Troppo facile raccontare l'attualità politica come scontro tra angeli (Mattarella) e demoni (Di Maio-Salvini).

Spiegare l’attuale politica italiana come una lotta tra angeli e demoni, come fa la Repubblica, è una scelta da peracottari.

I leader dell’M5S e della Lega stanno raccontando un sacco di fandonie non alla stampa ma all’opinione pubblica”. Così scrive Claudio Tito sulla Repubblica del 15 maggio mentre, sempre il 15 e sempre sulla Repubblica, Tommaso Ciriaco recita così: “Il grande bluff si è sfracellato sull’uscio del Quirinale”. Come annoto in un altro blocchetto di questa rubrica, il problema del quotidiano di Largo Fochetti è che il racconto che propongono ai lettori non sta assolutamente più in piedi.

Oltre a quella di condannare ipercatrostificamente l’ipercatrosfismo, anche l’idea di dipingere un angelo (Sergio Matterella) che tratta con due diavoli (Matteo Salvini e Luigi Di Maio) è una scelta da peracottari. Il Quirinale ha molta della mia (peraltro ininfluente) comprensione per aver compiuto scelte che Luigi Einaudi non avrebbe mai fatto tipo quella di non dare un incarico formale al leader della coalizione (Salvini) che rappresentava il primo schieramento uscito dal voto.

Non mi nascondo infatti che il povero “angelo” stia affrontando una complessa crisi politico-istituzionale italiana e internazionale e dunque sia disperatamente costretto a compiere forzature per evitare (forse) più gravi lacerazioni di una nostra società già provata e stordita da 8 anni di governi sostanzialmente gestiti “dall’alto”  e non dal “basso” cioè senza un solido mandato popolare.

Però la stessa comprensione va riservata ai due “diavoli” che stanno cercando (con non tante chance di riuscita) una profonda trasformazione che ha almeno un lato assolutamente positivo quello di voler ricreare un legame tra popolo e istituzioni, in un contesto largamente devastato in Italia e in Europa. Ci vorrebbe proprio, in momenti come questi, almeno un duca de La Rochefoucauld che spiegasse alla Repubblica-Luigi XVI, che gli chiede se quella in atto “C'est una révolte?”,  “Non, Sire, C'est une révolution”.

Salvini e Di Maio dipingono un mondo corrotto e fradicio, perché rappresentano una plebe corrotta e fradicia. Firmato Scalfari e Mauro. Dipingono un mondo corrotto e fradicio, che non merita nemmeno di essere ereditato, ma soltanto soppiantato” scrive Eugenio Scalfari di Matteo Salvini e Luigi Di Maio sulla Repubblica del 13 maggio. E perché si comportano così? Perché rappresentano “una plebe totalmente priva di cultura politica, di valori e ideologie”.

Il fondatore sulle orme dell’ex erede dice la sua sui populismi, senza neanche riflettere (come peraltro neanche Ezio Mauro) sulle contraddizioni del proprio pensiero cioè sull’esprimere una sentenza ipercatastrofistica contro l’ipercatastrofismo. E tutto ciò senza neppure un accenno al ruolo che La Repubblica, cioè uno dei due grandi quotidiani nazionali, ha svolto nell’eccitare e involgarire la plebe che oggi esorcizza.

C’è chi cambia i trattati e c’è chi può solo dire: ”Sì, buana”? “Sulla pretesa di cambiare i trattati con l’Unione europea” Marzio Breda sul Corriere della Sera propone tutte le sue (e non solo sue) preoccupazioni sulla richiesta salviniana di cambiare i trattati europei. Forse gli è sfuggito quell’incontrino di qualche giorno fa tra Emmanuel Macron e Angela Merkel, nel quale il presidente francese ha incalzato in modo assai impetuoso la Kanzlerin perché era troppo timida nel voler  cambiare politica (e dunque trattati) dell’Unione.

Sarebbe interessante capire se è assolutamente necessario che la Cacania bruxellese debba essere fondata sulla regole che sembrano sottostare a questi fatti e ragionamenti: da una parte c’è la diarchia carolingia che può proporre qualsia cambiamento le salta in testa. Dall’altra nazioni-patria come la nostra che hanno la facoltà solo di dire; “Sì, buana”.

Ma il riscatto del Pd deve partire da Milano o più precisamente da via Montenapoleone? “Da Milano può partire una proposta per il Pd diversa da quella che ci ha portato al 18 per cento” dice Beppe Sala a Pierpaolo Lio sul Corriere della Sera del 6 maggio. Bè, non esageriamo. Non proprio da Milano, sarebbe meglio dire da via Montenapoleone, Via Manzoni, Via Brera, via Cappuccio e dalle altre strade del centro della città ambrosiana, dove la sinistra à la page distende pienamente la sua egemonia.

Ludovico Festa - loccidentale.it

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Articolo pubblicato il 16/05/2018