Di Maio rispolvera la politica dei due forni, ma il fornaio potrebbe non essere lui.

I veti incrociati di Lega e 5Stelle potrebbero favorire una figura terza.

 

Maria Elisabetta Alberti Casellati è salita al Colle alle undici di stamane.
Mattarella, dunque, non registrando significativi cambi di rotta da parte delle forze politiche ha deciso di intraprendere la va costituzionale, quella che permette di incaricare un parlamentare, di norma la seconda carica dello Stato, del mandato esplorativo. Vedere, insomma, se tra i deputati ci sia la possibilità di creare una maggioranza atta a sostenere un governo, cosa che i partiti, allo stato attuale, non riescono a garantire.

La Casellati, che è la seconda donna a cui viene riconosciuto questo incarico nella storia repubblicana  dopo Nilde Iotti nel 1987, dovrà spendere tutta la sua autorità e le sue competenze per convincere una buona parte del Parlamento a spostarsi verso il Centrodestra: la missione pare ardua, visto che il Pd vede nell’attuale Presidente del Senato l’avvocato di Berlusconi, artefice delle varie leggi ad personam, mentre il Movimento 5 Stelle, che pur ha contribuito alla sua elezione a Palazzo Madama, l’ha fatto per una questione di scambio di voti, in garanzia della massima poltrona a Montecitorio.
Già, proprio su quella poltrona pare sedersi l’indiziato principale a condurre un eventuale governo 5 Stelle- Partito Democratico.

Andando con ordine, la prassi istituzionale vuole che, qualora il Presidente del Senato vedesse fallire il proprio intento di formare un governo, la palla passerebbe al Presidente della Camera, e lì i giochi si farebbero più interessanti: il Pd, che nelle ultime ore con il segretario reggente Martina è sembrato meno rigido circa la possibilità di aiutare la nascita di un esecutivo, vede di buon occhio Roberto Fico, grillino ortodosso ma in passato elettore di Rifondazione Comunista- per sua stessa ammissione- rappresenta l’area di sinistra del M5S. Nella passata legislatura è stato presidente della Commissione Vigilanza Rai, ha spesso avuto screzi con l’attuale leader pentastellato e potrebbe rappresentare perfettamente il trait d’union tra le due forze politiche.
Mettiamoci anche che è Presidente della Camera, quindi, in qualche modo visto dalle parti come istituzionale e meno politicizzato di Di Maio.

Al di là del nome, l’impressione è che il corteggiamento tra democratici e grillini, caldeggiato anche da giornali vicini al Movimento 5 stelle come il Fatto Quotidiano, sarebbe a uno stato piuttosto avanzato: un po’ per necessità un po’ per compatibilità.
La necessità, per voler continuare una similitudine cara a Di Maio, è che il forno di centrodestra si sta chiudendo sempre di più: Salvini non ha alcuno voglia di staccarsi da Berlusconi, e la presidenza dell’ex Cavaliere di fatto rende impossibile un’alleanza tra i due.

Al Movimento è rimasto il forno Pd: il fuocherellino che arde lì dentro è sempre difficile da domare, ma senza l’arcinemico Renzi, potrebbe risultare gestibile.
Martina ieri ha elencato tre punti, poveri, famiglia e lavoro,considerati prioritari e dai cui deve ripartire il Partito Democratico. Tre filoni abbastanza generici che potrebbero aprire le porte anche al reddito di cittadinanza, che nella realtà esiste già, trattandosi del Reddito di Inclusione; basterebbe solo allargarne la platea e cambiargli nome. E il gioco sarebbe fatto.
Il Movimento, d’altro canto, sull’Europa, immigrazione, politica estera, sembra aver fatto una bella inversione, istituzionalizzandosi e sposando posizioni molto simili a quelle del Centrosinistra: c’è chi scommette che presto i deputati grillini in Parlamento Europeo usciranno dal gruppo di Farage per entrare in quello di Macron.

Insomma, la notizia buona per i 5 Stelle è che essi potrebbero aver trovato finalmente il forno dove poter cuocere i sogni di governo, quella meno buona è che a indossare il ruolo di fornaio potrebbe essere un altro campano, Roberto Fico.

 

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Articolo pubblicato il 18/04/2018