La “Torino noir” vista e narrata da Milo Julini
Il professor Alberto Gamba nel Museo Craniologico dell'Accademia di Medicina di Torino

Il professor Alberto Gamba e i crani dei criminali torinesi

A Roma, dal 17 al 25 novembre 1885, si tiene il primo Congresso Internazionale di Antropologia Criminale, la nuova disciplina nata dagli studi di ricercatori italiani, in particolare Cesare Lombroso, nella seconda metà del 1800. Questa disciplina – scrive il “Dizionario Della Salute” - «ha come oggetto di studio l’individuo criminale nelle sue caratteristiche biologiche e psicologiche e si pone come intento di trarre regole generali per l’interpretazione di ogni fenomeno criminoso».

Nell’ambito di questo Congresso molti studiosi espongono i reperti delle loro ricerche, poi elencati negli Atti, pubblicati dai Fratelli Bocca, Editori-librai, Torino - Roma - Firenze (1886-1887).

Da questi Atti riportiamo l’elenco del materiale esposto dal medico barone Alberto Gamba (Torino, 1822 - 1901), studioso di antropologia e cofondatore del Museo Craniologico della Accademia di Medicina di Torino, da lui ordinato ed ampliato. Questa raccolta craniologica è oggi custodita presso il Museo di Anatomia umana «Luigi Rolando».

Il professor Gamba, infatti, espone «Crani e maschere mortuarie», ovvero calchi in gesso del volto del defunto, tutti appartenenti a criminali piemontesi. In particolare i crani provengono dagli scavi che Gamba ha condotto presso il Cimitero di San Pietro in Vincoli, in Borgo Dora, popolarmente detto San Pé dij còj (San Pietro dei cavoli, ma anche dei colli), nel sito dove venivano sepolti i condannati a morte che corrisponde all’attuale parcheggio.

Leggiamo negli Atti:

Lo scopo dell’esposizione del Professor Gamba era di dimostrare la rassomiglianza del tipo e della forma del cranio dei grandi criminali.

A questo scopo il Professor Gamba ha scelto nella sua collezione i crani meglio conservati, perché un gran numero dei crani dei giustiziati esumati a San Pietro in Vincoli (Torino) sono corrosi o ridotti in frammenti.

Senza addentrarci nelle disquisizioni scientifiche, possiamo dire che Gamba ha riscontrato in questi teschi brachicefalici (di forma rotondeggiante) alcuni caratteri comuni come fronte bassa, o sfuggente, stretta, faccia generalmente quadrata con zigomi talora molto pronunciati, osso occipitale appiattito.

Le sue osservazioni possono essere così sintetizzate:

Tutti questi crani denotano:

1° un volume difettoso dell’organo cerebrale;

2° la predominanza delle facoltà animali;

3° la mancanza quasi completa delle facoltà affettive;

4° uno sviluppo imperfetto delle facoltà di riflessione, di percezione e di creazione.

Fra i crani esposti si trova quello di Giorgio Orsolano, un serial killer di San Giorgio Canavese che, tra il 1832 e il 1835, ha violentato e ucciso tre giovani donne di 9, 10 e 14 anni per poi farne a pezzi i cadaveri in modo da far credere che fossero state vittime di lupi o di altre bestie feroci. Orsolano dopo l’impiccagione, avvenuta nel gerbido di Sant’Anna a San Giorgio il 17 marzo 1835, è stato sottoposto ad autopsia da medici dell’Università e la sua testa è conservata nel Museo di Anatomia. Gamba ha potuto quindi studiarlo approfonditamente:

Il cranio di Giorgio Orsolano contrasta in modo sorprendente con i crani di altri giustiziati. È di volume corretto e proporzionato; la brachicefalia è meno pronunciata, la fronte è alta e verticale; il viso è ovale. Ma si osserva anche in questo cranio l’appiattimento occipitale che il professor Gamba indica come fatto costante e tipico.

