Dietro un gladietto

Considerazioni espresse da Alessandro Mella a proposito di un gladio da mostrina repubblicano, appartenuto ad un artigliere della Divisione Littorio

Propongo molto volentieri ai Lettori di “Civico20News” queste considerazioni dell’amico Alessandro Mella a proposito di un gladio da mostrina repubblicano, appartenuto ad un artigliere della Divisione Littorio (m.j.).

 

Se quest'acqua di lago potesse ascoltare quante storie potrei raccontare stasera, quindicenni sbranati dalla primavera, scarpe rotte che pure gli tocca di andare. Che qui si fa l'Italia e si muore, dalla parte sbagliata, in una grande giornata si muore, in una bella giornata di sole dalla parte sbagliata si muore!

(Il cuoco di Salò - Francesco De Gregori)

 

Alcuni mesi fa un amico mi parlò di un corposo lotto di materiale della Repubblica Sociale Italiana rinvenuto in circostanze fortuite.

Generalmente i più pensano male in questi casi ma conoscendo chi me ne parlava non mi sorse mezzo dubbio sulla bontà della notizia motivo per cui, a titolo di pura curiosità, mi recai a visionarlo.

Notoriamente mi interesso di altre cose ma mi piace vedere, analizzare, studiare ed apprendere un po’ di tutto restando della ferma opinione che non si può restare confinati culturalmente nello stretto corridoio del proprio settore. Giacche modello 1940 con le ombre ben visibili di fiamme a tre punte, ombre di gladi e qualche piccolo indizio che lasciava dedurre che il materiale fosse appartenuto, per lo più, ad artiglieri della Divisione Littorio dislocati nel Cuneese.

Niente di eccelso eppure proprio perché si trattava di semplici cose quel materiale risultava particolarmente vero ed emozionante, quasi capace di parlare e raccontare di sé.

Pochi capi conservavano ancora le mostrine che in, maggior parte, erano state rimosse lasciando un segno evidente. Guardavo, misuravo con il pensiero ogni dettaglio di quei pezzi di storia e girando uno dei sacchi contenenti quel minuto tesoro emerse un unico gladio da mostrina repubblicano uscito da chissà quale taschino di quel mucchietto informe di logore divise.

Grigiastro, ossidato, senza più le graffette per il fissaggio rimaste certo su qualche bavero e quasi umile.

Mi affascinò e m’imposi perché di tutto quel materiale quel semplicissimo e minuscolo pezzo spettasse a me solo e con me venisse via. L’amico non ebbe alcun problema a lasciarmelo, era come un granello di sabbia in una spiaggia, ed avvolto in un pezzo di carta con cura perché la zama non si spezzasse, lo presi. In auto mentre rincasavo iniziai a pensare a quei soldati, molti giovanissimi, in mezzo alla neve con le poche armi di preda bellica francese e le poche altre lasciate dai tedeschi o ereditate dal disperso Regio Esercito le cui glorie si erano infrante in poche drammatiche ore di Storia.

Io poi non ero certo soggetto a nostalgie essendo uno che a quel tempo avrebbe probabilmente scelto di andare nel Corpo Italiano di Liberazione o, non potendo scendere al Sud, di combattere nelle formazioni partigiane monarchico liberali di Edgardo Sogno o Enrico Martini Mauri.

Eppure proprio perché non c’ero potevo, e posso, permettermi il lusso di tentare di capire senza farmi influenzare dal calore pulsante di quei momenti perché quando ci si occupa di eventi così lontani l’unica cosa da fare è tentare di comprendere le ragioni di tutti. Pensavo dunque a quei ragazzi, con le famiglie lontane, le fidanzate chissà dove, i fratelli forse già scomparsi o forse in un campo di prigionia in Germania od in Kenia od in India o perché non in Texas od in Austria?

Li immaginavo con qualche vecchio obice catturato l’altra guerra all’armata sconfitta dell’Imperatore austriaco Carlo, con poche contatissime sigarette Milit nelle tasche dei pastrani rattoppati, con una cartolina in franchigia da scrivere e mandare a casa e con la paura che da un tetto una schioppettata li lasciasse lì, coricati in una pozza di sangue sulla neve candida.

Con l’animo sconvolto da eventi troppo grandi e troppo difficili da capire, dal sangue che tutti ormai versavano senza pietà e da quella violenza sempre più cieca e sempre più diffusa stampata negli occhi dagli attentati, dagli agguati, dalle rappresaglie e dalle fucilazioni. Con il sorriso stanco di quell’incoscienza che ti regalano i vent’anni, con sulla bocca canzoni di guerra per sentirsi grandi e forti soldati in quella generale penuria di ogni cosa.

Fino al giorno della fine; fino a quello in cui tutti pagano il conto dei tanti veri criminali; soprattutto gli innocenti più deboli e forse più fragili. Gettando via di corsa le divise per tentare di sfuggire all’odio fratricida ed ipocrita, per tornare dalle proprie mamme, dai propri figli e per non perdere l’unica cosa che era loro rimasta: una vita in salita!

Quel gladietto ossidato e vissutissimo non parla, è muto come un pezzetto di zama, ma da quell’angolo di vetrina dove ha trovato un po’ di riposo ogni tanto si mette a sussurrare favole vere, fiabe a volte tristi in cui non sempre vissero tutti felici e contenti.

Perché gli studiosi non lo vogliono ammettere ma sognano, immaginano e fantasticano su ogni cosa ed ogni tanto si fermano a pensare per immaginare quello che un distintivo, un elmetto od un bottone vorrebbero raccontare.

E lì si emozionano e magari si nascondono alla vista di mogli e bambini perché gli occhi lucidi non li vogliono far vedere.

Ecco dietro a quel gladio, che un tempo stava sulla mostrina di artigliere della Littorio ed ora su una di esse riposa, oggi rappresenta tutto questo ed emoziona e commuove anche me che probabilmente in Repubblica Sociale non sarei certo andato ma che guardo con rispetto ed affetto a quei ragazzi, giovani e meno giovani, che si giocarono l’esistenza per servire un idea che né io, né nessuno che non c’era, potremo mai comprendere o giudicare interamente pur sentendoci dall’altro lato ideale di quella barricata.

Buon riposo ragazzi, buon riposo a voi, ai vostri avversari di ieri, buon riposo a tutti coloro che in quei giorni lontani e feroci andarono incontro alla morte chi con la divisa grigioverde, chi con il battle dress kaki e chi con un foulard colorato al collo.

Buon riposo a tutti voi che nella furia di un incredibile bufera a volte non avete nemmeno potuto scegliere da che parte andare a morire.

Alessandro Mella

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Articolo pubblicato il 20/06/2018