L'EDITORIALE DELLA DOMENICA DI CIVICO20NEWS - Sara Garino: 2 Giugno 1946.

Alle radici di un voto storico.

2 Giugno: Festa della Repubblica Italiana.

La giornata celebra lo storico appuntamento del 1946, quando il popolo italico – per la prima volta a suffragio universale – fu chiamato a esprimersi circa l’assetto istituzionale da conferire al Paese, uscito sfiancato e distrutto dalla tragedia della Seconda Guerra Mondiale.

Oltre al referendum inerente la scelta fra Repubblica e Monarchia, si votò altresì per l’elezione dei 556 membri dell’Assemblea costituente, il cui sinergico lavoro condusse, nel giro di diciotto mesi, alla promulgazione di una carta costituzionale condivisa da una larga maggioranza.

Al di là degli aspetti celebrativi, nonché del sentimento d’appartenenza patria che il 2 Giugno è in grado di suscitare, gli scenari e le tappe storiche che precedettero e, subito dopo, seguirono il voto degli Italiani, si distinsero per la fibrillazione politica e per le non sopite lacerazioni che attraversavano la società.

Un solo tratto accomunava tutti, ed era la volontà di lasciarsi alle spalle l’orrore e la devastazione del conflitto. In un Paese, peraltro, dove un quinto della ricchezza totale era sfumato, il reddito delle famiglie aveva raggiunto livelli infimi e la borsa nera prosperava. Inoltre al Governo in carica, il primo presieduto da De Gasperi, toccò il non facile compito di tratteggiare il ruolo dell’Italia nel futuro scacchiere internazionale, già sintomatico di quella gelida “cortina di ferro” che, appena qualche mese prima, Winston Churchill aveva detto essere sinistramente calata sul continente.

In più sussisteva l’incertezza per la ratifica degli accordi di pace: l’Italia, persa la guerra, con il Trattato di Parigi del 10 Febbraio 1947 dovette cedere, tra gli altri, l’Istria e tutte le colonie.

Alle difficoltà politiche ed economiche s’aggiungeva poi la tragedia sociale di una nazione che si era appena risvegliata dall’orrore della guerra civile, con un’intera generazione (quella dei nati all’inizio del ventennio fascista) la quale ancora non sapeva che cosa significasse poter esprimere, liberamente e democraticamente, il proprio voto.

Come anticipato, nonostante le tensioni era tuttavia diffuso un palpabile desiderio di lento ritorno alla normalità: definito non a caso da Italo Calvino, nel suo romanzo “Il sentiero dei nidi di ragno”, “un senso della vita come qualcosa che può ricominciare da zero”.

A testimonianza di ciò, la partecipazione al voto fu elevatissima: si recarono infatti alle urne quasi 25 milioni di Italiani (fra cui 13 milioni di donne), l’89% degli aventi diritto.

Prevalse, seppur in modo non soverchiante, la Repubblica, cui andarono quasi 13 milioni di voti, contro i circa 11 milioni della Monarchia.

Poiché, inizialmente, lo spoglio delle schede vide in testa il fronte monarchico, quando si realizzò il sorpasso repubblicano la stampa filoregia cominciò subito a insinuare il sospetto di brogli e irregolarità. Senza, peraltro, che si conoscessero i risultati definitivi. La staffetta era in realtà dovuta alla provenienza dei voti scrutinati: prima quelli del Sud, ultimi quelli raccolti nelle regioni settentrionali.

Infatti il Paese uscì diviso dalla consultazione, tanto nei numeri quanto dal punto di vista geografico: il Nord industrializzato si espresse a favore della Repubblica (con le eccezioni delle province di Cuneo e Padova), mentre il Meridione votò in massa per la conservazione dell’istituto monarchico (in alcuni centri maggiori, Napoli, Messina e Lecce in primis, il consenso della Corona lambì addirittura l’80%).

Per una bizzarria della Storia, da notare come alle radici del voto pro-repubblicano ci sia stato proprio un evento occorso al Sud. Infatti, con la cosiddetta svolta di Salerno dell’Aprile 1944, i partiti afferenti al Governo di Unità Nazionale (capeggiato da Badoglio, con Umberto di Savoia Luogotenente del Regno) si ripromisero giustappunto d’indire, al termine del conflitto, una consultazione elettorale volta a esprimersi sulla forma istituzionale da dare al Paese.

