Torino - "Preghiera di intercessione non è messa di guarigione"

Il collega Maurizio Scandurra spiega l’enorme differenza tra le due cose commentando con critica costruttiva

Che differenza passa tra le preghiere di domanda e intercessione di cui Gesù stesso fa in prima persona menziona, come documentano tutti e quattro gli Evangelisti. Lo spiega perfettamente Maurizio Scandurra, giornalista cattolico capace e attento in questa avvincente intervista rilasciata ad AostaCronaca.it. 

La preghiera che implora il riacquisto della salute è un’esperienza presente in ogni epoca della Chiesa, e naturalmente nel mondo attuale. Ciò che però costituisce un fenomeno per certi versi nuovo è il moltiplicarsi di riunioni di preghiera, alle volte congiunte a celebrazioni liturgiche, con lo scopo di ottenere da Dio la guarigione”.

Esordisce testualmente così il nuovo documento intitolato Disposizioni disciplinari circa le cosiddette ‘messe di guarigione’, approvato all’unanimità dai Vescovi del Piemonte e Valle D’Aosta riuniti in assemblea a Susa (To) il 18 settembre scorso, contenente alcune indicazioni sul tema pronte a entrare in vigore il prossimo 1° ottobre.

Tale provvedimento, che sta già facendo discutere prelati e fedeli, è stato ratificato da Monsignor Cesare Nosiglia, Presidente della C.E.P. (Conferenza Episcopale Piemontese) nonché Arcivescovo di Torino. E da Monsignor Franco Lovignana, Segretario del medesimo Ente e altresì Vescovo di Aosta.

Un testo destinato a suscitare non poco interesse, sul quale tra i primi interviene Maurizio Scandurra, stimato giornalista e saggista. Ma, soprattutto, cattolico e imprenditore da sempre vicino a Santa Romana Chiesa.

Ecco che cosa ha dettagliatamente e appassionatamente raccontato ai nostri microfoni.

Buongiorno, Maurizio, ci illustra questo decreto?

Quando le massime Autorità Ecclesiastiche nazionali e locali adottano misure in qualche modo cautelative, v’è sempre da chiedersi il perché. Ho massima stima e fiducia nell’operato di Loro Eccellenze Nosiglia e Lovignana. In un’epoca storica frastornata e frastagliata da fenomeni del cambiamento in atto quali l’espressione di un disagio per lo più populista o simil tale, che investe indistintamente società e uomo contemporaneo a 360°, logico presupporre che esso possa trovare naturale estensione e sfogo anche in ambito religioso.

Ci spieghi meglio, per favore.

Negli ultimi anni, nella Diocesi piemontese sono fiorite qua e là, un po’ come funghi, alcune realtà di preghiera – spesso e per lo più autonome, senza il timone di un sacerdote a esse preposte, e neanche ufficialmente riconosciute dalle Diocesi competenti - che hanno destato non poche perplessità e altrettanto viva preoccupazione. Al contrario di pochissime altre, invece, in perfetto accordo con Chiesa e Diritto Canonico, guidate da preti esemplari e timorati di Dio, e che per nulla meritano una simile, fuorviante penalizzazione.

Può farci un esempio?

Celeberrimo il caso di Domenico Fiume: 38 anni, alias Padre Gabriele, stando a quando si può liberamente e pubblicamente leggere sul web e dai giornali, vescovo ortodosso metropolita scomunicato dalla Diocesi di Asti. Un uomo divenuto mediaticamente noto nell’ottobre del 2017, anche grazie all’interessamento di importanti tv nazionali, per le frequenti ‘messe’ celebrate nel Santuario Santa Maria Rosa Mistica a Ferrere, Bricco Calosso, ridente località delle colline astigiane. All’interno delle sue affollatissime ‘celebrazioni’, della durata anche di due o più ore, anche molte presunte ‘preghiere di guarigione’, amore e misericordia, a detta di chi vi ha partecipato.

La Curia locale, al tempo, come si comportò?

