In nome della rosa.

La tragica assenza di programmi in una Politica impegnata solo a discuter su se stessa.

I rocamboleschi e altalenanti fatti politici degli ultimi sparuti giorni non possono che fornire lo spunto per qualche considerazione altrettanto sbrigativa…

Assodato ormai come il pendolo della XVIII Legislatura, una volta messa da parte l’ennesima soluzione istituzionale paventata da Sergio Mattarella, s’inclini decisamente a favore dell’ardita liaison Lega-Movimento 5 Stelle, resta nondimeno il sentore che in ambedue i casi si stia rincorrendo una configurazione di equilibrio altamente instabile.

Infatti, da quale fonte gli schieramenti politici dovrebbero trarre credibilità e autorevolezza?

Naturalmente dai programmi…

Naturalmente (ahinoi!) ancora convitati di pietra in questo generale simposio ciarlatano, dove in luogo di preoccuparsi del che cosa fare sembra ci si spenda piuttosto sul chi proverà (poi) a pensarvi…

A detrimento, come ovvio, di costanza e rigore formale: due altre caratteristiche irrinunciabili per una Politica “scientificamente” dedita al perseguimento del bene comune e che, sebbene esposta a inevitabili declinazioni compromissorie, non presti tuttavia orecchio al suadente canto del trasformismo cadreghista.

In questo senso e ragionando con ordine, viene allora da chiedersi come avrebbe dovuto essere interpretata l’espressione “Governo neutrale”…

Fino a prova contraria, compito di qualsivoglia Esecutivo sarebbe infatti quello di indirizzare attivamente le politiche del Paese, proponendo leggi da sottoporre al vaglio del Parlamento. Dunque, per costruzione, l’azione governativa non può prescindere dall’essere ontologicamente schierata e “di parte”. Nondimeno, più detta “parte” si avvicina alla totalità dei cittadini (pur sapendo di non poterla traguardare), maggiori risultano la positività e l’incidenza delle misure intraprese.

Alla luce di quanto esposto, un fantomatico Governo equidistante (e di concerto inconcludente), insipido, grigio e privo d’ossatura ideologica, non sarebbe certo stato l’optimum di fronte alle gravi crisi, tanto nazionali quanto estere, che offuscano e ammorbano la nostra quotidianità.

Inoltre, in senso strettamente logico, esso potrebbe neanche esistere, nella misura in cui comunque condizionato dal “genotipo” di ciascuno dei suoi membri: ovvero dalle umane e immarcescibili propensioni dei singoli politici partecipanti.

Questo a meno di non considerare vincoli esterni. L’aggettivazione “neutrale” risulterebbe infatti appropriata qualora s’intendesse con essa il chinar la fronte, sempre e comunque, al molto spesso (troppo) persuasivo “fenotipo” delle esterne obbligazioni continentali. Come Ponzio Pilato, lavandosene giustappunto le mani (e le responsabilità) al grido di “ce lo chiede l’Europa”…

Alla fine la quadra per un Governo politico pare essere stata comunque raggiunta. Infatti – davanti al duplice spettro tanto d’immanenti elezioni quanto di un Esecutivo tecnico che, non avallato dai partiti vincitori, avrebbe comunque condotto a nuove consultazioni – è comprensibilmente prevalsa la linea politica del “hic manebimus optime” o, in altri termini, dell’attaccamento alla posizione raggiunta, specie da parte dei parlamentari neoeletti.

Vero è che, senza sostanziali emendamenti al Rosatellum, un ipotetico ritorno alle urne non farebbe che riprodurre risultati suppergiù analoghi in valore assoluto, ingenerando così nelle Istituzioni una crisi di arduo superamento. Questo per quanto concerne il dato medio di ciascuno dei tre blocchi in campo: a livello specifico, invece, la Lega spiccherebbe il volo, dragando una significativa fetta dei consensi forzisti.

All’uopo, il lieve ma sintomatico calo nazionale rilevato per il Movimento 5 Stelle (divenuto nondimeno crollo oggettivo in Friuli Venezia Giulia), induce a questo punto un’ulteriore riflessione. Quanto della presente bilancia dei consensi si basa effettivamente sul merito dei singoli partiti, e non piuttosto su demeriti e pecche degli altri?

Le vicissitudini grilline insegnano come le esperienze politiche imperniate sulla squisita critica dell’operato altrui siano facilmente equiparabili a un Giano bifronte: reattive al termometro dell’umor di pancia e passibili d’essere con rapidità rivoltate quando, da inquisitori, ci si ritrova “pizzicati” nell’atto di comportamenti altrettanto biasimevoli. Come, per l’appunto, l’essersi proposti tanto a Destra quanto a Sinistra.

Chissà se, nel mezzo di codesto bailamme di veti e voti incrociati, si troverà presto il tempo per ragionar fattivamente di esecuzione e conciliabilità dei rispettivi propositi, adottando peraltro quella visione anticrociana per cui le cose – in quanto cose – reggono le idee senza diventarne ancelle servili.

Perché Palazzo Chigi non significa l’uno o quel candidato, gli Esteri non sono semplicemente una poltrona da occupare, né gli Interni un mero presidio strategico… Dietro al velluto dei blasonati scranni romani ingiallisce infatti la stoffa logora di una cittadinanza che necessita di riscontri concreti... e di buonsenso.

La si smetta dunque con la personalistica retorica politica del corto raggio e si spazi sul futuro, astenendosi, finalmente, dal favellar solo in nome della rosa (sottinteso, in nome della rosa di nomi da insediare)!

 

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 12/05/2018