Il mondo in una stanza - Parte 2

Riprendiamo da dove avevamo lasciato la settimana scorsa sui consigli riguardo a film ambientati in una sola stanza, luogo chiuso o ambiente ristretto.

Un genere dove come già detto i personaggi si trovano a cofrontarsi e scontrarsi muso a muso facendo emergere la bravura dei migliori attori, attrici e la sapienza dietro la macchina da presa dei migliori registi della storia del cinema.

Un impianto di genere molto "teatrale" che però riesce a spaziare dagli horror ai film action, dalle commedie al dramma psicologico e tanti altri tipi di storie molto spesso tanto più esaltate quanto più limitate e circoscritte sono le location e i set dove vengono ambientate le vicende.

Se la settimana scorsa avevamo parlato di film diretti da Hitchcock, Romero e John Carpenter, 3 registi di culto che hanno riscritto le regole dei generi cinematografici che si sono scelti; questa settimana parliamo di altrettanto importanti cineasti che hanno fatto a modo loro storia entrando nei cuori di tutti gli amanti della settima arte.


LA PAROLA AI GIURATI (1957 - Sidney Lumet)
Opera d'esordio del grande Sidney Lumet, successivamente regista di film di incommensurabile successo di critica e pubblico come "Serpico", "Quinto potere" o "Quel pomeriggio di un giorno da cani".

Interamente ambientato nella saletta di un tribunale dove è riunita una giuria di 12 uomini, durante un lungo pomeriggio di calura afosa, chiamata a condannare o assolvere un giovane ragazzo accusato di aver ucciso suo padre.

Compatto e privo di dubbi, il gruppo di uomini sembra essere certo della colpevolezza dell'imputato, senonchè il personaggio interpretato da Henry Fonda invece solleva una serie di interrogativi sugli elementi cruciali del processo, come lo scarso impegno dell'avvocato difensore, le molte prove puramente circostanziali e le testimonianze non così affidabili come sembrava di primo acchito.

Inizialmente solo contro 11 uomini, l'uomo dovrà lottare non solo contro le prove e gli atti del processo che sembrano smentirlo, ma soprattutto con i pregiudizi e la mentalità ristretta, ignorante e razzista di alcuni dei suoi colleghi giurati, decisi a tutti costi a voler vedere condannato a morte il giovane ragazzo.

Un esordio decisamente originale che si distacca da molti altri "Legal Movie" per l'ambientazione isolata e ristretta dove si svolge la vicenda, tutta ambientata in un'unica stanza attorno a un tavolo ove siedono i 12 giurati.

Un film che descritto così potrebbe sembrare statico e verboso ma che invece ha un ritmo serratissimo che procede incalzante fino all'ultimo minuto, scoprendo le carte a mano a mano così come scopre i tratti umani e psicologici dei singoli giurati, un branco ben amalgamato di caratteri e culture diverse, tutti però chiamati a un compito importantissimo, avendo nelle loro mani la vita e la libertà del giovane imputato.

Prima mattonella fondamentale per Sidney Lumet, poliedrico e affermatissimo regista di fama mondiale che tornerà ripetutamente nelle aule di tribunale con film magnifici come "Il verdetto" con Paul Newman o anche il divertentissimo "Prova a incastrarmi" con la star action Vin Diesel incredibilmente azzeccato nella parte dell'attempato e volgarotto mafiosetto italo/americano sotto processo.


LA MORTE E LA FANCIULLA (1994 - Roman Polanski)
In una casetta isolata nelle colline del Sud America una coppia sposata riceve un dottore come ospite, invitato per discutere della carriera politica del marito.

Ma nell'uomo la moglie riconosce lo spietato aguzzino che l'aveva torturata ai tempi della sua terribile prigionia durante la dittatura; così decide di sequestrarlo e interrogarlo ininterrottamente fino a fargli ammettere le sue colpe davanti al suo compagno.

Indeciso tra l'uomo che si professa innocente e la sicurezza senza dubbi della moglie, l'uomo si frappone tra i due fungendo da avvocato difensore alla ricerca di prove inconfutabili prima di decidere il destino del dottore.

Una storia dura raccontata senza fronzoli e senza indorare la pillola sulla crudeltà dei sistemi totalitari contro le classi più deboli e indifese, come la donna che afferma di essere stata ripetutamente violentata sulle note dell'opera "La morte e la fanciulla" durante i brutali interrogatori durante i quali fu sottoposta ad ogni genere di torture e sevizie.

Fantastica l'interpretazione di una grandiosa Sigourney Weaver, contrapposta alla lucida e apparentemente candida innocenza del dottore interpretato da Ben Kingsley.

Ponte di comunicazione tra i due invece interpretato da Stuart Wilson, uomo di legge dedito alla logica e la ragione, qui combattuto tra il desiderio di un equo giudizio nei confronti del dottore e la rabbia e vergogna per gli abusi subiti dalla moglie.

Al solito impagabile i ritmi e il montaggio con cui Roman Polanski gestisce e narra la vicenda, poggiando sulle solide basi di una regia lineare e semplicissima e una messa in scena minimale per risaltare al massimo il fantastico lavoro svolto dai suoi attori, qui davvero ai massimi livelli delle loro carriere decennali.

Un film imperdibile che parla di giustizia e vendetta, libertà e dittatura, sofferenza e vergogna così come amore e perdono; mescolando il tutto e servendo a freddo su un piatto di fattura classica eppure moderno nella sua concezione come tanti dei film dell'originale e sempre prolifico regista francese.


UNA PURA FORMALITÀ (1994 - Giuseppe Tornatore)
Non poteva mancare all'appello un film italiano diretto da un nostro grande compaesano come Tornatore, qui secondo chi vi scrive al suo massimo espressivo come regista.

La storia mette uno contro l'altro il regista di cui prima, Roman Polanski, qui come attore contrapposto al grande Gérard Depardieu.

Depardieu qui nel ruolo di uno sconosciuto fermato dalla polizia durante un violentissimo temporale, sospettato di un misterioso omicidio avvenuto poco lontano e interrogato tutta la notte senza tregua dal commissario Polanski.

Commissario che riconosce nel sospetto il famoso scrittore dei suoi romanzi preferiti, uomo dal grande talento e dalla grande carriera che però continua fornirgli versioni e testimonianze contraddittorie e senza senso sui suoi movimenti e le ore trascorse durante il delitto su cui sta indagando.

Un film sporco, bagnato, come la catapecchia di commissariato dal tetto sgocciolante d'acqua dove si svolge la vicenda; un luogo surreale dove i poliziotti sembrano vivere come in un sogno, slegati dallo spazio e dal tempo in una terra fuori dal mondo isolata in sè stessa.

Imperdibili gli scambi di battute e gli screzi tra i due protagonisti, in quello che è un duello all'ultima domanda e l'ultima bugia lungo tutto una notte in attesa della fatidica, inequivocabile e incontestabile verità finale.

Letteralmente perfetta la regia puramente classica di Tornatore, alternando primi piani e dettagli dei vari oggetti e volti dei personaggi ai campi e controcampi più larghi durante il lunghissimo interrogatorio, focalizzandosi sullo sguardo dei due attori durante le loro introspezioni personali e gli insulti piccati e ironici che si cambiano per tutto il film.

Un piccolo gioiello tutto italiano, un capolavoro senza tempo da guardare e riguardare per apprezzarne le mille sottili sfumature e assaporare quei frammenti di dialogo o inquadratura che non avevamo colto al primo colpo.

Il meglio del meglio di Giuseppe Tornatore.

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Articolo pubblicato il 10/06/2018