanella monumentale di via XX Settembre è circondata dal «consueto ghiaccio» scivoloso.

Da quando a Torino si è iniziato a parlare della nuova Fontana Angelica, questa si è subito rivelata una ingombrante concorrente per la nostra fontanella.

Il cronista de La Stampa, il 10 giugno 1920 così commenta il legato di 150.000 lire del conte Paolo Bajnotti per una fontana monumentale a Torino:

[…] Come è noto Torino di fontane monumentali non possiede che quella all’angolo di via XX Settembre e S. Teresa, che è un monumento di povertà e di cattivo gusto. Ma se ha dato luogo a tante discussioni quella sciagurata fontanella, è da immaginare che cosa succederà quando si tratterà di deliberare per la fontana da 150 mila lire più gli interessi. Sarà, di bronzo, di marmo, sarà una fontana… equestre, una fontana asciutta come una balia, o una fonte continua di spese?

Al momento di annunciare il concorso per la Fontana Angelica, nell’agosto 1920, si fanno questi commenti:

Si vede da ciò che il buon Bainotti era da molto tempo assente da Torino. Se vi fosso stato ed avesse visto la fontana monumentale di via XX Settembre, ed avesse assistito alle diatribe scatenate dalla sua apparizione, probabilmente avrebbe mutato parere. A maggior ragione avrebbe omesso la clausola che la fontana doveva essere «monumentale».

E ancora, dopo aver elencato le clausole principali del concorso, leggiamo questa spiritosaggine del cronista:

Da parte di qualcuno era stato proposto di includere nel bando di concorso la clausola che proibiva ai concorrenti, durante il periodo di studio dei loro progetti, il transito per via Santa Teresa e Via XX Settembre. Ma vi furono opposizioni e la clausola non venne messa…

A fine anno, dopo l’esposizione dei vari progetti, si sollevano tante e tali polemiche da indurre a questa affermazione:

Le fontane a Torino non hanno fortuna. Fanno scorrere polemiche e critiche più della loro acqua. Tutti ricordiamo il plebiscito di riprovazioni a cui diede luogo la fontana di via XX Settembre.

Più o meno negli stessi anni Mario Gabinio fotografa la fontanella e questa immagine rappresenterà la documentazione più precisa.

Nel 1936, la fontanella viene rimossa e scompare in qualche magazzino municipale. I motivi della rimozione non sono noti: si accenna al rifacimento di via Roma (che però nel 1936 riguardava il secondo tratto da piazza San Carlo a Porta Nuova), alla necessità di lasciare spazio alle linee tranviarie, alla consegna del ferro alla Patria. Queste le ipotesi affacciate, nessuna veramente convincente, senza aver ancora trovato una conferma in una precisa documentazione.

Fatto sta che per la fontanella si apre un lungo periodo di latenza che dura fino al 1986, quando La Stampa di martedì 29 aprile ne annuncia il ritrovamento presso i magazzini municipali di corso Appio Claudio. Sostenitore dell’operazione di recupero di quella che verrà sempre chiamata «fontana del candelabro» è il politico liberale Giuseppe Dondona, assessore all’Arredo Urbano.

Dopo non poche ricerche […] quel che resta del manufatto è stato strappato alla dimenticanza. Spariti, purtroppo, il candelabro e le decorazioni (probabilmente finite nel calderone del «ferro alla patria» degli anni di guerra) oggi rimangono la base in pietra e le vaschette a quadrifoglio.

«Il nostro impegno – osserva l’assessore Dondona – è, ora, restituire quest’oggetto, così caratteristico del gusto dell’epoca, alla fruizione comune. Se, poi, non sarà possibile ripristinarlo completamente, si potrà, dopo accurato restauro, “riusarlo”, magari come fioriera, in un ambiente qualificato come piazza Maria Teresa».