Dopo l’abdicazione di Vittorio Emanuele III, avvenuta il 9 Maggio 1946 e considerata dal Governo De Gasperi un semplice “atto interno” di Casa Savoia, Umberto II dovette spendersi in prima persona per cercare di sovvertire l’esito di un voto che, alla vigilia, per molti sembrava segnato. In questo fu intensamente sollecitato da alcuni dei suoi più stretti collaboratori, fra cui il torinese Edgardo Sogno, il quale era stato anche un prode comandante partigiano.

Se gli Americani – nonostante le dichiarate simpatie monarchiche dell’Ammiraglio Ellery Stone, Capo della Commissione alleata per l’Italia – ostentavano un atteggiamento di rigorosa neutralità, i Laburisti di Londra si dimostrarono invece più tiepidi nei confronti della Corona.

Sul fronte interno la Democrazia Cristiana, pur avendo formalmente preso posizione a favore della Repubblica, lasciò in realtà piena libertà di coscienza, conscia di come il mondo cattolico manifestasse, per tradizione e consuetudine, un’impronta decisamente più filomonarchica. Infatti, degli oltre 8 milioni di elettori vicini alla D.C., ben 6 milioni si espressero per la conservazione dello status quo sabaudo.

Del resto la posizione conservatrice della Chiesa e del Pontefice Pio XII era preclara, per quanto ammantata da una formale neutralità.

Tra i Partiti di Governo solo i Liberali – e neppure a ranghi compatti – si espressero flebilmente a favore della Monarchia. Si dichiarò infatti pro-repubblicano il Ministro della Guerra Manlio Brosio, un altro autorevole torinese che, a seguito del referendum, fuoriuscì dal Partito Liberale, dedicandosi poi alla carriera diplomatica. Schierato con il fronte filoregio fu invece il futuro Presidente Einaudi (ennesimo piemontese illustre), persuaso del fatto che la Monarchia costituisse ancora il sistema istituzionale più solido e sicuro.

Fra i Ministri, quelli maggiormente chiamati a garantire e presidiare il corretto e sereno svolgimento della consultazione elettorale furono entrambi d’inconcussa fede repubblicana. Palmiro Togliatti guidava infatti il dicastero di Grazia e Giustizia, mentre il socialista Giuseppe Romita – tortonese di nascita ma torinese d’adozione – era a capo del Viminale. Proprio le affilate prese di posizione del Ministro dell’Interno suscitarono le critiche dei monarchici, i quali lamentavano un evidente sbilanciamento delle forze in campo. A questo proposito, Romita fece nondimeno sagacemente notare come sia il Comandante dei Carabinieri Brunetti, sia il Capo della Polizia Ferrari, fossero ambedue monarchici ferventi, per quanto leali e ligi al proprio dovere di Amministratori.

In merito al mondo intellettuale e alla stampa, la gran parte dei quotidiani romani fu filomonarchica (tra cui anche Risorgimento liberale, all’epoca diretto da Mario Pannunzio). I giornali nazionali di maggior peso, su tutti Il Corriere della Sera e La Stampa, si schierarono invece a favore di un nuovo assetto repubblicano.

I sapienti “grandi vecchi” liberali della Corona, Vittorio Emanuele Orlando e Benedetto Croce, evitarono di spendersi troppo per Umberto II. Il primo, sebbene già ottuagenario, confidava probabilmente in una sua prossima Presidenza (poi disattesa) della neonata Repubblica, mentre Croce – per quanto convinto dell’utilità che l’istituto monarchico poteva ancora rivestire – non fece mistero delle critiche e dei rimproveri rivolti agli ultimi due sovrani di Casa Savoia.

In questo clima teso, Umberto II – Re da un giorno – si rivolse alla nazione con un calibrato proclama, nel quale promise di rispettare “le libere determinazioni dell’imminente suffragio”, al contempo riferendosi però a una “rinnovata Monarchia costituzionale”, capace di attenersi lealmente a quelle leggi fondamentali dello Stato “che la volontà popolare dovrà rinnovare e perfezionare”.

Queste dichiarazioni furono seguite da non poche proteste, a Roma ma anche in alcuni grandi centri urbani del Settentrione. Umberto II non cedette a chi gli rimproverava un “colpo di mano”, spendendosi a sorpresa in un secondo proclama. Infatti, proprio da Genova, qualche giorno più tardi egli promise che, qualora il fronte monarchico fosse risultato vincitore, la Corona avrebbe comunque promosso un nuovo referendum confermativo al termine dei lavori della Costituente.

