Lavoro: la grande inutilità dei Centri per l’Impiego

Modificati e riorganizzati, non riescono a collocare alcun disoccupato.

 

Per accedere a un sevizio fornito dal Cento per l’Impiego di Torino Nord bisogna presentarsi almeno tre ore prima dell’apertura, verso le sei di mattina, chiedere alla guardiola un numerino, e religiosamente aspettare sorga il sole e qualcuno dei dipendenti tiri su le serrande.
Il gruppo di persone che via via si accalcano fuori la struttura di Via Bologna 153 sono tra le più disparate, ragazzi appena diplomati, uomini di mezza età che hanno da poco perso il lavoro, tante persone di colore o con accento dell’est.
Una variegata rappresentazione degli esclusi dal mondo del lavoro che ogni mattina, stancamente, viene raffigurata nella quasi totale indifferenza in quella porzione di città.

Ogni mattina si crea una coda che occupa tutto il porticato, a prescindere dal caldo o dal freddo, mi dice una delle guardie che si occupa di regolare il flusso, certo poi ci sono picchi o cali fisiologici, ma la gente è sempre molta.
Un esercito di disoccupati che si reca in uno dei due Centri per l’Impiego di Torino con la vaga speranza di uscire da quella condizione anche se, dati alla mano, l’utilità di quelli che furono un tempo i centri di collocamento è pari a zero.


Sul suolo Nazionale sono distribuiti 556 Centri, per un costo totale di 600 milioni di euro l’anno; una fitta rete che, secondo il governo Renzi, avrebbe dovuto fungere da incrocio tra domanda e offerta nel mondo lavorativo ma che, di fatto, è finita per alimentare l’ennesimo carrozzone pubblico.
I Centri hanno perso la loro funzione originaria- semmai l’hanno avuta- ma sono comunque intasati poiché servono a raccogliere le domande di disoccupazione (e accedere alla Naspi), svolgere corsi per i meno avveduti del tipo come scrivere un Cv, o come orientarsi nel mondo del lavoro, che, intuita la perdita di tempo, uno cerca solo di evitarli, ed altre iniziative che a tutto servono fuorché aiutarti a collocarti
E poi promettono.
In quello sono bravi.
Promettono che i tuoi dati saranno inseriti nei famosi database e che verrai ricontattato presto o tardi. E mi raccomando, fate attenzione a tenere acceso il cellulare e non andare troppo lontano che potrebbero chiamarvi e dovrete essere reperibili.
Conosco gente che è anni che guarda il display del telefono speranzosa senza spostarsi di casa che non sia andare al supermercato nell’attesa della chiamata che non verrà mai.

E la sensazione di profonda inutilità non coinvolge solo i Centri di Torino, ci mancherebbe, ma è un fattore che accomuna tutta Italia, per una volta stranamente unita: le persone che hanno trovato impiego grazie ai fatidici CPI sono tra il 2,2 e il 3,2% dei due milioni e mezzo che ogni anno si rivolgono a loro.  
Praticamente nessuno, se si pensa che in Francia e in Germania hanno un’efficacia del 20%.

Le cause di questo ennesimo spreco di soldi pubblici sono molteplici: si va da impiegati spesso svogliati e privi di titoli, a banche dati assenti o poco aggiornate cui le aziende possono accedere.
Le procedure con cui muoversi sono assenti e l’idea di creare nel 2014 l’Anpal (agenzia nazionale delle politiche attive) per coordinare i Centri per l’Impiego e le politiche lavorative  si è rivelato l’ennesimo flop.

Con queste premesse ieri il deputato leghista Claudio Durigon ha chiesto un’interrogazione parlamentare "I centri per l'impiego costano tantissimo e sono inutili. Una macchina farraginosa che dà lavoro solamente al 3% dei disoccupati. Una percentuale ridicola, figlia del mancato decollo dell'Anpal, dell'endemica inefficienza dei centri di collocamento pubblici e dello scontro Stato-Regioni. Fattori che inevitabilmente hanno portato al fallimento del piano per le politiche attive del governo". 

Parole che fanno il paio con le critiche mosse da Luigi Di Maio qualche tempo fa sullo stesso argomento.
Sul tema, almeno quello, sembra ci sia sintonia tra le due forze vincitrici delle elezioni: speriamo sia di buon auspicio per una revisione di questi inutili enti.
Che non riguardi solo il nome.

 

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Articolo pubblicato il 07/05/2018