L’allora Vescovo di Asti, Monsignor Francesco Ravinale, con grande afflizione ma altrettanta e dovuta fermezza, gli ha convalidato la scomunica latae sententiae. Persino la Curia Arcivescovile di Torino, nel 2001, invitava a non seguire Domenico Fiume che, come riportano sempre le cronache dell’epoca, si presentava dotato di carismi speciali. Lo stesso fecero qualche anno dopo persino quattro Vescovi del Friuli-Venezia-Giulia.

Quindi, potrebbe essere questa una delle cause all’origine di un tale provvedimento sulle cosiddette ‘messe di guarigione’?

Premesso che non sta affatto al sottoscritto esprimere giudizi o pareri di sorta e in merito su niente e nessuno, i fatti di cui alla precedente risposta di certo non sono passati inosservati agli occhi attenti e vigili dei Vescovi piemontesi. Ma quel che più conta è il discernimento, frutto del ricorso all’invocazione dello Spirito Santo, cui è necessario rivolgersi nella vita sempre, ma anche e soprattutto in ambito giuridico-ecclesiastico, specie quando ci si trova di fronte a scenari del genere su cui val bene la pena di riflettere in misura oggettiva. E mi spiego.

In che senso?

Le cronache, ahinoi, abbondano di pseudo-dentisti, giornalisti senza titolo che esercitano abusivamente la professione. Lo stesso dicasi per avvocati, ingegneri, medici, insegnanti universitari e quant’altro. Per non parlare anche dei commercialisti: celebri i casi di numerosi VIP e non, ‘allegramente’ barbati da consulenti senz’arte né parte, che semplicemente improvvisavano un mestiere millantando titoli e autorità invece mai conseguite e possedute. Per dirla con l’indimenticato Antonio Lubrano, padre della cosiddetta ‘tv di servizio’, “la domanda sorge spontanea”. O, se si preferisce, come invita sempre il caro Gigi Marzullo, “Fatevi una domanda e datevi una risposta”.

E qual è, dunque, il quesito da porsi, secondo Lei?

Possibile che per l’eventuale mala gestio di pochi, a farne le spese in Italia sia sempre la fascia più debole indifesa: ovvero, la devozione popolare, la fede autentica e perfettamente afferente e aderente alle norme del Diritto Canonico e alle Sacre Scritture?

Che risposta dà invece, Lei, Scandurra?

Leggendo integralmente, e con certosina attenzione, il documento emanato dai Vescovi piemontesi, si ha subito l’impressione di un testo sanzionatorio: e, per certi versi, fortemente limitativo su quelle che Detti Ecclesiastici definiscono ‘messe di guarigione’.

Veniamo al dunque.

Tant’è che, al primo punto dello stesso, si ribadisce il ruolo primo dell’Autorità Vescovile alla Quale, dal 1 ottobre in poi, i sacerdoti di Piemonte e Valle D’Aosta devono riferirsi per richiedere un permesso esplicito – nonché, scritto - per poter programmare celebrazioni liturgiche, con lo scopo di invocare da Dio la guarigione.

Quindi, Lei non è d’accordo?

Est modus in rebus. Pur avendo un pensiero libero e argomentato, com’è pieno diritto di ciascuno nel rispetto di ognuno, ossequio comunque l’autorità dei miei Vescovi. Ma ascolto anche il buon senso e le riflessioni critiche costruttive che lo Spirito Santo, attraverso il discernimento sopracitato, suggerisce al mio cuore e alla mia mente: come fedele, uomo e professionista. Come cristiano. In un momento storico in cui una certa parte del Clero mondiale appare non propriamente agli occhi delle masse - con mio immenso, vivo dispiacere - quale testimone credibile dell’esempio biblico di Cristo, per via delle improbe condotte personali di determinati sacerdoti che divengono preda dei media, adottare forme restrittive che rischiano di colpire invece ingiustamente prelati e ministri del culto di indubbia fede, carisma e altrettanto spiccata onestà potrebbe rischiare di ottenere l’effetto contrario.

Quale, Scandurra?

