Non solo Bonucci-Higuain: il futuro del capitalismo italiano si gioca sull’asse tra Elliott e Exor.

Nel giorno in cui si consuma lo scambio di calciomercato tra Juve e Milan, ci sono altre partite economiche in cui si incrociano la finanziaria degli Agnelli e l’hedge fund di Paul Singer: la fusione FCA-Hyundai, ad esempio.

 

Il capitalismo italiano, che non è poi così italiano con buona pace dei sovranisti, ruota attorno a due E, quella di Exor e quella di Elliott; passa attraverso il calcio (e non è certo la prima volta), tra Juventus e Milan; e conduce molto lontano, in Estremo Oriente, esattamente in Corea del Sud. Speculazioni finanziere o magari colpi di sole? Non arrivate a facili conclusioni.

 

Cominciamo dal calcio. Si è concluso lo scambio Torino-Milano. Gonzalo Higuain passa al Milan con un ingaggio di 8,5 milioni l’anno, Leonardo Bonucci va alla Juventus e Mattia Caldara al Milan, difensore contro difensore. Il “Pipita” era ormai di troppo, visto l’arrivo di Cristiano Ronaldo che fa compiere un balzo alla Juve proiettandola davvero nell’empireo dei top club europei, quelli che si contendono la gran parte della torta, tra pubblicità, sponsorizzazioni, gadget, biglietti e quant’altro. È l’unica squadra italiana, ma altre vorrebbero seguire il suo esempio, senza dubbio il Milan. A questo punta il fondo Elliott e quasi certamente aprirà un capitolo che si chiama stadio di proprietà, chiave di volta nel business calcistico.

 

La Juventus guidata da Andrea Agnelli fa parte del gruppo Exor all’interno del quale dovrebbe giocare un ruolo importante in vista della costruzione di quel polo del lusso e dell’intrattenimento che è una delle gambe sulle quali John Elkann intende far correre la conglomerata finanziaria, tanto più dopo la scomparsa di Sergio Marchionne. La Ferrari è già ben posizionata con il suo marchio e con i suoi prodotti. La zebra juventina, nelle intenzioni degli eredi Agnelli, dovrebbe diventare il pendant del cavallino rampante.

 

Ma che c’entra Elliott e perché mai un fondo sovrano, sia pur “attivista”, dovrebbe diventare un patron del calcio come un De Laurentiis, un Cairo o un Lotito? L’ingresso nel Milan è avvenuto un po’ per caso un po’ per necessità, però risponde perfettamente alla strategia di Paul Elliott Singer: intervenire in aziende in crisi, ma piene di potenzialità; cambiare il management, rovesciare la governance come un guanto: rilanciare l’impresa e poi vendere o magari tenerla se produce abbastanza valore. Esattamente quel che è successo al Milan dopo che è stato svelato il bluff di Mr Li Yonghong; ma è quel che sta accadendo anche con Tim; come pure nella Hyundai. E qui torna in ballo Exor.

 

Nell’aprile scorso, Elliott aveva annunciato di essere entrato nel capitale della Hyundai Motors (che comprende anche la Kia) con l’1,5%. Il gruppo fa ancora capo alla famiglia Chung e ha cominciato una fase di riorganizzazione interna per ridurre le partecipazioni incrociate croce e delizia dei grandi conglomerati asiatici. Elliott ha contestato il piano di cessioni ritenendolo insufficiente e, a differenza da quel che è accaduto alla Samsung, questa volta è riuscito a bloccare l’intero progetto, dimostrando la sua capacità di attrarre gli azionisti istituzionali.

 

Da mesi circola sui mercati internazionali la voce che siano in corso avances se non proprio veri e propri negoziati tra la Fiat Chrysler e Hyundai per una possibile alleanza, un matrimonio, o una fusione alla pari. Fca capitalizza circa 24 miliardi di euro e Hyundai Motors 21, mentre l’intero chaebol che mette insieme dall’acciaio ai robot, dalle navi alle costruzioni, arriva a 70 miliardi. A fine giugno si era parlato persino di una opa che Hyundai avrebbe lanciato dopo l’addio di Marchionne. La scomparsa prematura di Super Sergio ha depresso gli investitori di borsa, che ora sono desiderosi di rifarsi con nuovi pingui guadagni.

 

Quale ruolo avrebbe Elliott in questa operazione? Singer potrebbe fare da intermediario, addirittura da sensale di nozze? Qui entriamo davvero nel campo delle speculazioni. La cosa certa è che il fondo americano, il più grande al mondo, con un patrimonio gestito di 34 miliardi di euro, ovunque va vuole contare, rifiuta lo status quo, crea nuovi equilibri, intende pesare nelle scelte strategiche. 

 

Lo ha fatto in Tim bloccando Vivendi, lo ha fatto in Leonardo contestando la vendita dell’Ansaldo ai giapponesi di Hitachi, lo ha fatto contro il governo argentino costretto a rimborsare tango bonds per 2,4 miliardi di dollari, dieci volte il capitale investito dal fondo. Chi sfida Singer va incontro a guai certi. In Italia si è fatto rappresentare da Paolo Scaroni, manager di lungo corso, già capo di Enel ed Eni, amico di un Silvio Berlusconi pieno di rimpianti per la vendita del Milan alla quale lo ha costretto soprattutto la figlia Marina, desiderosa di sistemare i conti di Fininvest. Scaroni è un uomo di peso e di relazioni, anche politiche, ora Elliott dice di volere che il Milan torni a contare anche sull’arena politica. Vedremo che cosa significa in concreto.

 

Quanto a Exor, la morte di Marchionne accelera la trasformazione della galassia Agnelli, soprattutto la ricerca di un partner per Fca troppo grande per occupare una nicchia, troppo piccola per sopravvivere tra colossi che sfornano dieci milioni di auto come Volkswagen, Toyota, Renault-Nissan. Nel 2015 Marchionne aveva corteggiato la General Motors, ma la top manager Mary Barra non si era fatta irretire. Da un lato lei non avrebbe mai ceduto il posto all’uomo dal maglioncino nero, dall’altra gli azionisti non gradivano la presenza ingombrante di Exor in una public company dal capitale molto diffuso. 

 

Hyundai ha un assetto diverso, con la presenza dominante di una famiglia, quella del fondatore Chung Ju-yung. Inoltre, il suo radicamento in Asia apre le porte a un mercato nel quale Fiat Chrysler non è mai riuscita a sfondare. Non diamo nulla per fatto, naturalmente. Tuttavia oggi siamo già oltre gli scenari da tavolino. Anche grazie all’attivismo di Elliott.

 

linkiesta.it

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Articolo pubblicato il 04/08/2018