Hirohito uomo della pace o della guerra?

Alessandro Mella esprime alcune considerazioni sul controverso Imperatore del Giappone

Era esattamente il 6 agosto di settant’anni fa: il bombardiere americano B29 “Enola Gay” a pieni motori solcava i cieli diretto verso il Giappone. L’ordigno, in prossimità dell’obbiettivo, scese fino ad esplodere all’altezza prestabilita e Hiroshima scomparve in pochi istanti investita, come fu, dal fuoco dell’inferno.

Un orrore di biblica memoria come l’umanità non poteva ricordarne sempre che mai realmente ne avessi conosciuti. Fu, è noto, solo la prima di due bombe atomiche lanciate per costringere il Giappone ad invocare la resa e chiudere la seconda guerra mondiale poiché la Germania, in Europa, aveva già capitolato mentre i soldati russi si aggiravano tra le macerie della cancelleria del Reich.

I giapponesi, tuttavia, non erano tedeschi. I secondi avevano agito troppo spesso per un fanatismo cieco di natura politica mentre i primi combattevano accanitamente per una fede quasi mistica che affondava le radici in duemila anni di storia e tradizioni. Non era la politica ad animarne l’azione ma l’identità, il senso d’appartenenza ad una civiltà unica al mondo per cultura e memoria.

Gli americani non avevano del tutto afferrato questo dettaglio ma sapevano benissimo che essi avrebbero combattuto fino alla fine se un evento drammatico, da molti assimilato successivamente ad un crimine di guerra, non ne avesse scosso seriamente le coscienze. Come molte altre volte nella storia non fu tanto il popolo a dividersi ma i detentori del potere.

Le redini di quel meraviglioso mondo erano tenute da una casta militare o militarista della peggior specie la quale si barricava dietro il potere imperiale. Un potere, quest’ultimo, unicamente cerimoniale e, essendo l’imperatore considerato d’origine divina, fortemente mistico al limite dell’estremismo religioso.

Al termine della guerra quel potere fu esplorato, sondato fino alle sue radici più profonde per rispondere ad una domanda precisa: Hirohito aveva responsabilità per l’attacco di Pearl Harbor e la guerra che ne seguì?

Doveva il governo americano d’occupazione processarlo unitamente ai vertici politici e militari della potenza appena battuta?

Domande cui fu difficile dare una risposta e che generarono divisioni, scontri e tensioni. Molti irresponsabili avrebbero voluto umiliare l’imperatore e condurlo sulla forca incuranti delle reazioni che ciò avrebbe generato.

I soldati avrebbero ripreso le armi, ci sarebbero stati migliaia di suicidi unitamente ad un’insurrezione generale difficilmente contenibile e gestibile dalle truppe USA in loco.

Dove stava il limite, il confine che divideva la necessità e l’opportunità politica dalla giustizia? E dove finiva la giustizia ed iniziava la vendetta cieca ed incosciente?

Prevalse, a fatica occorre aggiungere, il buon senso.

Del resto le responsabilità di Hirohito non erano verificabili, documentabili e dimostrabili. Intuibili?

Forse ma pur sempre con ragionevole e troppo alto dubbio. Vi era però una certezza. Egli aveva, le testimonianze concordano, resistito alla casta militare che invocava la prosecuzione del conflitto, e fattosi coraggio come non mai, scelse, volle ed impose la resa e quell’armistizio che avrebbe posto termine alle sofferenze del popolo giapponese od almeno non ne avrebbe generate di nuove.

Si oppose con forza, con fermezza e dignità pur conscio dei pericoli cui questa azione lo esponeva. Volle e cercò la pace a costo di essere financo assassinato.

Accettò l’armistizio, le umiliazioni, di dichiararsi di natura umana, la costituzione e tutto ciò che conseguì.

L’imperatore fu uomo guerrafondaio?

Nessuno potrà mai dirlo con certezza. Sicuramente fu l’uomo della pace e di questa fu coraggioso protagonista. La stretta di mano, resa celebre dalla storiografia, con il generale Mac Arthur fu la premessa per il salvataggio di duemila anni di storia e precedette di qualche decennio quella con il presidente Regan.

La pace, come sempre, premiò ed il Giappone riprese coraggio, si rialzò più maturo d’un tempo ma immutato nell’identità e guardò al futuro.

Hirohito si spense nel 1989 tra lodi e maledizioni lasciando dietro sé un impero politico ma anche economico.

Un impero che dopo millenni sopravvive nella quotidianità e non solo nei libri di storia. Quelli in cui lui, nel bene e nel male, lasciò un segno indelebile.

Alessandro Mella

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Articolo pubblicato il 20/08/2018