Di far perdere, come nella migliore delle diaspore, anche quei pochi fedeli che ancora credono giustamente che la Messa, così come l’intera vita di Gesù Cristo, sia un sacrificio d’Amore: che può, quando ciò rientra nell’imperscrutabile Volontà di Dio, anche guarire, proprio come narrano i Vangeli. Nel cuore di ogni celebrazione eucaristica è implicita una potenza di guarigione concretizzata dal Signore per opera dello Spirito Santo. E le preghiere di domanda e intercessione non sono altro che il riconoscimento vivo della inconsistente nullità di una comunità umana senza l’adesione e l’abbandono totale al Dio della Vita nella Santissima Trinità rispettosamente invocata e implorata.

Sia più preciso, per favore. Ci aiuti a capire.

Con piacere. Le vocazioni sono termine pressoché scomparso dal dizionario quotidiano, perché faticano a germogliare. E quelle poche di cui il Signore Gesù ci fa dono non bastano a garantire in moltissimi paesi del Piemonte neanche una Santa Messa pomeridiana feriale alle popolazioni, per lo più anziane, che vi abitano. A ciò si aggiunga che l’età media del Clero italiano riafferma il valore medio statistico nazionale in termini di ‘crisi da sovrainvecchiamento’: si accetti questo termine tout court coniato d’emblée, sic et simpliciter. Gli anni passano per tutti.

Che ci siano sempre meno preti, è un fatto oggettivo.

Se non fosse per via di qualche nuovo sacerdote di provenienza extraeuropea, oppure nato nei Paesi dell’Est, dell’America Latina e quivi ordinato, non sapremmo proprio come fare. E neanche basta a coprire nonché garantire l’esercizio del regolare culto settimanale feriale e festivo il fatto che ai sacerdoti rimasti vengano affidate più parrocchie e chiese anche distanti tra loro. Questo vuol dire che, in molte province del Piemonte, per poter assistere a una Santa Messa tutti i giorni, un fedele deve farsi almeno 70/80 chilometri in auto perché i collegamenti via treno o bus nelle località minori scarseggiano. Peregrinando così da un paese limitrofo all’altro, quando basta. E la Celebrazione Eucaristica rischierebbe, quindi, di trasformarsi in un fatto elitario per pochi eletti dotati di auto o accompagnatore, tradendo di fatto la sua naturale vocazione ecumenica.

D’accordo, ma torniamo alle ‘messe di guarigione’: che cos’è che contesta? E poi, ancora: come questa sua riflessione si lega al tema della nostra intervista?

Forse qualcuno dimentica che il Vangelo è una intera proclamazione di guarigione dalla prima all’ultima frase, dall’inizio alla fine: fatto che equipara in maniera oggettivamente incontestabile, quale minimo comune denominatore, tutti e quattro i frutti dell’opera narrativo-biografica a firma Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Proprio Gesù medesimo ha detto delle cose assolutamente straordinarie sulle preghiere di guarigione: le Sue promesse su questi due aspetti sono grandiose, uniche e così forti, che a un esame non sufficientemente attento e profondo, potrebbero persino apparire esagerate.

Può darci un riferimento ai Testi Sacri, per favore?

Esse sono riassumibili in alcune, grandi macro aree: pregare con fede, pregare con costanza, chiedere al Padre nel Suo nome, come Gesù stesso insegna. Cito a suffragio e riprova di ciò proprio le parole di Nostro Signore: “Tutto quello che chiederete con fede nella preghiera, lo otterrete” (Mt. XXI, 22). E ancora: “Ebbene io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto” (Lc. XI,9). La costanza è espressione di fede. Quando siamo costanti nel pregare, quasi sempre è perché Dio ci può esaudire, ma solo se quanto chiediamo è confacente alla Sua Volontà. La costanza è espressione di speranza, sia ben chiaro, e in questo è sinonimo perfetto di preghiera affidata e fiduciosa. Ma il punto più importante è un altro…

Quale, Scandurra?

