Cala la disoccupazione: ma a che prezzo?

Ecco perché bisogna sempre diffidare dei dati che ci vengono forniti

 

La notizia, riportata in queste ore trionfalisticamente da ogni Telegiornale e sito d’informazione, è che la disoccupazione in Italia è ai minimi dal 2011.
E il dato sugli occupati, 23,13 milioni di italiani, è addirittura pari a quello 2008, l’anno in cui sarebbe poi partita la crisi che ha tenuto in scacco il mondo occidentale per quasi un decennio.

Le buone notizie, rivela l’Istat, riguarderebbero più che altro i giovani sotto i 25 anni e gli Over 50, mentre non si registrerebbero variazioni per la fascia d’età di mezzo, e per quanto riguarda le donne, ci sarebbe una leggera flessione.
A far scalpore è il tasso di disoccupazione giovanile, ora intorno al 31,7%: un bel passo avanti se si considera il quasi 40% toccato un paio di anni fa.
La disoccupazione generale si attesta all’11%.

Sono dati senz’altro incoraggianti, che indicano una lentissima ma costante ripresa.
Tuttavia bisogna fare alcune essenziali considerazioni: in primis valutando chi rientra tra i disoccupati e chi no.
Non rientrano in questo campo coloro che non fanno ricerca attiva di lavoro da almeno una settimana – gli scoraggiati per intenderci, ma nemmeno i Neet, giovani non impiegati in lavoro né in processi di formazione -, così come non viene contato chi ha preferito iscriversi all’Università pur di far qualcosa, parcheggiandosi in attesa di un’occasione lavorativa.

Lasciamo perdere, poi, le migliaia di ragazzi che hanno preferito abbandonare il paese in cerca di fortuna altrove: paradossalmente la loro dipartita porta a valori positivi per la nostra occupazione.
 
Bisogna poi analizzare chi è considerato occupato: secondo l’Istat lo è chi svolge almeno un’ora di lavoro retribuito alla settimana. Non importa se a prestazione occasionale, a chiamata, o con contratti settimanali (anche giornalieri); rientrano, perciò, nel calderone degli occupati categorie come gli steward che prestano servizio durante le partite, o le commesse impiegate esclusivamente nei weekend.
Infatti il dato Istat rivela come sia in aumento il lavoro autonomo, mentre risulti stabile quello a tempo determinato. L’indeterminato, vera e propria chimera, tocca quasi 15 milioni di italiani, e non dà segni di ripresa, nonostante gli sforzi –veri o presunti- del governo Renzi.

Il jobs act unito all’imperversare di varie catene straniere ha portato al proliferare di una serie di lavori mal pagati e scarsamente garantiti dalla legge: si è generata una sorta di zona d’ombra in cui la fan da padrone per esempio Foodora, Deliveroo, Just eat, o altre compagnie che si occupano di distribuire cibo pagando i propri dipendenti a cottimo, senza regolare contratto che li copra in caso di malattia e infortunio.

Nel sottobosco di questa jungla ci sono impieghi come quelli offerti da vari Fast Food o catene d’abbigliamento e supermercati che ricorrono quasi esclusivamente al part-time o contratti a chiamata; la Ryanair offre ai suoi dipendenti pagamenti in base alle ore di volo effettuate con reperibilità gratuita e tasse pagate in Irlanda; Amazon controlla i propri dipendenti manco fossero carcerati, sviluppando nuovi sistemi per controllare meglio il lavoratore; le agenzie del lavoro, complici dei grandi marchi, offrono contratti lampo arricchendosi spesso con corsi di sicurezza e formazione dalle dubbie utilità.
Anche Poste, un tempo luogo di lavoro ideale, ora ha smesso di assumere a tempo indeterminato affidandosi esclusivamente ai contratti a termine: ragazzi usati qualche mese e poi lasciati a casa senza possibilità d’assunzione alcuna.

Insomma, è il trionfo del lavoro liquido, quello precarizzato e incerto, che garantisce difficilmente indipendenza economica ai ragazzi, ma spesso offre paghette minime e nessuna possibilità di crescita professionale.

C’è poi il filone del porta a porta, che paga a cottimo e spesso si muove sul limite della legalità, o quello dell’animazione, molto in voga in questo periodo, in cui viene proposto a ragazzi entusiasti dodici ore di intrattenimento a salari veramente poco entusiasmanti .
Conosco un’amica che quest’anno ha dovuto presentare sette CUD: fortuna che essendo la dichiarazione precompilata, risulta più semplice presentarla, ci scherza su lei.

Una cosa è certa: la gente non sta percependo questa risalita economica, e sta punendo in cabina elettorale chi ci ha governato nel recente passato, Forza Italia e Partito Democratico su tutti; il problema è che anche gli altri partiti non sembrano avere idee concrete su un tema tanto complesso quanto decisivo come il lavoro. C’è chi preferisce puntare sull’assistenzialismo, chi spostare l’attenzione sul tema dei migranti.
Altri nei loro programmi inseriscono ancora Marx e Gramsci …
Nel 2018, in Italia.

 

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Articolo pubblicato il 02/05/2018