Subito dopo il 2 Giugno, il sovrano dovette però prendere atto della sconfitta, accettata con amarezza ma senza obiezioni.

Nondimeno, la mattina del 7 Giugno si verificò un clamoroso colpo di scena.

Alcuni giuristi dell’Università di Padova (città che, come già ricordato, si era largamente espressa a favore della Monarchia) presentarono un ricorso contro l’interpretazione del risultato referendario, contestando il fatto che la maggioranza qualificata (in gergo tecnico quorum) dovesse in realtà riferirsi al totale dei voti espressi (comprensivo, dunque, anche di schede bianche e nulle) e non solo al totale dei voti validi.

Il 10 Giugno, la Corte di Cassazione – chiamata a esprimersi per dirimere la situazione – rimandò di otto giorni il giudizio definitivo sulle contestazioni, aprendo di fatto una crisi politica e istituzionale breve ma vissuta al cardiopalmo.

Il 12 Giugno a Napoli scoppiarono violenti tumulti fra monarchici e comunisti, con alcuni morti e diverse decine di feriti. Lo stesso giorno, Umberto II fece recapitare a De Gasperi un “regio viglietto”, in cui il sovrano si diceva disponibile alla “pacificazione degli spiriti” e alla “collaborazione”, purché l’assetto istituzionale restasse invariato fino al responso della Suprema Corte. Il Governo reagì in modo muscolare, per quanto moderatamente garbato nei toni, riaffermando come il risultato referendario avesse automaticamente portato all’instaurazione di un “regime transitorio”, in seno al quale l’esercizio delle funzioni precipue di Capo dello Stato spettava non al Re ma al Presidente del Consiglio in carica. Anche in considerazione del fatto che, nella sostanza, l’esito numerico della consultazione elettorale non sarebbe comunque cambiato.

Di fronte al concreto rischio d’ingenerare un nuovo 25 Luglio, con lotte intestine tra fazioni avverse, Umberto II optò per la scelta responsabile di lasciare, motu proprio, l’Italia.

Così il 13 Giugno 1946 raggiunse l’aeroporto di Ciampino, dove lo attendeva un quadrimotore Savoia Marchetti 95. La meta era il Portogallo, dove già si erano stabiliti la moglie e i figli. Prima di lasciare l’Italia – “nel supremo interesse della Patrià”, dichiarò – il Re sciolse le Forze Armate dal giuramento di fedeltà alla Corona e dispensò un gran numero di decorazioni e titoli nobiliari a coloro i quali gli erano stati più prossimi nel suo unico e tribolato mese di regno. Date le circostanze in cui ricevettero gli onori, questi aristocratici dell’ultima ora furono poi ricordati come i “Conti di Ciampino”.

La movimentata fase politica successiva al voto referendario si chiuse come previsto il 18 Giugno, quando la Corte di Cassazione – con una maggioranza di dodici togati contro sette – rigettò il ricorso degli accademici padovani.

Si chiuse così, ufficialmente e definitivamente, un’epoca. Al modello di Stato liberale ottocentesco, d’impronta risorgimentale e a cui i Savoia avevano concorso prima promulgando lo Statuto albertino e poi guidando il processo che aveva portato all’unificazione, si sostituì un riferimento politico costituito da partiti di massa, novecenteschi, votati al più ampio consenso. In proposito, l’elezione dell’Assemblea costituente aveva già concorso a evidenziare i rapporti di forza tra gli schieramenti in campo. La D.C., con il 35,2% delle preferenze, si candidava quale argine contro il blocco delle Sinistre: P.S.I.U.P. (20,7%) e P.C.I. (18,9%). Le gloriose elezioni politiche del 18 Aprile 1948 ne celebrarono poi il trionfo.

Con il drammatico viatico di due Guerre Mondiali, inframmezzate dalla dittatura fascista, l’Italia entrò nell’epoca moderna, lasciandosi alle spalle il Risorgimento.

Una data lega però in modo sorprendente e sottile questi due periodi storici…, il 2 Giugno: Festa della Repubblica Italiana ma anche anniversario della morte di Garibaldi.

E “l’Italia chiamò”!

 

(Immagine tratta da Wikipedia)

 

SARA GARINO

Collaboratore

CIVICO20NEWS

 

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 03/06/2018