A Di Maio il granaio, a Tria il fortino. Ora Salvini vuole Fs.

Un compromesso sblocca le nomine. Cdp a M5S per la partita investimenti. Tria ottiene al Mef Rivera, uomo dei dossier bancari di Padoan.

Ai Cinque stelle la Cdp, il grande granaio del risparmio pubblico in tempi di carestia, segnata dalla bassa crescita e dalla fine, entro l'anno, del Qe di Mario Draghi. Con la nomina ad amministratore delegato di Fabrizio Palermo, attuale direttore finanziario. Il Tesoro blindato come un fortino da Giovanni Tria, con la nomina a direttore generale di Alessandro Rivera, figura di continuità, attualmente alla guida della direzione banca e finanze.

È questo l'accordo raggiunto nel corso di un riservatissimo vertice a palazzo Chigi tra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il vicepremier Luigi Di Maio, il ministro dell'economia Giovanni Tria e il sottosegretario alla presidenza Giancarlo Giorgetti. Accordo che, nel gioco delle compensazioni, tiene aperta la questione della Rai, perché è complicato per i Cinque stelle ottenere sia Cdp che Rai, anche dando alla Lega le Fs, su cui hanno già indicato il nome di Giuseppe Bonomi, l'ex presidente degli aeroporti milanesi.

Il "Cencelli del cambiamento", dopo giorni di tensioni sulle ostinate resistenze di Tria, il ministro "troppo autonomo da palazzo Chigi" che "non fa squadra" è un nobile compromesso. Salta, al termine della più classica prova di forza durata per giorni, l'assetto che aveva in mente il ministro dell'Economia. Che prevedeva uno sdoppiamento: come amministratore delegato Dario Scannapieco, attuale vicepresidente della Banca europea degli investimenti in Italia molto stimato anche da Mario Draghi; Palermo come direttore generale.

I Cinque stelle, primo partito della coalizione di governo, riescono a imporre come amministratore delegato Fabrizio Palermo, attuale direttore finanziario di Cdp, una figura interna e stimata, non proprio un agit prop sceso dal blog con un fantasioso curriculum. Schema, quello di un unico ad, su cui è sceso in campo Caseleggio jr, che ha una visione della Cassa come di un grande centro di finanziamento di Stato, cruciale in un equilibrio governativo in cui i Cinque stelle controllano i principali ministeri "strategici" e "di spesa".

È l'unico modo per fare un po' di investimenti pubblici bypassando le ferree regole contabili di Bruxelles. Perché la Cdp infatti non è inserita nel perimetro del bilancio statale e quindi di conseguenza eventuali investimenti non vanno a incidere sui saldi, a partire da debito e deficit. I dossier, che precipiteranno sulla scrivania del nuovo ad, sono stati già elencati.

Il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli, qualche giorno fa, ha rilanciato la nazionalizzazione di Alitalia, col 51 per cento dello Stato, grazie a Cdp. Luigi Di Maio, nella sua battaglia sull'Ilva, invoca una cordata alternativa a Mittal, alimentando il retropensiero di una cordata nazionale, con la solita Cdp, già coinvolta dal precedente governo nella cordata AcciaItalia. E poi resta la vecchia idea di trasformare la Cassa in una banca pubblica di investimenti.

Dunque, i partiti piegano Tria? Non è proprio così, anzi, perché il ministro, nel corso del vertice, ottiene la nomina di Alessandro Rivera come direttore generale del Tesoro, il posto per intenderci che fu di Draghi, Grilli e Siniscalco. È forse la nomina più sorprendete. Che certifica la fine dei propositi di "grillizzazione" del Tesoro, il fortino della difesa dei conti pubblici e di un rapporto non conflittuale con l'Europa. E della retorica sulla fine dello strapotere dei tecnici che "ora devono capire che l'aria è cambiata".

Perché Rivera è una figura di assoluta continuità, già dei protagonista con Padoan della gestione dei due dossier bancari contro cui le opposizioni di allora lanciarono strali: il decreto di risoluzione di Banca Etruria e delle altre tre banche coinvolte e il decreto sulle venete. Allora Rivera guidava la direzione del Sistema bancario e finanziario del ministero del Tesoro, una delle cabine di regia nella gestione di quelle crisi. Solo un paio di settimane fa, la sola proposta del nome fu considerata una beffa, col sottosegretario Villarosa, vicino ad Elio Lannutti, l'alfiere della battaglia pentastellata sulle banche, che piombò a palazzo Chigi per impedire che se ne parlasse al cdm.

Il Tesoro al Tesoro, la Cdp ai Cinque stelle, alla Lega, secondo i ben informati, le Ferrovie, che dovranno gestire la fusione con Anas, la principale stazione appaltante del paese. Resta ancora da definire la Rai dove continua a circolare il solito schema: la presidenza in quota Lega (con Giovanna Bianchi Clerici) e una soluzione interna come ad, gradita ai Cinque Stelle (Gian Paolo Tagliavia), ma la Rai è un mondo complesso nell'ambito del vasto mondo delle nomine, perché se hai il dg, non puoi avere il Tg1 e c'è tutto il problema del "Cencelli dell'informazione e delle testate". Richiede qualche altro giorno di tempo.

huffpost.it

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Articolo pubblicato il 21/07/2018