La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

L’Albergo di Virtù (di Cristina Quaranta) – seconda parte

Il nuovo re, Carlo Emanuele III concede nel 1747, all’Albergo, ormai separato dalle rendite dell’Opera del Rifugio, 40 rubbi di sale ogni anno e l’esenzione dalla gabella sulla carne su 40 carre di vino, a patto si porti a 70 il numero degli allievi. L’esenzione si estenderà in seguito non solo per 75 persone, compresi 5 servitori, ma addirittura per 103 lavoranti.

Anni prima s’era pensato per avvicinare l’industria all’Albergo, come reciproco vantaggio, di concedere una parte dell’edificio e alcuni allievi agli imprenditori Brunetta e Benissone che producono lustrini e “veli di Bologna”.

Verso la metà del XVIII, i direttori annunciano che oltre alla manifattura di stoffe di seta, per i ragazzi apprendisti d’entrambi i sessi, sono state introdotte altre “Arti” e si determina che l’apprendistato per queste durerà, come per le stoffe di seta, sei anni.

Terminato l’apprendistato, avendo dimostrato volontà e buon comportamento, i ragazzi potranno godere di tutti i privilegi accordati ai lavoranti della seta e dopo un esame potranno divenire “mastri”.

Un esempio? L’abilità constatata dalla vedova Marianna nell’arte del velluto le permetterà per tutto il tempo che si fermerà nell’Albergo, di insegnarla agli studenti e dovranno gioire coloro che l’avranno come “maestra”, un privilegio, dunque, che sarà paragonato all’apprendistato sotto un qualsiasi altro maestro.

Sul finire del secolo troviamo una richiesta non usuale, la porge al re, il reverendo Vincenzo Poggio. Intercede a seguito della “buona disposizione dimostrata da suo fratello Nicola, nel voler apprendere un’arte, dalla quale possa ricavarne poi col tempo sussistenza, che il sacerdote non è in grado provvedere, infatti il loro padre, non ha lasciato averi e fortune sebbene abbia servito per quarant’anni lo Stato come gabelliere”.

Benché il giovane abbia abbondantemente oltrepassato l’età che gli permette d’entrare all’Albergo, lo si accetterà appena si segnalerà un posto vacante. È l’anno 1791.

L’Albergo di Virtù è ormai un istituto tutto al maschile; si continua ad accettare gratuitamente alunni dall’età di undici anni ai quattordici, di sana costituzione e di statura non inferiore a 32 once (136,96 cm.), offrendo loro ricovero, vitto ed educazione per il tempo che sarà ritenuto idoneo a imparare il mestiere scelto. Ora è richiesta almeno una mediocre abilità nel saper leggere e scrivere, e conoscenza del catechismo, avere una persona che si renda responsabile per il ragazzo ed essere provvisti un corredo anche minimo.

Le domande di ammissione dovranno essere accompagnate dalla fede di battesimo.

Sul finire del XIX secolo, i miglioramenti introdotti nella conduzione del Collegio portarono a una distinta divisione degli alloggi dai laboratori e un’ora di scuola ogni giorno per migliorare la cultura dei ragazzi, oltre la lettura corretta insieme alla calligrafia si aggiunse un corso di grammatica e aritmetica la geometria e il disegno, nozioni di meccanica. I ragazzi acquisiranno nozioni pratiche nell’arte del tessitore, la confezione di nastri e galloni di seta, calzettaio, sarto o calzolaio, cappellaio, stipettaio, fabbro-ferraio, fonditore, litografo, scultore del legno e in ultimo si aggiunge anche l’apprendistato del tipografo. Il numero degli apprendisti raggiunge le cento unità.

Cristina Quaranta

Fine della seconda parte - continua

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Articolo pubblicato il 14/08/2018