Nuove generazioni ed effetto centesima scimmia – parte terza

Un esempio di come si può rendere visibile l’invisibile.

Se metto la mano nel fuoco, la mano si brucia.

È un concetto facilmente comprensibile.

Però quando si vuol rendere comprensibile un concetto, apparentemente astratto, risultato della sintesi di un processo pratico non immediato, sviluppatosi durante un tempo sufficientemente lungo da non essere facilmente e oggettivamente osservabile, può risultare assai complesso; per questo si possono facilmente ingenerare fraintendimenti e controversie.

Se poi a cercare di renderlo comprensibile è uno come me, notoriamente cavilloso, le cose si complicano ulteriormente, però…qualche volta la fortuna aiuta gli audaci, gli ubriachi e gli sprovveduti…cosicché può toccare perfino a me…di riuscirci nonostante me!

Agli studenti del corso di ergonomia non ho mai dato compiti a casa, spiegando che non sarebbero stati sufficientemente efficaci per loro, già sovraccarichi di altri compiti e conseguentemente carenti del riposo necessario per assimilarne i contenuti. Oltretutto ciò era particolarmente valido per loro che potevano essere presenti alle lezioni nello stesso tempo e nello stesso luogo, immersi e integrati in un corpo unico con i compagni, anziché dover agire isolatamente.

Questa affermazione sembra contestare quanto riportato in questo stesso articolo a proposito della forzatura metodologica adottata per insegnare negli ambiti scolastici. Tuttavia, con un po’ di pazienza e attenzione, si può ben arrivare a comprendere che con gli stessi ingredienti si può cucinare in modo disastroso oppure ottenere una delizia. Stessi ingredienti, stessa cucina, stesso cuoco, risultato diverso!

Perché?

Occorreva una spiegazione incontestabile alla necessità di essere presenti, non importa in quale modo, durante una lezione. Degli 80 studenti iscritti, mentre la lezione si svolgeva, qualcuno dormicchiava e altri disturbavano. Uno di quelli più attenti mi chiese perché non intervenissi nei loro confronti. Al che risposi che non era importante ciò che stavano facendo, né per sé né verso gli altri; era necessario solo che fossero lì insieme a tutti gli altri. Come le cellule di un unico corpo dovevano semplicemente seguire l’indirizzo generale del corpo senza intralciarlo troppo. Semmai, come cellule diverse dello stesso corpo, in situazioni diverse all’interno dello stesso corpo (dormire, mangiare, far rumore etc etc) avrebbero fatto più o meno fatica per recuperare l’informazione, quando necessario, in conseguenza della maggiore o minore attenzione prestata a suo tempo, ma l’informazione sarebbe comunque sempre stata disponibile dentro di loro.

La spiegazione poteva anche essere sufficiente; tuttavia accadde un episodio che richiese una ulteriore precisazione.

Uno studente, sorpreso a fare un compito relativo ad una materia diversa, dopo una prima diffida, ad una ennesima situazione analoga, fu allontanato dall’aula. A chi, logicamente, mi chiese perché con lui, che non disturbava, mi fossi comportato così mentre con gli altri che disturbavano no, risposi in questo modo:

in ogni situazione possono essere accettabili comportamenti discutibili, salvo quelli che vanno volontariamente in contrapposizione con l’indicazione generale”. Infatti questo è l’unico modo per procurare un danno irrecuperabile a se stessi e all’intero gruppo. Cosa che stava accadendo in quel caso.

Le condizioni che si vengono a creare quando facciamo volontariamente altro, rispetto a quello che viene richiesto dalla situazione, impediscono alle nostre facoltà sensoriali residue di renderci conto correttamente di quello che sta avvenendo dentro e intorno a noi. Il nostro sistema riceve solo informazioni frammentarie o distorte che immagazzina in memoria come se fossero complete e corrette, e risponde di conseguenza in modo frammentario ed erroneo. Il sistema di autoapprendimento è tratto in inganno e quindi elabora ogni cosa a partire da una base erronea. È quindi evidente cosa succede di conseguenza: ogni processo di pensiero, desiderio e azione viene disturbato dal confronto con informazioni incoerenti.

Essendomi reso conto che la spiegazione teorica poteva ingenerare più dubbi e contestazioni che certezze, escogitai un modo empirico che rese visibile, pratico e tangibile quanto affermato.

La lezione seguente arrivai in aula un po’ prima degli studenti e disposi le sedie diversamente dalla loro solita configurazione. Le misi in 4 file parallele orientate frontalmente a due a due, ufficialmente per consentire ad ognuno di loro di potersi muovere indipendentemente senza costringere altri ad alzarsi. Dopo alcuni minuti dall’inizio della lezione tale ordine si era modificato e le sedie mostravano ora una nuova disposizione. Chiesi la loro attenzione e glielo feci notare. Certo poteva apparire come un caos casuale; il caos apparente era invece il nuovo codice di accesso funzionale alla operatività del gruppo,….

 

la nuova configurazione di sistema necessaria per poter operare correttamente in quella situazione, valida solo temporaneamente in quello spazio, solo per quell’occasione, e non trasferibile in altri frangenti.

Così la disposizione delle sedie continuò a modificarsi per tutta la durata della lezione (in relazione ai bisogni dei singoli e del gruppo), mentre alcuni studenti si scambiarono di posizione (evidenziate in rosso in fig.3), adattandosi perfettamente in ogni momento alle reali esigenze del processo di autoapprendimento in atto, per stabilire le connessioni necessarie al passaggio delle informazioni come avviene tra le sinapsi cerebrali.

Questa è la dimostrazione geometrica, spazialmente visibile, di un concetto invisibile: ogni sistema lasciato libero di agire si dispone automaticamente nella migliore configurazione per raggiungere lo scopo prefisso; per questo gli schemi fissi, come i posti nelle aule, e i tempi imposti da lezioni uguali per tutti, o dare compiti a casa, non sono più così efficaci come una volta.

Infatti, mentre un po’ di tempo fa era più semplice stabilire un denominatore operativo comune tra appartenenti ad un limitato scenario di utenti (provenienti in massima parte da quattro grandi categorie, operai, impiegati, contadini, borghesi), oggi ogni persona è praticamente una categoria specifica a sé stante. Ne deriva che ogni persona ha tempi e modi di apprendimento propri, che si traducono in una continua imprevedibile variabilità della configurazione del proprio sistema di autoapprendimento e della posizione operativa richiesta all’interno del gruppo in cui sono inseriti.

Allora va sempre tutto bene, anche quando la situazione sembra sfuggire di mano?

Praticamente sì! Tuttavia un certo grado di tolleranza non deve far venire meno l’attenzione a non lasciar degenerare le cose oltre un punto di non ritorno. In questo sta l’abilità e la responsabilità di chi sovrintende la situazione.

Ma questa è un’altra storia.

Fine

Schemi e testo

Pietro Cartella

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Articolo pubblicato il 30/06/2018