La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini
Prostitute sottoposte a visita medica (Henri de Toulouse Lautrec, 1894)

L’ospedale delle donne – seconda e ultima parte (di Cristina Quaranta)

Ogni segno di campanello sarà l’avviso del finire dell’azione che si sta eseguendo e del principio di quella che seguirà a seconda della ripartizione delle ore.

Ciascuna donna dovrà applicarsi seriamente nell’eseguire a dovere la porzione di lavoro destinato loro dalla Madre.

Sarà considerato una mancanza l’eccesso nel parlare, nel cantare canzoni, soprattutto quelle improprie, lo scherzare tra loro o far rumori o discorsi indecenti.

Ognuna di loro subito dopo la levata riordinerà il proprio letto e due di loro, scelte dalla Madre dovranno ramazzare il dormitorio e il laboratorio.

Tutto ciò che sarà prodotto sarà venduto e il guadagno sarà ripartito in tal modo: metà sarà a beneficio della casa e la metà restante a beneficio delle lavoratrici e servirà loro come fondo al quale attingere al tempo del rilascio.

Ogni giorno saranno somministrati a pranzo, una minestra di riso con fagioli o con erbaggi, rape e pasta buona e qualche volta in pezzo di carne avanzata dall’ infermeria. Non mancherà un quartino di vino e mezza razione di pane di munizione, per la cena si troverà una minestra e talvolta anche un bicchiere di latte.

È assolutamente richiesto il rispetto verso i superiori, ai direttori e ai padri spirituali e a tutti gli altri impiegati. Non dovranno nascere contrasti, e il fare la spia su fatti delle compagne sarà severamente punito con un esemplare castigo, così non potranno mandare ambasciate né ricevere lettere. “Modestia” è la parola d’ordine, dopo il coricarsi sino al levarsi la mattina non è permesso parlare o anche solo sottovoce perché è il tempo dedicato al riposo. Nel tempo della Messa domenicale si pregherà con devozione e si intoneranno canti e lodi, anche le analfabete saranno tenute a recitare il Rosario.

A proposito delle nerbate.

Chi non rispetta il regolamento è punita con un numero di nerbate che varia a seconda della mancanza commessa spesso a discrezione della Madre e altre volte dettato dal volere del Vicario.

Due nerbate per non essersi levata in tempo o se manca il raccoglimento richiesto, durante le funzioni religiose. Un giorno a pane e acqua per insubordinazione verso la Madre; più severamente sarà punita se la donna non avrà terminato tutto il lavoro che le è stato assegnato, per questo sarà avvisato il Vicario che deciderà sul da farsi. L’esser recidiva aumenterà “la ferma” in Istituto.

Nell’ospedale Celtico del Martinetto si entra per volontà propria, se povera è assistita dall’amministrazione comunale, chi ha possibilità economiche pagherà la retta, si chiamerà forzata, se arrestata in qualche retata, dopo esser stata schedata alle “Torri”. Molte le donne che chiedono aiuto e vogliono entrare in ospedale per le cure, sono donne della borghesia che sono state infettate dai consorti non troppo fedeli, qualcuna di loro appartiene alla nobiltà cittadina. L’età delle assistite varia tra i dodici e i sessant’anni. Molte le recidive, una diciassettenne varca il portone “del Martinetto” per ben quattro volte in un anno.

Nel Ritiro si producono stoffe: moresca, rista di moresca e rista di canepa, cotone a beneficio dell’Ergastolo, e lino. A fine secolo la lista spese ci illumina sulle migliorie e il fabbisogno: lavorano i tollaj Brocchi, forniscono tra le altre cose un lume di tolla d’Angilterra a beneficio dei vellutaj, si fa provvista di fili color caffè e bianco, Andrea Ferreri ha provveduto a quaranta letti da caserma, una pagliazza, 4 lenzuoli, una trapunta di stoffa con tela di Dronero, un traversino e 4 panche d’albera. Questo fornitore provvederà per qualche tempo a fornire biancheria, perlopiù lenzuola di tela di Giaveno, tele di Corio, di Andorno e tela blu di Chieri. Lavora il serragliere Giuseppe Canale per piazzare un crocho al portone grande.

