Appunti di viaggio in Russia (ottava puntata)
Isola di Kizhi - Costruzione delle nuove cupole, destinate alla cattedrale della Trasfigurazione

Verso il Mar Bianco, la Carelia e l’arcipelago delle isole Solovki, di Paolo Barosso

Capitale della Repubblica di Carelia è Petrozavodsk, centro di oltre 250.000 abitanti affacciato sulle sponde del lago Onega, il secondo lago d’Europa per estensione dopo il lago Ladoga, anch’esso in Carelia. Come San Pietroburgo, nuova capitale dal 1713, anche Petrozavodsk, letteralmente fabbrica di Pietro, nacque dall’iniziativa dell’imperatore Pietro il Grande, le cui doti di realizzatore echeggiano nei versi del poeta russo Pushkin che lo celebrò come “costruttore taumaturgo”.

Qui sul lago Onega lo zar installò le fonderie per i cannoni da utilizzare nella guerra contro la Svezia. La Russia, al tempo dell’ascesa di Pietro al trono, dominava su un territorio sconfinato, esteso, con le conquiste dei khanati di Kazan’, Astrachan’, Siberia (la Crimea si aggiungerà a fine Settecento con Caterina la Grande), sino all’Estremo Oriente, tanto da indurre i Cinesi nel 1689 a negoziare la fissazione del confine al fiume Kerbechi (trattato di Kerbechi). Occorreva però, per elevare la Russia al rango di grande potenza, costruire un’egemonia sul mare, e fu questo l’obiettivo di Pietro.

Dopo la conquista di Azov (1696), Pietro tentò di aprirsi la strada verso il Mar Nero, ma dovette desistere per mancanza di alleati, accettando una tregua trentennale con gli Ottomani sancita con la Pace di Costantinopoli del 1700. Sbarrata la via verso sud, l’imperatore volse lo sguardo a nord, al Mar Baltico, per sottrarne il dominio alla Svezia di re Carlo XII.

L’imperatore promosse così la costruzione di una flotta navale nei cantieri di Archangel’sk, reclutando tecnici e carpentieri dall’Occidente, e si assicurò l’alleanza di Polonia, Danimarca e dell’atamano Mazeppa, capo dei Cosacchi ucraini, che più tardi l’avrebbe però tradito. Preparato il terreno diede il via alla Grande Guerra del Nord (1700-1721) che, dopo alterne vicende, si concluse con l’umiliazione della Svezia, condannata al tramonto come grande potenza, e la vittoria della Russia, che si vide assegnate Estonia, Livonia e Finlandia, e l’agognata egemonia sul Mar Baltico.  

È questo lo scenario in cui s’inserì la fondazione di Petrozavodsk sul lago Onega, tassello di quella “via d’acqua” naturale che serviva a trasportare le navi dagli arsenali di Archangel’sk sul Mar Bianco alle coste del Mar Baltico. Nei tratti non navigabili, occorreva trascinare le navi su piste formate da tronchi.

La costruzione di un canale artificiale per i chilometri mancanti, già tentata nell’Ottocento, venne realizzata nel periodo sovietico, tra il 1931 e il 1933, per ordine di Stalin e sotto la supervisione di Kirov, pseudonimo di Kostrikov, importante funzionario di partito, che si avvalse di manodopera “gratuita”, reclutando i malcapitati, costretti a scavare a mani nude o con attrezzi rudimentali, soprattutto dal campo di detenzione speciale delle isole Solovki. Molti prigionieri, con cifre che oscillano tra 25.000 e 100.000 a seconda delle fonti, morirono nella realizzazione dell’opera, lunga 227 chilometri, battezzata “canale Stalin”, poi canale Mar Bianco-Mar Baltico o Belomorkanal in russo, ma anche Kirov non avrà sorte migliore, ucciso a colpi di pistola nel 1934 nell’ambito di un complotto forse ordito dallo stesso Stalin.  

Petrozavodsk, a differenza di altri centri dell’ex Urss, conserva in parte la toponomastica del tempo e la statuaria sovietica, ma, accanto ai vari Kirov e Lenin, campeggia ancora, presso il lungolago, l’elegante statua di Pietro Il Grande, scampata miracolosamente, forse per una forma di rispetto verso il fondatore della città, alla furia iconoclasta riversata dai Bolscevichi contro i simboli e le statue del periodo zarista.

Paolo Barosso

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 11/09/2018