Vercelli. Boris Petrushansky al Teatro Civico

A confronto i preludi di Fryderyk Chopin e Aleksandr Scriabin

Venerdì 20 aprile alle ore 21 al Teatro Civico di Vercelli gli appassionati del repertorio pianistico potranno apprezzare l’arte raffinata del grande virtuoso russo Boris Petrushansky, che metterà a confronto due autori come Fryderyk Chopin e Aleksandr Scriabin in un genere molto particolare come quello dei preludi.

All’inizio i preludi strumentali non erano altro che brevi introduzioni dal carattere generico a un brano più importante, al punto da essere paragonati in molti casi a un salatino servito prima di un raffinato antipasto.

Questa situazione cambiò radicalmente grazie a Johann Sebastian Bach, che nel 1722 compose il primo libro del Clavicembalo ben temperato (seguito vent’anni più tardi dal secondo), comprendente ventiquattro preludi e fughe in tutte le tonalità maggiori e minori a beneficio sia «della gioventù desiderosa di imparare» sia per il «diletto di coloro che sono già provetti in questo studio».

Grazie a questo monumentale capolavoro dedicato agli strumenti da tasto, il preludio assunse improvvisamente la dignità di genere indipendente e mosse i primi passi verso il grande successo che avrebbe goduto a partire dall’inizio del XIX secolo grazie sia a stelle di prima grandezza come Fryderyk Chopin, Franz Liszt, Claude Debussy, Aleksandr Scriabin e Dmitri Shostakovich sia ad autori oggi meno considerati come Johann Nepomuk Hummel e Charles-Valentin Alkan.

Chopin era solito iniziare le sue giornate al pianoforte suonando uno o più numeri del Clavicembalo ben temperato, un fatto che può spiegare il suo interesse per il genere del preludio. Rispetto al sommo Cantor lipsiense, Chopin abbandonò il binomio di preludio e fuga per concentrarsi solo sul primo, che in questo modo divenne una intensa – per quanto aforistica – espressione della sua esasperata sensibilità.

I ventiquattro Preludi op. 28 vennero concepiti tra il 1835 e il 1839, anche se la maggior parte di essi è legata al soggiorno a Palma di Maiorca, dove il compositore polacco si era recato con la sua compagna George Sand, alla ricerca di tranquillità e di un clima più salubre, per cercare di guarire dalla tubercolosi che nel 1849 lo avrebbe portato alla morte all’età di soli 39 anni.

Questi brani furono concepiti senza un preciso intento descrittivo (come fece notare Liszt, secondo il quale avevano «l’andamento libero e grande che caratterizza le opere di vero genio»), ma non mancano riferimenti più o meno velati, allusioni e dolorosi ricordi del passato, che grazie alla loro profonda immediatezza continuano a conquistare il cuore anche del disincantato pubblico moderno.

Tra queste piccole gemme di inestimabile valore – ognuna delle quali contiene un frammento vivo e palpitante del cuore di Chopin – meritano di essere ricordati il Preludio in si minore (n. 6), meglio noto con il titolo di “Goccia d’acqua” per via delle sue note ribattute che evocano l’immagine della pioggia, che venne eseguito con profonda commozione al funerale del compositore, quello in la bemolle maggiore, un delicatissimo Lied ohne Worte, sul quale Mendelssohn scrisse «Lo amo infinitamente: non posso dire né quanto, né perché. L’unica cosa che so è che io non avrei mai potuto scrivere un’opera del genere», e quello in re minore (n. 24), la cui atmosfera eroica e travolgente potrebbe riferirsi alla presa di Varsavia.

A proposito di questo preludio, il grande scrittore francese André Gide affermò che le sue ultime battute «si inabissano in una spaventosa profondità», che esprime con impressionante efficacia l’animo tormentato di Chopin.

Esattamente mezzo secolo più tardi, la raccolta di Chopin ispirò il sedicenne Aleksandr Scriabin a scrivere un’opera simile nella struttura (cioè con i preludi ordinati secondo il circolo delle quinte, quindi facendo seguire la tonalità maggiore dalla relativa minore), ma con quarantotto preludi, come il Clavicembalo ben temperato (il perenne ritorno dell’eterno Bach).

I frequenti impegni del giovane compositore – che in quel periodo compì parecchi viaggi all’estero – e le continue sollecitazioni dell’editore Belaev costrinsero però Scriabin a dare alle stampe nel 1897, dopo nove anni di lavoro, solo i primi ventiquattro brani in quattro quaderni con sei preludi ciascuno, ai quali se ne aggiunsero in seguito altri usciti con i numeri d’opus 13, 15, 16 e 17.

Sotto l’aspetto tecnico, Scriabin in queste opere dimostrò di possedere una invidiabile tecnica compositiva e un fiammeggiante virtuosismo, che lo collocano sullo stesso piano dei migliori esponenti del Tardo Romanticismo, ma rispetto ai preludi di Chopin a questi lavori manca quella dolorosa consapevolezza della condizione umana e quell’atteggiamento in bilico tra volontà di reazione e quieta rassegnazione che poteva sviluppare solo un uomo tutto proiettato in se stesso come il compositore polacco.

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Articolo pubblicato il 18/04/2018