Le spese più gravose sono a beneficio dell’infermeria: ogni inferma costerebbe 220 lire l’anno (20 lire ogni mese, 0.15 lire ogni giorno), a differenza delle “ritirate” che costano 140 lire l’anno, (12 lire al mese e 0.8 al giorno).

Tra le spese non tralasciamo quelle per così dire curiose, come l’affitto di una vettura che accompagnerà, all’ospedale, il Direttore spirituale nei casi di premura o in caso di neve o pioggia. Al parroco si rimborsa trasporto e l’interramento delle defunte, sino alla sua parrocchia; così il percorso in carretta dalle Torri all’Ospedale, delle arrestate sospettate d’esser infette.

Le spese per l’infermeria denotano una cura particolare rivolta alle poverette, si calcola la mezza munizione di pane e un rubbo di carne giornaliero, due saranno le minestre somministrate, pranzo e cena, con riso o pasta fine, semola, un quarto di vino al giorno nei giorni preparativi alla cura, durante la cura la bevanda è esclusa, ritorna invece durante la convalescenza. Per i casi più gravi o moribonde e specie durante le operazioni, in istituto dovranno essere sempre a disposizione il vino di Siracusa e dell’acquavite. Perché non si abusi di queste bevande l’economo stabilisce che dovranno bastare 80 brente.

Di uova ne occorrono 600 dozzine l’anno, l’aceto servirà per lavare le bocche delle pazienti e profumare i vasi dell’infermeria. Sono da escludersi nella dieta lardi o butirri rancidi.

Le porzioni delle minestre si misureranno in cassuli; i becchini e gli zoccolai rientrano nella lista spese.

I medici dovranno usare la massima attenzione e sollecitudine verso le ammalate e sarà loro dovere visitarle almeno una volta ogni giorno e prescrivere la cura che ritiengono più efficiente, dovranno annotare in un libro il decorso della malattia di ogni paziente. Le stesse cure dovranno essere assicurate anche dal chirurgo e dovrà avvalersi di un giovane approvato che è obbligato a tenere la sua continua dimora all’interno dell’ospedale.

Tralasciamo gli articoli che suggeriscono alla Madre d’esser virtuosa, di buoni costumi e caritatevole. Ogni giorno dovrà fare rapporto al Direttore su tutto ciò succede al “celtico”. Si noterà che per il lavoro che dovrà svolgere il suo stipendio ammonta a lire 350 l’anno più 300 lire per il vitto mentre il medico riceverà seicento lire, lo stipendio maggiore sarà ad appannaggio del chirurgo: novecento lire.

Nel 1790 una scrittura del notaio Giuseppe Turco segretario ed economo dell’Ospedale ritiro delle donne dalla vita disonesta, si riterrà contento di pagare all’ing. Mattei la somma di 400 lire, e altre somme per lavori edili a un capomastro, a un serragliere e un mastro da bosco. Si è costruita una nuova pompa che porta l’acqua nella cucina, in una camera laterale all’infermeria - laboratorio, in due cameroni del piano superiore. Si è costruito un casotto per riparo della paglia che occorrerà ai pagliericci.

L’ospedale nel 1785 subirà un primo ingrandimento per aver la possibilità di ospitare più pazienti, poi nel nuovo secolo si determina di spostare la casa di cura in un edificio appena fuori la Porta Nuova, sulla strada per Nizza, già detta “degli Esercizi Spirituali”, poi “l’Ergastolo”, ex ritiro per oziosi, vagabondi e discoli. Per il trasloco venne incaricato il marchese Pallavicini, poteva ospitare almeno duecentocinquanta donne oneste, o prostitute sifilitiche e affette da scabbia; un nuovo corpo sarà destinato per trattenere e far lavorare per un tempo indeterminato le donne risanate. Due parti distinte, dunque, in una si tratterranno le donne infette e nell’altra quelle ormai guarite e in grado di lavorare.

Cristina Quaranta

(Fine della seconda e ultima parte)

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Articolo pubblicato il 16/07/2018