Il primo album solista di PIETRUCCIO MONTALBETTI: "Niente"

“La musica non era nel programma e nei sogni della mia vita.

Fin da piccolo desideravo due cose: andare in giro per il mondo in solitario su una barca a vela, oppure fare l’esploratore.

Il destino ha voluto che facessi il musicista, per giunta di successo, non avendo dentro quello che si definisce il fuoco della musica, ma ciò che mi ha spinto era il desiderio di stare su un palco di fronte alla gente. In fondo avrei potuto fare del teatro.

All’età di sei anni mia madre per Natale mi regalò un’armonica a bocca, che imparai subito a suonare, scoprendo di avere un buon orecchio musicale. A dodici anni, sempre a Natale, mia zia Ines mi regalò una chitarra: non sapevo come usarla, ma per fortuna nello stesso pianerottolo, un signore di una certa età mi insegnò come accordarla e poi mi aiutò a comporre gli accordi.

A diciassette anni, influenzati dal successo dei Beatles, nacquero tanti nuovi complessi, fu scoperta una nuova tendenza, il “beat”, che conquistò un’intera generazione. Fu allora che decisi di riprendere in mano lo strumento, prendendo lezioni di musica, ma fui spronato da Radio Luxembourgh, con emozione, ascoltavo le loro canzoni e seguivo l’avvento del rock’n’roll, che arrivava dagli stati Uniti.

Con una discreta padronanza dello strumento, decisi di dar vita al mio primo complesso, i “Dreamers”, composto da alcuni amici di quartiere.

A quel punto ho iniziato a caldeggiare di farne una professione.

Fra i miei amici di quartiere c’era Lallo (Giancarlo Sbriziolo), che aveva una voce accattivante, lui insieme a Pepe (Erminio Salvaderi), aveva dato vita a un duo, mi piacevano così tanto, per cui proposi di costituire un nuovo gruppo.

Un contratto con la Ricordi e dopo il primo successo una serie di canzoni che raggiunsero le alte vette delle classifiche di vendita; una popolarità che dura ormai da un cinquantennio.

La mia vita cambiò radicalmente, dei miei deu sogni iniziali, uno sono riuscito a realizzarlo velocemente e tutt’oggi, grazie alla musica, fin dall’inizio della mia carriera, realizzo il secondo sogno, per girare il mondo in solitaria”.

 

Le note di copertina, scritte dall’autore, introducono alla perfezione “Niente” (Et. SAAR), il nuovo album solista di Pietruccio Montalbetti.

 

L’album si compone di dodici brani, alcuni dei quali richiamano l’epopea d’oro dei Dik Dik, come la storica “Senza luce”, qui in versione quasi gospel, “Io mi fermo qui”, da un leggendario festival di Sanremo del 1970, “Se io fossi un falegname” del cantautore Tim Hardin, ma anche un ricordo dell’amico Lucio Battisti(che fu produttore del gruppo di Pietruccio), con “L’aquila”, presa in prestito da Bruno Lauzi.

 

Una menzione particolare a “I ragazzi di via Stendhal”, scritta da Ricky Gianco appositamente per questo lavoro e interpretata, oltre che da Pietruccio e Ricky, anche da Cochi Ponzoni (Cochi & Renato), tutti e tre cresciuti insieme nella storica via e anche compagni di scuola.

 

La chicca è rappresentata da “Niente”, versione italiana di “Nothing but the whole”, un brano di Jacob Dylan (figlio di…), che la interpretò nel Cd “Woman + Country” (2010): in origine il canto di una madre che invita a rialzare lo sguardo verso un orizzonte che si perde nell’infinito.

 

Lodevole la scelta di Pietruccio di inserire nella raccolta, due brani scritti dal grande musicista torinese Valerio Liboni (Nuovi Angeli, La Strana Società): “Una lettera”, con musiche del Maestro Silvano Borgatta e  Buon compleanno” (Liboni-Guglielminetti-Ausilio-Peretti).

 

Lo straniero” poi è il notissimo brano di George Moustaki, che lo consacrò al successo, qui filtrato dalla personalità “straniera” del viaggiatore Pietruccio Montalbetti.

 

 

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Articolo pubblicato il 01/07/2018