Esso sta nel fatto che Gesù insiste nel far sì che impariamo a chiedere al Padre nel suo nome. Gesù stesso incalza e torna spesso su questo tema più volte, durante l’intero arco della sua vita terrena. “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre mio, nel mio nome ve lo conceda” (Gv. XV,16). E di nuovo: “In verità vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre mio nel mio nome egli ve la darà. Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete ed otterrete, perché la vostra gioia sia piena” (Gv. XVI, 23-24). Il cuore, il fulcro del discorso, però, è quello che viene adesso.

Curiosi di ascoltarlo.

“In verità vi dico: anche chi crede in me compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre. Qualunque cosa chiederete nel nome mio la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualcosa nel mio nome io la farò” (Gv, XIV, 12-17). In tre parole, quali sono le istruzioni che Cristo ha impartito agli apostoli e loro successori? Disposizioni ancora oggi valide anche per la Chiesa da Lui istituita? Eccole: diffondere il Vangelo dandone testimonianza con la fede e le opere sulle orme di Gesù, cacciare i demoni, guarire gli ammalati. Vogliamo forse discuterne? È parola di Dio, mica mia. Quelle che, con terminologia inappropriata, vengono genericamente chiamate ‘messe di guarigione’, servono invece soltanto a implorare fiduciosamente la Misericordia Divina a ristoro delle nostre umane miserie.

Lei, invece, come le definirebbe?

Personalmente, preferisco parlare di ‘Celebrazioni Eucaristiche’ – questo è il solo, corretto nome della Santa Messa propriamente, liturgicamente detta -, seguite da un tempo di adorazione eucaristica con preghiere di intercessione per malati, poveri e sofferenti.

Per favore, approfondisca.

Le Sacre Scritture su questo sono chiare: attraverso lo Spirito Santo, disceso sugli Apostoli nel giorno di Pentecoste, Gesù ha conferito loro molti dei suoi stessi carismi. E poiché, come narra il Vangelo di Matteo, più beati di tutti sono proprio quegli ultimi che diverranno i primi, ciò che unicamente mi preme resti di questa lunga chiacchierata è che bisogna fare un doveroso e fermo distinguo.

Quale, gentilmente?

Un conto sono i cosiddetti ‘santoni’ o presunti tali che in molte parti d’Italia potenzialmente si rifanno a titoli, insegne e investiture religiose mai ricevute o autorizzate da chi di dovere, che meritano tutta la ferma asprezza e l’allontanamento possibile, proprio perché rei di confondere le idee e di annacquare cuore e mente alle moltitudini di fedeli già gravati da mali spesso difficilmente curabili e disgrazie irreversibili anche di tipo economico e professionale, ma che con fare supplice e animo puro tutto sperano affidandosi totalmente comunque a un intervento salvifico della Divina Misericordia mossa a pietà.

Che cosa ne pensa, invece, di alcuni gruppi di preghiera cattolici inclini a forti manifestazioni di fede?

Un altro aspetto è cercare di evitare e prevenire schemi e comportamenti estetizzanti ed esteriorizzanti, eccessivi e potenzialmente fuorvianti, fondati per lo più sull’impatto scenico che essi hanno verso chi vi partecipa, come alcune specifiche ritualità ancora purtroppo in voga presso diverse comunità cosiddette del ‘Rinnovamento dello Spirito’. Preghiera è anche raccoglimento nel silenzio e nel nascondimento.

Fortuna che ovunque non è così.

Certamente. Ben altro conto è invece proibire ai sacerdoti in regola (mi si passi il termine), alla fine della Santa Messa, di poter fare una semplice, devota processione eucaristica così carica di rispetto, a seguito di un tempo di adorazione in perfetto accordo con le norme liturgiche del Diritto Canonico, con il Santissimo Sacramento debitamente esposto in un appropriato e rispettoso ostensorio, passando tra la gente in ginocchio: gente che, con gli occhi spesso densi di sincera emozione e in atteggiamento composto, genuino e riverente di totale abbandono alla potenza di Cristo, unica fonte d’amore e vero Medico della Storia, domanda in preghiera nel cuore, con uno sguardo fiducioso al passaggio di Gesù Eucaristia, con contegno, guarigione e liberazione dai mali fisici, psichici, economici, familiari, morali e sociali che la affliggono. E’ negli ultimi e negli impossibili che Dio continua a rivelare la Sua potenza, secolo dopo secolo.

