L’uomo è un dio mortale.

Ecco perché, unico tra tutte le creature della natura, l’uomo è duplice, mortale secondo il corpo e immortale secondo la sua essenza fondamentale. (Libro I, v. 38)

 

Poiché l’uomo è un essere divino che non dovrebbe essere paragonato ad altre creature viventi sulla terra, ma a quelle che vengono dall’alto, alle creature celesti chiamate dèi. (Libro XII, v. 73)

 

Osiamo, pertanto, dire: l’uomo terrestre è un dio mortale, il dio celeste è un uomo immortale. (Libro XII, v. 76)

 

La seguente citazione è un assioma ermetico: L’uomo è un essere divino, un dio mortale. L’espressione dio mortale è, in tutta evidenza, un paradosso. La mortalità riguarda solo l’uomo terrestre: l’uomo vero è immortale. L’uomo è quindi un essere composito, un essere duplice. Quando affermiamo: «l’uomo è un essere duplice», vuol anche dire che tutti siamo esseri duplici. Conosciamo la nostra parte terrestre, ma chi è l’uomo reale?

 

Introduciamo ora le nozioni di Pimandro e di Noûs. Questi termini designano l’Anima-Spirito, l’aspetto divino in noi. Quindi, il Noûs non si riferisce al carattere o alla personalità, bensì a un aspetto immortale in noi.

 

L’Anima-Spirito, per la sua essenza, non può calarsi in un corpo terrestre senza un involucro. Infatti, il corpo terrestre non può portare una divinità talmente grande, né una forza così pura e magnifica può sopportare di essere direttamente unita a un corpo soggetto alle passioni. (Libro XII, v. 51)

 

Il Noûs è una parte del vero essere umano, non presente in noi, ma vi si può stabilire, o, com’è scritto in un altro brano del Corpus Hermeticum, può rinascere in noi. In realtà, l’essere divino e l’uomo terrestre sono, per così dire, incompatibili. Detto in altro modo: non c’è spazio per entrambi nello stesso istante. Non sono intercambiabili a nostro piacimento.

 

Nel Corpus è detto che noi, uomini terrestri, siamo sottomessi alle passioni. Siamo esseri emotivi e di questo stato conosciamo gli aspetti piacevoli e sgradevoli. Numerosi sono, però, gli esseri umani coscienti della lacerazione provocata in loro dalle discordi voci interiori. E - numerosi sono anche coloro che riconoscono la voce interiore divina e - sono in grado di tacitare il loro ego.

 

Riconoscere questa voce non è frutto dell’immaginazione. Non siamo soltanto esseri terrestri, ma anche dèi addormentati, o, come è detto nel Corpus Hermeticum, degli dèi mortali. In realtà siamo degli dèi, ma, al momento, mortali.

 

L’immortalità del vero essere umano non è intesa qui nel senso di un’anima che ritorna a Dio dopo la morte. Il viaggio di ritorno deve cominciare prima della morte. Nel Corpus Hermeticum possiamo leggere che la morte naturale conduce a una nuova incarnazione la quale, a sua volta, condurrà di nuovo, inevitabilmente, alla morte.

 

Allora, come possiamo giungere alla rinascita dell’uomo immortale?

 

Articolo tratto dalla rivista Pentagramma - Edizioni Lectorium Rosicrucianum

Scuola Internazionale della Rosacroce d'Oro

https://www.lectoriumrosicrucianum.it/

 

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Articolo pubblicato il 21/07/2018