Si è potuto conoscere la storia criminale di alcuni di questi soggetti; corrisponde ai dati forniti dalla forma e dalle modalità di conformazione del cranio.

Fin qui si è parlato di caratteristiche anatomiche che sarebbero tipiche dei criminali, osservazioni oggi considerate prive di validità scientifica.

Proseguendo nella lettura degli Atti apprendiamo che:

L’esposizione del professor Gamba aveva poi la finalità di portare un argomento agli oppositori dello strangolamento per impiccagione come mezzo di procurare la morte ai condannati. È noto che, se l’esecuzione avviene in un luogo pubblico, ogni ritardo e ogni lentezza da parte dell’esecutore di giustizia, provocano la riprovazione della folla. Ora è successo abbastanza spesso che, in seguito alla forza di resistenza e del volume dei muscoli del collo, la strangolazione non ha prodotto la lussazione delle vertebre né per conseguenza la pressione mortale sul midollo allungato. Si sa d’altronde che l’asfissia per strangolamento è mortale soltanto uno o due minuti. È dunque capitato talvolta di portare al cimitero un condannato prima che la morte sia avvenuta.

Gamba fa riferimento al caso dell’impiccato “resuscitato” verificatosi a Torino il 12 marzo 1853: Antonio Sismondi è stato impiccato alle sei e mezza di mattina poi, al Cimitero di San Pietro in Vincoli, si è sentito un cupo rantolo nell’interno della cassa. È stata subito aperta e il “morto” respirava ancora con la schiuma alla bocca. Il cappellano del Cimitero lo ha fatto adagiare nel suo letto. I medici intervenuti applicano il rimedio sovrano del tempo, il salasso, ma inutilmente. Alle dieci, dopo aver ingerito una tazza di caffè e aperto gli occhi ma senza parlare, Sismondi è morto.

Dobbiamo però dire che Gamba fa un po’ di confusione nel riferire data e protagonista di questo episodio: parla del bandito di strada Domenico Becchio, in realtà impiccato a Torino il 20 gennaio 1838, e data l’episodio al 1849, dicendo di aver eseguito l’autopsia dell’impiccato “resuscitato” per ordine dell’autorità giudiziaria, e di aver riscontrato una semi lussazione delle vertebre cervicali senza alcuna lacerazione dei tessuti.

Vero è che Gamba ha recuperato il teschio di Domenico Becchio presso il Cimitero di San Pietro in Vincoli ma non poteva farne l’autopsia, visto che nel 1838 aveva soltanto 16 anni! Era stato il dottore torinese Giuseppe De Rolandis ad esaminare Becchio, in carcere, poco prima dell’esecuzione e a comunicare le sue osservazioni nella Seconda Riunione degli Scienziati Italiani svoltasi a Torino nel settembre del 1840.

L’esposizione di Gamba si conclude con una osservazione riguardante il modus operandi del boia di Torino che rappresenta ancora oggi un punto non ben chiarito:

Il popolo credeva in Piemonte che il boia piantasse un chiodo nel cranio degli impiccati per finirli prima di gettarli nella fossa. Questa opinione aveva un fondo di verità. Fra i crani dei giustiziati esposti dal professor Gamba, uno porta ancora un chiodo lungo 20 centimetri. È stato riesumato dal cimitero dei condannati di San Pietro in Vincoli.

A questo punto è opportuno chiarire che il dottor Alberto Gamba non è stato soltanto uno studioso di antropologia criminale dedito a misurazioni di crani tutto sommato inconcludenti e piuttosto macabre.

I torinesi gli devono essere grati perché si è reso benemerito con la cura dei bambini rachitici, attuata con la creazione a Torino, nel 1872, di apposite scuole gratuite e, nel 1885, dell’Istituto Regina Maria Adelaide.

Boselli P., Commemorazione del Barone Alberto Gamba, Torino, 1902.

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Articolo pubblicato il 18/06/2018