Esther a MITO

L’Accademia del Santo Spirito diretta dallo specialista Robert King presenta nell’ambito della prestigiosa rassegna musicale uno dei capolavori meno noti della prima fase della parabola creativa di Georg Friedrich Händel, un’opera di sorprendente bellezza che consente di allargare le nostre conoscenze sulla vastissima produzione del grande compositore di Halle

Dopo avere presentato nella stagione appena trascorsa due lavori di notevole spessore culturale come l’Euridice di Giulio Caccini – uno dei primi melodrammi della storia della musica – e l’oratorio La Maddalena di Alessandro Scarlatti, l’Accademia del Santo Spirito propone nell’ambito di MiTo l’8 settembre a Torino (Chiesa di San Filippo, ore 16) e il 9 a Milano (Chiesa di Sant’Alessandro in Zebedia, ore 15) un altro splendido monumento del repertorio vocale barocco, ossia Esther di Georg Friedrich Händel, uno dei lavori che consentirono al grande compositore di Halle di consolidare il suo successo presso il raffinato e assai poco indulgente pubblico londinese.

Per eseguire questo lavoro nel pieno rispetto della prassi esecutiva settecentesca, l’ensemble torinese ha scelto di affidarsi alla direzione di Robert King, uno dei massimi specialisti händeliani oggi in circolazione, che nel corso degli anni ha registrato prima per la casa discografica londinese Hyperion e poi per la sua etichetta Vivat parecchi capolavori del compositore sassone, tra cui i quasi sconosciuti – almeno alle nostre latitudini – “oratori della vittoria”, Joshua, Judas Maccabaeus, Alexander Balus e The Occasional Oratorio, che suscitarono uno straordinario clamore in occasione della loro prima esecuzione e che ebbero anche il merito di ispirare diversi autori delle generazioni successive, tra cui Ludwig van Beethoven, che scrisse una serie di variazioni sul tema del coro «See, the conqu’ring hero comes» del Judas Maccabaeus.

Più che un oratorio inglese come il Messiah (scritto un quarto di secolo più tardi), sotto il profilo stilistico Esther può essere considerato una sorta di ibrido tra l’allora già obsoleto genere del masque, la più moderna cantata pastorale e l’oratorio italiano, genere quest’ultimo che quasi un decennio prima Händel aveva affrontato brillantemente con La Resurrezione. Questa per così dire “ambiguità stilistica” può trovare spiegazione nel fatto che all’epoca di Esther il compositore era concentrato soprattutto sull’opera italiana, genere che nel 1711 gli aveva consentito di cogliere un clamoroso trionfo con il Rinaldo, e che avrebbe iniziato a porre seriamente le basi dell’oratorio inglese solo all’inizio degli anni Quaranta del XVIII secolo, dopo il fiasco della Deidamia e il definitivo tramonto dell’elaborato modello dell’opera seria.

Händel pose mano alla composizione di Esther nel 1718 per James Brydges, che l’anno successivo sarebbe stato creato da Giorgio I duca di Chandos, un gentiluomo appassionato di musica per il quale scrisse anche altre gemme, tra cui Acis and Galatea e i solenni Chandos Anthems, molti dei cui temi sarebbero in seguito riapparsi in opere e oratori, secondo la collaudata prassi di autoimprestito che costituisce una delle caratteristiche principali di Händel.

Nonostante gli sforzi degli studiosi, di questa versione messa in scena nel Palazzo di Cannons non ci è pervenuta alcuna traccia e l’Esther che conosciamo oggi deriva da una revisione – non sappiamo quanto sostanziale – effettuata due anni più tardi.

La vicenda vede protagonista Esther (soprano), un’orfana ebrea che vive con Mordecai (contralto), uno dei consiglieri più ascoltati del re di Persia Ahaseurus (controtenore), meglio noto come Assuero e da identificare storicamente con Serse, il monarca achemenide sconfitto dai Greci a Salamina.

Tra i ministri del re c’è però un uomo malvagio, Haman (basso), che istiga Ahaseurus a mettere a morte tutti gli ebrei residenti in Persia, per vendicarsi dell’oltraggio compiuto contro di lui da Mordecai, che – fedele al Dio dei suoi padri – si era rifiutato di prostrarsi di fronte a lui.

Il decreto del re di compiere questo terribile massacro giunge come un fulmine a ciel sereno tra gli ebrei, che stanno celebrando con incontenibile gioia le nozze di Esther con il re.

Mordecai si presenta alla fanciulla vestito di sacco in segno di lutto e la supplica di chiedere al marito di revocare la sua ingiusta sentenza. Esther gli rammenta però l’inappellabilità degli ordini del re e che non è possibile avvicinarsi al re senza una sua precisa richiesta, pena la morte.

In realtà, il re non nutre odio nei confronti degli ebrei e ignora del tutto l’origine della sua sposa. Nonostante il rischio mortale, per cercare di risolvere la situazione la ragazza si reca nella sala del trono per invitare il marito a un sontuoso banchetto, al quale sarebbero stati presenti anche Mordecai e Haman.

Durante il banchetto, Esther rivela al re la sua fede e gli ricorda che Mordecai gli aveva in precedenza salvato la vita sventando un complotto ordito contro di lui.

A questo punto Ahaseurus si rende conto di essere stato usato da Haman per la sua vendetta privata e ordina che venga giustiziato alla stessa forca che l’infido ministro aveva fatto preparare per Mordecai ed Esther.

L’opera si chiude nel giubilo generale, con gli inni di lode innalzati dagli ebrei all’unico Dio.

Fotografie: Accademia del Santo Spirito

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Articolo pubblicato il 05/09/2018