Martina chiude al M5S e al Centrodestra: elezioni molto più vicine.

La relazione del segretario democratico ricuce il Pd e proietta il Paese alle urne

 

Il matrimonio impossibile non si è celebrato, e la cosa non stupisce affatto.
Nessuno aveva scelto le bomboniere, e le lettere di partecipazione non erano ancora state affrancate.
No, sull’Unione M5s-Pd ci avevano creduto in pochi, forse solo Roberto Fico, il Presidente della Camera che con toni eccessivamente ottimistici aveva considerato “positivi” gli incontri con i capigruppo Pd e 5 Stelle, intendendo il dialogo sul programma “avviato”.

Il Partito Democratico nei fatti ha sempre seguito la linea dettata dall’ex sindaco di Firenze che, anche da semplice senatore, ha mosso e continua a muovere i fili interni al suo partito.
Inutile girarci intorno parlando di dimissioni e passi indietro; è Renzi ad aver avvallato le candidature dei deputati che ora siedono in Parlamento e che sono legati a lui quantomeno da un sentimento di riconoscenza. Nessuno ha la benché minima voglia di votargli le spalle.

Certo alcuni esponenti democratici nei giorni scorsi hanno fatto finta di tentennare, han provato a vedere fino a che punto si sarebbe esposto Di Maio; Michele Emiliano, la pecora nera Pd, ha aperto ad una possibile intesa di governo con i grillini e lo stesso Martina ha dispensato dichiarazioni ambigue in più circostanze: tuttavia è bastata l’uscita a Che Tempo che fa di Renzi Domenica scorsa per mettere tutti in riga- il partito è stato messo all’opposizione dagli italiani e da lì non si deve togliere, in estrema sintesi- , sintomo che anche nel Pd c’è sempre e solo un leader.
I malumori del reggente sono stati una lieve reazione all’arroganza del fiorentino, peraltro subito riassorbita, visto che lo stesso Martina oggi durante la sua relazione al Partito ha posto fine al flirt con i 5 Stelle.
Eccone uno stralcio decisivo con cui chiude definitivamente a Di Maio e Salvini.

Questa direzione ci chiama a un confronto franco, sincero, a due mesi dal voto che ci ha consegnato una delle sconfitte più nette mai accadute nella nostra storia. Il voto ci pone domande cruciali sul destino del campo del centrosinistra". "Non possiamo rimuovere quel che è accaduto: dobbiamo capire per cambiare", aggiunge. "Non ce la caveremo solo con qualche mossa tattica. Non si tratta di tornare indietro né andare oltre, ma riprogettare per ripartire. Serve un ripensamento netto su come si sta insieme, su come ci si confronta e si prendono le decisioni dopo essersi ascoltati e aver fatto un confronto con la voglia di costruire una risposta insieme non solo con rapporti di forza". 
Con M5s "capitolo chiuso", ha scandito. "Parlavamo molto di loro ma il tema vero eravamo noi, il nostro ruolo e la nostra funzione anche quando si è minoranza. Per me era non condannarci all'irrilevanza e accettare una sfida. Era un'ipotesi più rischiosa ma l'ho immaginata per come potevo fino a qui con questa ambizione". "Per noi il tema non è mai stato votare Salvini o Di Maio Premier. Ma per noi il tema non potrà mai essere nemmeno sostenere un qualsivoglia percorso con Salvini, Berlusconi e Meloni come soci di riferimento. Tanto più impossibile chiaramente per noi un governo a trazione leghista". 

Fa poi un auguro a Sergio Mattarella, Martina, a cui garantisce la massima stima e fiducia anche in occasione delle nuove consultazioni di lunedì.
Al di là delle parole di facciata, non si capisce come il Presidente della Repubblica possa uscire da questo empasse: un governo del Presidente è osteggiato da molti, Lega e M5S in primis, mentre un esecutivo atto a modificare la legge elettorale potrebbe richiedere più tempo del previsto senza contare che, senza una riforma costituzionale, le leggi nettamente maggioritarie, o quelle che prevedono ballottaggio in stile francese, sarebbero dichiarate incostituzionali.

Per molti altro non resta che preparasi alle elezioni anticipate in primavera, addirittura in autunno di quest’anno per i più frettolosi; dopotutto i partiti non hanno mai smesso di fare campagna elettorale, e con la polarizzazione dei poli vincitori, accentuata anche dai recenti sondaggi, la possibilità che una forza politica raggiunga il 40% non è così assurda.
Resta l’ostacolo più grande: come convincere quel migliaio scarso di deputati che hanno vinto un posto in parlamento per i prossimi 5 anni a fare un passo indietro rinunciando di spontanea volontà al lauto stipendio e ai relativi benefit?

 

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Articolo pubblicato il 03/05/2018