Che cosa si aspetta, infine, caro Scandurra?

La dematerializzazione imperante in atto nella società che disfalda e altrettanto disgrega a fundamentis le secolari e millenarie tradizioni in valore assoluto sulle quali si arrocca la storia della fede di un popolo, tali sono e altrettanto restino, così come la banda che suona a festa nelle patronali di paese, e il suono immutabile e armonioso delle campane. Le chiese sono piene di statue di Santi con tanto di ostensorio e Santissimo Sacramento scolpiti insieme. Vorrà pur dire qualcosa, no? Santi che sono vissuti in epoche in cui la tenuta di uno Stato e la fermezza e la forza del Credo Cristiano si sono conservati e mantenuti indenni agli attacchi del Maligno più per la commozione intensa strappata al Cuore Misericordioso di Dio: che ha concesso grazie straordinarie e impensabili più per via di un atto di sincera devozione da parte di un laico o un religioso, che non per mezzo di lunghi discorsi e riti cerimoniosi frutto di trafile e fitti formulari, più assimilabili a un atto di forma che non a un gesto di fede autentica.

La sua speranza, qual è?

Evitare che venga indistintamente impedito a tutti i buoni e onesti sacerdoti piemontesi e valdostani di rivolgere un’invocazione accorata ed equilibrata all’esposizione del Santissimo Sacramento. Lasciando libero il cuore di costoro, ispirato dalla grazia dello Spirito Santo, di formulare sul momento una fiduciosa preghiera di domanda e intercessione a nome e per il bene della collettività che rappresentano, con tutte le intenzioni singole e comunitarie: fatto che non può essere in alcun modo ritenuto - e neanche lontanamente equiparato - a una forma di ‘abuso o indebita creatività’, in deroga al Rito della Messa di cui al Messale Romano attualmente vigente.

Certo che no, appare evidente…

Il Vangelo è pieno di lebbrosi, vedove, poveri, malati, samaritani e ultimi di ogni tipo che, senza tanta giurisprudenza ecclesiastica e ridondanti introduzioni formali, soltanto chiedendo prima di tutto con il cuore ricolmo di fede al loro incontrare Gesù sul loro cammino (incontro oggi simboleggiato con la processione eucaristica del Santissimo Sacramento che è Gesù Cristo vivo, presente in mezzo a noi), e poi eventualmente in un secondo momento anche con la voce, e altrettanto così appellandosi alla Misericordia di Dio, ottenevano grazie immense e inestimabili proprio per mezzo di Suo Figlio Gesù.

Per quale motivo?

Rispondo ancora una volta, da ultimo, con le parole di Nostro Signore: la loro fede li ha salvati. L’intervento della grazia presuppone un cuore puro e tutto incline alla fede. Alla fiducia in Gesù. Del resto, anche San Paolo era solito dire: “Tutto posso in Colui che mi dà forza”. Confido pertanto nella buona fede e nel buonsenso dei Vertici della Conferenza Episcopale Piemontese, perché non facciano di tutta un’erba un fascio, ma applichino caso per caso il discernimento che deriva dallo Spirito Santo, evitando contenimenti inutili in tal senso a sacerdoti meritevoli e corretti, testimoni autentici e credibili di Nostro Signore Gesù Cristo in questi difficili tempi moderni.

Disponibile a un confronto con la Conferenza Episcopale Piemontese?

Certo che sì, sono per l’unità e il dialogo che edifica e rafforza. Ben lieto, se il piacere è reciproco e condiviso, di partecipare a un incontro interpersonale con gli ugualmente stimati Monsignor Arcivescovo Cesare Nosiglia e Monsignor Vescovo Franco Lovignana su questo quanto mai più che attuale e primario tema, per il bene della Chiesa.

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Articolo pubblicato il 02/10/2018