La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini
Prostitute sottoposte a visita medica (Henri de Toulouse Lautrec, 1894)

L’ospedale delle donne – prima parte (di Cristina Quaranta)

Con grande piacere presento ai Lettori questa ricerca di Cristina Quaranta riguardante l’Ospedale celtico, struttura ospedaliera e carceraria allo stesso tempo che ha avuto sede nell’allora borgo del Martinetto. L’area è oggi identificabile in corso Regina Margherita all’angolo con l’ultimo tratto di corso Tassoni, dove sorgono imponenti caseggiati che costituiscono un isolato di forma irregolare, diviso dalla Dora dalla breve via Luigi Bellotti Bon e, al civico 278 di corso Regina, separato dal caseggiato successivo da un cortile chiuso da una cancellata che corrisponde a un tratto del percorso dell’antico canale del Martinetto. (Per maggiori informazioni vedere il sito “icanaliditorino.it”). Successivamente l’Ospedale celtico è stato trasferito nell’area oggi occupata dal Liceo Alfieri, in corso Dante angolo via Ormea (m.j.).

 

Nell’anno del Signore 1454 il duca Ludovico di Savoia proibisce, con una patente datata 28 maggio, al personale di servizio e della Curia, di arrestare o molestare le persone che si trattengono nella casa in regione Vanchiglia destinata a postribolo.

Un decennio più tardi la “città” affitta ad Antonio Dellavalle di Moncalieri, per quattro anni, la casa delle stufe nel quartiere Pusterla, presso san Dalmazzo e quella detta Lupanari nel quartiere Marmorea presso san Eusebio, destinandole a ricovero delle meretrici. Nel 1478 sarà Ambrogio Malecalciato ad affittare con una spesa di 70 fiorini annui le case citate, sempre a favore delle donne pubbliche, con la facoltà di far entrare in esse 20 carre di vino ogni anno esonerate dal pagamento del dazio. Qualche anno dopo un sindaco della città si reca a visitare e ispezionare le case a custodia delle quali troverà un tal Petiti perché l’Ambrogio si seppe essersi assentato subito dopo un omicidio avvenuto un paio di giorni prima in una delle case.

Sarà il duca Carlo Emanuele I ad ordinare al Vicario di far visitare le meretrici dimoranti a Torino e coloro che saranno trovate infette da mali contagiosi farle uscire dalla città e dai confini con bando e di farle poscia fustigare in caso di contravvenzioni.

Altri documenti si occuperanno di provvedimenti vari sul comportamento delle donne di cattiva vita, intanto si gettano le basi per dar loro, soprattutto alle donne infette un ricovero dove trovar sollievo, riparo e talvolta un posto dove passare a miglior vita degnamente.

1688, l’auditore di Guerra Benefort e altri esponenti quali l’Intendente dei viveri di S.A.R. Pietro Piccone e l’estensore de’ Conti Camerali signor Mella informano il duca sull’esistenza di una casa sotto la parrocchia di ss. Giacomo e Filippo di proprietà di tal Massard, le cui stanze sono state affittate da un elevato numero di donne pubbliche, e avendo il povero Patrimoniale di V.A.R. signor Martinetti una casa dirimpetto alla suddetta con le finestre riflettenti molti atti disonesti, resta al poveretto e alla sua consorte e figli impossibile affacciarsi. Il duca ordina perciò lo sgombro della casa delle donne e inibisce al Massard di continuare ad affittare le stanze a quel genere di persone.

L’affittacamere poco si cura d’ubbidire tanto che dovrà occuparsene la Giustizia. Il Massard viene multato per 100 scudi d’oro e le donne trovate saranno pubblicamente fustigate per mano dell’esecutore dell’Alta Giustizia. Alla morte del proprietario la casa composta di dieci stanze e due crotte, passò nelle mani della vedova e della figlia Catterina le quali vollero tornare alle vecchie abitudini, così il problema si è puntualmente ripresentato e la conclusione si è presentata identica: donne fustigate, la loro mobilia sequestrata e un cartello appare nei luoghi soliti della città, dicente:

“Vittorio Amedeo, per grazia di Dio duca di Savoia ecc.

commettiamo e mandiamo che si inibischi alla Massard d’affittare d’ora in poi le stanze della loro casa a donne disoneste o pubbliche sotto pena di 100 scudi d’oro…”.

Nel XVIII secolo un documento ci illumina:

Era cosa da non potersi rimanere senza gravissimo risentimento di compassione, il veder tutto il giorno vagante per la città un riguardevole numero di misere donne la cui onestà è troppo mal custodita o combattuta dall’angustia della povertà cedendo agli inganni degli insidiatori, con pubblico scandalo e inciampo e infestano questa capitale e cercando chi loro aprisse un luogo di sicurezza per uscire dai ridotti di pubblica incontinenza, non trovavano alcun ricovero sicché schiave forzate del vizio che alcune detestavano, erano in un cero modo necessitate a continuare le offese a Dio e gli scandali a danno del pubblico, perché in una città così pia e ben ordinata, mancava loro un logo ove rifugiarsi.

Un sì estremo abbandono di tante infelici donne che si vendono, inette al lavoro, reca danno alla società. Per questo si è ponderato…

Un Ordinato consigliare della città di Torino è datato 28 agosto 1771: Sua Maestà, si legge, manda alla città di Torino un “biglietto della lotteria” del regio Ospedale di Carità” n° 27265 che gli recò una vincita di quarantottomila lire. Ordina quindi alla città di esigere tal somma, di trattenerla e impegnarla e poter usufruire della rendita. Con questi denari si sono potuti saldare alcuni debiti.

Cinque anni più tardi, Sua Maestà annuncia ai sindaci torinesi d’aver stabilito che alla città occorre un ricovero per le meritrici e per questo aver destinato la casa Wanterchiric al Martinetto, ordinando al municipio di concorrere nell’acquisto di tal edificio perché si possa adattare alle cure delle donne oppresse dalla lue celtica. Il re provvederà al pane e stanzierà del denaro per la manutenzione.

Si deve sapere che il comune aveva già nel lontano 1771, con gli interessi del biglietto vincente, acquistato quella casa dagli eredi e in seguito l’aveva rivenduta ai negozianti Borione & Festa per circa 8000 mila lire come dimostra l’instrumento datato 14.12.1771.

Dopo l’ordine reale i sindaci si ritrovano costretti al riacquisto dello stabile, il valore del quale è nel frattempo salito a 12500 lire, per esser stata sottoposta a dei miglioramenti. Ora che il pessimo affare è compiuto, Carlo Emanuele III ha scelto quattro Decurioni per dirigere quella casa che è appena divenuta un Ospedale: l’ospedale delle donne; si insedia un economo e si stila il regolamento. Si è anche messa a disposizione la somma di 250 lire sul fondo “elemosine” per il soccorso delle donne che meritano d’esser curare della loro infermità. Al personale si aggiungono i Padri Cappuccini in qualità di cappellani, un medico e un chirurgo, si stabiliscono gli stipendi.

Queste le regole del Martinetto:

le donne che per speciale degnazione di S.R.M. e caritatevole assistenza della città, saranno ritirate in questa “casa”, dovranno persuadersi che non usciranno sino a che abbiano dato segni costanti di una vera emendazione del loro passato e del loro tenore di vita.

Dovranno ubbidire e rispettare il Padre Direttore Spirituale ed essere sottomesse alla Madre superiora destinata al loro governo e dalla quale saranno tutte dipendenti.

Cristina Quaranta

(Fine della prima parte – continua)

 

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Articolo pubblicato il 09/07/2018