Trascorrono quasi due anni prima che si torni a parlarne. Ai primi di marzo del 1988, il cronista di Stampa Sera, Paolo Negro, informa i lettori sulla situazione: sono stati ritrovato soltanto il basamento e la vasca in pietra e mancano la parte superiore in ghisa e alcune decorazioni e così l’architetto Anna Gilibert Volterrani è stata incaricata di una perizia che stabilisca esattamente quali siano le condizioni. Sono giunti i primi risultati che l’assessore Dondona commenta con entusiasmo:

La fontana si è conservata in modo apprezzabile. In pratica è perfettamente restaurabile e con la ricostruzione delle parti mancanti tornerà alla sua originaria bellezza. Adesso bisognerà valutare dove sistemarla. Infatti oltre alla soluzione di riportarla in qualche giardino, si potrebbe scegliere tra le opportunità che si verrebbero a creare von l’eventuale chiusura al traffico del centro storico. Intanto inizieranno i lavori di ristrutturazione. […]

Sicuramente è un’opera di notevole valore che dev’essere riportata alla sua antica dignità. Adesso, la scelta di una sua collocazione può essere prematura, e comunque la cosa più importante è l’inizio del restauro.

Forse contagiato dall’entusiasmo dell’assessore, che a quanto pare ignora le antiche polemiche e i feroci giudizi negativi sulla fontanella, il cronista di Stampa Sera si lancia in affermazioni che sicuramente non sarebbero state condivise dai suoi colleghi di inizio Novecento:

Torino avrà di nuovo la sua «Fontana del candelabro», un’opera del 1897 di indiscusso valore storico-artistico sparita praticamente nel nulla da mezzo secolo.

E ancora

La «Fontana del candelabro», è stata per lungo tempo un vero e proprio simbolo della città.

Purtroppo, la fontana del candelabro, definita nel tempo «costoso innaffiatoio», «monumento di povertà e di cattivo gusto», «simbolo della città» scompare di nuovo.

Parla della fontana del candelabro, dopo dieci anni esatti, Maurizio Lupo, quando Anastasio Dagna, lettore di ottima memoria, avanza la proposta di utilizzarla per arredare piazza Castello, davanti a Palazzo Madama, al posto dei «giochi d’acqua» annunciati dal Comune nell’ambito del riarredo dell’area.

Prima di rispondere alla proposta, Maurizio Lupo ricorda il passato prossimo della fontana:

Circa dieci anni orsono fu rintracciata nei magazzini comunali, grazie a Bepi Dondona, allora assessore all’Arredo Urbano. Che la fece risanare, per quanto possibile, con l’obiettivo di ricollocarla da qualche parte. Un impegno rilevato poi da Gianni Vernetti, successore di Dondona. In primo tempo si ipotizzò di piazzare il Candelabro, «asciutto», trasformato in fioriera, in piazza Maria Teresa. Ma il progetto, come è tutt’ora evidente, non è andato a termine.

In ogni caso, conclude Maurizio Lupo, la fontana del candelabro non si può collocare in piazza Castello, per motivi estetici e tecnici. E può così tornarsene nel limbo costituito dal disinteresse della classe politica…

Va detto che la fontana del candelabro, nella versione della fotografia di Mario Gabinio, oppure in cartoline di via XX Settembre, appare abbastanza spesso sui social, nelle pagine dedicate alla “Torino di una volta”: riscuote grande successo con apprezzamenti entusiastici che sicuramente non ha mai ricevuto quando era in attività. Interessante il fatto che qualche informazione approssimativa ha fatto nascere la leggenda metropolitana che un suo fantomatico “basamento” sia finito in qualche villa della collina… Si potrebbe obiettare che il basamento, a quanto pare, è stato ritrovato, che non aveva alcun valore artistico, e che, molto più probabilmente, qualcuno potrebbe aver recuperato la parte metallica.

Ma quello che ritengo da sottolineare è che “la villa della collina” è uno degli articoli di fede dei torinesi di stretta osservanza, che evocano così un luogo fantastico, e quasi metafisico, dove misteriosi personaggi onnipotenti accumulano oggetti d’arte e altre cose preziose, pervenute nelle loro mani magari in modo non sempre limpido ma comunque non riprovevole da parte dei comuni mortali…

(Fine della seconda e ultima parte)

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Articolo pubblicato il 21/04/2018