Perché è difficile arginare l’invasione della plastica?

La soluzione è legata alla conoscenza e a un cambio di abitudine di ognuno di noi

La drammatica invasione dei rifiuti plastici è un argomento di attualità, ma le sue origini sono remote, risalgono al primo gesto di inciviltà, al gettare sulla pelle del pianeta che ci ospita, ciò che non ci serve più.

È tardi per correre ai ripari, per pensare di poter ripulire terra, mari e oceani ormai invasi dai materiali di sintesi, da quelle materie plastiche che adoperiamo molto, ma conosciamo assai poco. Le recenti limitazioni sulla produzione di alcuni oggetti inutili e di largo consumo sono insufficienti di fronte alla terribile realtà della quale solo ora si sta diffondendo una parziale verità. Sono veleni senza data di scadenza.

Le materie plastiche sono formate da catene di polimeri, macromolecole prodotte dall’industria chimica che danno origine a varie materie facili da lavorare, ma che non sono presenti in natura. Ecco perché il loro smaltimento non è ecocompatibile. Purtroppo con le plastiche si fa di tutto, sovente un abuso moltiplicato per la popolazione mondiale che se ne disfa con devastante leggerezza, ignorandone una particolarità basilare. Si tratta di prodotti diversificati tra loro, con caratteristiche molto differenti e assai difficili da riciclare, poiché, come già descritto su questa medesima testata, Civico 20 News, in un recente articolo:

Link http://www.bdtorino.eu/sito/articolo.php?id=28921

a causa della appartenenza a famiglie di composizione chimica non compatibile l’una con l’altra, non è sufficiente una raccolta differenziata che non tenga presente una ''diversificazione'' della stessa, proprio nel momento in cui ci si libera dell’oggetto di “plastica”. Ma quale plastica è? Sarebbe inftti necessario suddividere il recupero all’origine del medesimo. Come fare? La risposta è complessa e passa per una conoscenza delle varie diversità, quanto per una riconoscibilità dell’appartenenza alle varie famiglie. Anche in questo caso, la soluzione va ricercata in una informazione di massa accompagnata a chiari segni di riconoscimento, ben visibili sui materiali stessi.

Questa è un’utopia che potrebbe rappresentare un ipotetico cambio di abitudini a livello globale ed esclusivamente riferito a uno scenario futuro. Purtroppo sappiamo che non succederà, ma se è vero che la speranza è l’ultima a morire, sperare è lecito poiché equivale a un’inversione di tendenza. Chi comincia per primo? Poiché ognuno di noi dovrebbe invocarne l’avvento e quindi, adeguarsi.

Rimane il problema dell’immensa pattumiera a cielo aperto che abbiamo creato, che galleggia per i sette mari, che ora, finalmente, l’informazione ci sta comunicando che sta entrando nella catena alimentare, oltre ad uccidere varie forme di vita animale sia nelle acque che sulle terre emerse. Non sarà facile, anche se dovrebbe essere questa la nuova guerra mondiale da dichiarare: far pulizia delle schifezze sparse sul pianeta Terra.

All’origine del dramma è la legge di mercato, poichè la plastica è impiegata ovunque. È quasi impossibile trovare prodotti equivalenti non confezionati in contenitori plastici sugli scaffali di tutti i supermercati, sono essi tra i maggiori colpevoli dei mari di plastica. Tacere è una mezza complicità. Occorre chiedere anche singolarmente, interpellando e coinvolgendo azienda e stampa.

In ultima analisi, se ogni singolo essere appartenente alla razza umana, me compreso, limitasse al minimo necessario l’utilizzo delle materie di sintesi, contribuendo a diminuirne la produzione e quindi anche la quantità in circolazione e la necessità di smaltimento, sarebbe un piccolo gesto che, se moltiplicato per alcuni miliardi, lascerebbe un po’ di spazio per un po’ di ottimismo.

Un buon inizio sarebbe il saper discernere tra le due più importanti famiglie di polimeri, le termoplastiche e le termoindurenti, ma come fare? Niente più dell’andarsi a informare sull’universo di Internet può aiutare nel comprendere questo ed altro, anche solo in modo superficiale e poi, un passa parola sui social network potrebbe essere un metodo a basso impegno di ogni singolo, ma in grado di raggiungere ogni angolo del mondo. Io lo sto facendo adesso qui...

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Articolo pubblicato il 07/06/2018