Salvini torna a dubitare: il leader della Lega mette in conto il fallimento del dialogo con Di Maio e cerca l'exit strategy.

Si rimette alla base: domenica referendum iscritti, troppi rischi in vista. E resta il nodo sul premier: al Colle nessun nome.

Al Colle Matteo Salvini ci è salito senza nomi per la premiership. Nel suo colloquio con Sergio Mattarella, il leader della Lega non ha portato candidati per il ruolo di capo del governo con il M5s. Perché i problemi di questa nuova avventura intrapresa con il M5s dal 5 marzo, stanno a monte. Ci sono le differenze sul programma: "Il governo nasce per fare le cose: o si comincia o ci salutiamo".

 

E ci sono soprattutto quei "vincoli esterni", cioè vincoli europei, che Salvini cita con forza parlando alle telecamere col volto scuro, dopo l'incontro con il presidente della Repubblica. "O si ridiscutono i vincoli oppure è un libro dei sogni: il governo parte se può fare le cose – dice il leader leghista – sennò non cominciamo nemmeno...". La richiesta a Mattarella è di avere altro tempo per consultare la base ai gazebo nel weekend prossimo: per dividere la responsabilità di un governo che comincia a presentare troppi rischi.

Sarà un sì o no? Dipenderà dalle parole d'ordine, da cosa succederà da qui a domenica. Di certo oggi Salvini ha piantato paletti altissimi, usando toni gravi, faccia preoccupata, espressione tesa: una modalità che ha sorpreso non poco anche gli stessi pentastellati.

"Momento critico", segnala un dirigente della Lega dopo che tutta la delegazione è scesa dal Colle. Per la prima volta, dopo una settimana e più di colloqui con il leader pentastellato Luigi Di Maio, Salvini mette in conto il fallimento. Ma naturalmente i fallimenti si rischia poi di doverli pagare. E allora eccolo qui a chiedere più tempo a Mattarella per chiudere un'intesa con Di Maio, cosa ancora ufficialmente rimasta in campo e nelle speranze di un leader che non vuole macchiarsi del fallimento della trattativa. E per questo Salvini rilancia, puntando alto. Se va, va.

"Io voglio andare fino in fondo eliminando la legge Fornero", dice nella loggia d'onore del Quirinale, subito dopo il colloquio con Mattarella. Ancora: "voglio eliminare l'aumento dell'Iva e l'aumento delle accise. Anzi, il mio impegno era ridurre le accise sulla benzina. Sull'immigrazione le posizioni di Lega e 5 Stelle partono da una notevole distanza. Nel rispetto dei diritti umani, della solidarietà, lo dico da padre di famiglia, mi rifiuto di pensare all'ennesima estate-autunno degli sbarchi, del business dell'immigrazione in saldo. E su questo, se parte il Governo, la Lega deve avere mano libera per tutelare la sicurezza de cittadini italiani e smantellare quello che è un business sulla pelle di queste persone". Ancora, "la legge sulla legittima difesa: ci siamo impegnati ad approvarla e lo dobbiamo fare".

Aveva esordito parlando di "schiettezza". "Stiamo facendo uno sforzo enorme, perché se ragionassimo per convenienze politiche, partitiche e personali non saremmo qua da tempo". Perché "se dovessimo ragionare a pane, convenienza, seggi e sondaggi, visto che tutti dicono che la Lega è quella cresciuta di più, e più affidabile, saremmo i primi a dover dire chi ce lo fa fare a cercare di trovare un governo...".

Ancora prima di salire al Colle Salvini aveva diramato la 'chiamata ai gazebo'. Sabato e domenica in tutte le città i militanti leghisti potranno votare su questa intesa di governo. Una specie di referendum che risponde alla convocazione online dei pentastellati su Rousseau, sempre sul programma. Una sfida a colpi di consultazioni della base che sa già molto di campagna elettorale e di gioco al cerino a chi si macchia della responsabilità del fallimento eventuale di fronte agli elettori.

Ma i gazebo di Salvini sono anche un modo per giustificare la richiesta di altro tempo avanzata a Mattarella, dicono dal Carroccio. Un modo per condividere con la base una responsabilità che il leader e i suoi non sentono più di potersi caricare da soli. Perché le condizioni di questo governo sono difficili. Il rischio è di portare 'acqua al mulino pentastellato' soffrendo poi gli attacchi dell'alleata Giorgia Meloni che già ora consiglia di lasciar perdere, pronta eventualmente a provare a raccogliere le eredità di destra che arriverebbero da un Salvini inghiottito nel cono d'ombra del governo a cinquestelle. "Rivolgo un estremo appello a Salvini. Vuoi davvero andare avanti con quest'avventura con il governo con M5S?", dice.

E poi l'Europa. Quei "vincoli esterni", citati dopo il colloquio con il capo dello Stato, segnalano che il governo con Lega-M5s potrebbe non essere esattamente come sperava Salvini, con un rapporto anche duro e a dir poco dialettico con Bruxelles. Troppo rischioso, soprattutto a un anno dalle europee del 2019.

E allora Salvini alza il tiro. C'è la difficoltà sul premier. Prima che salisse al Colle, i rumors di Palazzo rimbalzavano tra un premier terzo (il professore di diritto Giuseppe Conte) o un premier politico, lo stesso Di Maio, strada ancora non dimenticata dai cinquestelle, convinti che alla fine sia questa l'unica carta possibile per un governo giallo-verde. Ma è una carta che Salvini non può giocare. Perché romperebbe con la coalizione di centrodestra, cosa che non vuole fare, tanto che oggi al Colle torna a citare e ringraziare "Berlusconi e Meloni".

Meglio rimettersi alle scelte della base. Dalla quale però, mettono in conto i leghisti, difficilmente potrà venire fuori un no. Se fosse così, sarebbe un modo per abbracciare un governo con il M5s a cuore certamente più leggero. Di certo più sereno di quello di oggi: "Ad oggi per serietà dico che accordi un tanto al chilo non ne facciamo", il governo parte "se può fare le cose. O si comincia o ci salutiamo".

 

huffpost.it

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Articolo pubblicato il 15/05/2018