A Torino la mostra "La Sindone e la sua Immagine"

A Palazzo Madama la storia di una reliquia cara anche alle Valli di Lanzo, di Alessandro Mella

La sera dell’11 aprile 1997 una telefonata giunse ai Vigili del Fuoco di Torino. L’audio, diffuso dai media anni dopo, rivela una voce incerta. Tale resa dallo spettacolo apocalittico che si stava certo palesando di fronte ai suoi occhi. Fuoco e fiamme si levavano dal Duomo, da Palazzo Reale. Poco dopo le telefonate si fecero via via più numerose. Non era uno scherzo e decine di squadre corsero da tutta la città, perfino dai distaccamenti volontari della provincia, dirette verso il rogo che terrorizzava i torinesi.

La Sindone, fu salva, per la seconda volta sfuggì alle fiamme divoratrici. Ma fu comunque un disastro, per ore si lottò per salvare il salvabile ma i danni si rivelarono, alla fine, incalcolabili. Tanto da richiedere 21 anni di restauri costosi e molto complessi.

Un lungo percorso che, dal 28 settembre 2018, ha restituito all’Italia un capolavoro straordinario come la cupola del Guarini. Proprio in quest’occasione è stata allestita, presso la Corte Medievale di Palazzo Madama, una magnifica mostra dal titolo “La Sindone e la sua immagine – Storia, arte e devozione”. Per chi ha il dono della fede, la Sindone rappresenta il telo in cui Giuseppe d’Arimatea raccolse le spoglie del Cristo defunto. Quel corpo che impresse la sua traccia indelebile sul candido lenzuolo. Per i più scettici, essa comunque rappresenta un prezioso reperto medievale carico di storia e memoria. Proprio questa storia secolare è il punto d’incontro.

Essa comparve, infatti, nel XIV secolo in Francia e dopo varie vicende divenne proprietà dei Duchi di Savoia che ne fecero oggetto di venerazione ma anche icona del potere. Un potere che, grazie all’abilità dei Duchi ed al loro coraggio, andò crescendo fino a portarli ad assumere, dal 1713, il titolo di Re (prima di Sicilia, poi di Sardegna ed infine d’Italia).

Con il trasferimento della capitale del Ducato da Chambery a Torino, per volontà del Duca Emanuele Filiberto nel 1563, anche la reliquia cambiò sede giungendo nella città piemontese nel 1578. Dopo varie collocazioni, essa fu posta nel 1694 nella cappella progettata dal Guarini a Palazzo Reale.

Collegata direttamente con il Duomo.

Potere e fede intrecciati in un binomio inscindibile e fortemente evocativo.

Non a caso quasi tutti i sovrani di Casa Savoia vollero solenni ostensioni nei momenti più importanti della propria millenaria dinastia.

Nel 1822 Carlo Felice per celebrare la sua ascesa al trono dopo i fatti tormentosi dell’anno precedente, nel 1842 per volontà di Carlo Alberto volendo celebrare le nozze del primogenito Vittorio Emanuele (futuro Re d’Italia), nel 1868 volute da quest’ultimo in occasione del matrimonio del figlio Umberto (poi Re Umberto I) che ne volle un’altra nel 1898 e poi per volontà di Vittorio Emanuele III nel 1931.

Non fece a tempo a volerne una il Re Umberto II che tuttavia lasciò un’impronta indelebile nella storia della Sindone. Al momento della sua scomparsa in doloroso ed infelice esilio, il sovrano volle farne dono al papa Giovanni Paolo II lasciandola, così, in eredità alla Santa Sede. Proprio per questo, oltra al contributo del Castello di Racconigi e del Museo della Sindone, fondamentale è stato il materiale reso disponibile per la mostra dalla “Fondazione Umberto II e Maria Josè” presieduta da SAR la Principessa Maria Gabriella di Savoia, benemerita e preziosa custode della storia sabauda.

La mostra merita davvero d’esser visitata poiché riassume, in un ideale percorso storico e artistico, le vicende della reliquia attraverso tutti gli aspetti. La fede, l’arte, la memorialistica, la divulgazione della sua immagine secondo le tecnologie e possibilità d’ogni tempo ed il legame fortissimo con la dinastia. Una collezione di cimeli ed opere di varia provenienza.

La storia della Sindone, del resto, si lega a tutto il Piemonte con testimonianze a lungo studiate da storici e appassionati in numerose opere divulgative. Come quelle dedicate ai percorsi sindonici nelle Valli di Lanzo ove esistono molte testimonianze raccolte in diverse opere.

La più importante, forse, si trova nel Museo d’Arte Sacra di Viù (parte del brillante, pionieristico e lungimirante progetto culturale “Lungo la Stura di Viù” nato con il Museo Civico Arnaldo Tazzetti di Usseglio).

Questo dipinto seicentesco, un tempo custodito nella Frazione Venera, rappresenta un’ostensione cui assistono, tra gli altri, Emanuele Filiberto di Savoia e suo figlio Carlo Emanuele I distinguibili dal Collare della Santissima Annunziata. Un’opera magnifica visibile a pochi chilometri da Torino.

Ma i cimeli esposti nella mostra di Palazzo Madama sono legati alle Valli di Lanzo anche da un altro aneddoto che lo scrivente ha recentemente scoperto per merito dell’articolo pubblicato sul settimanale “La Voce” del 9 ottobre 2018. Scrive, infatti, nel suo benemerito pezzo Vanni Cagnotto:

“Umberto II era suo padre (si riferisce alla Principessa Maria Gabriella, N.d.A.) e fu lui ad iniziare una collezione di opere sindoniche che conservò, sino agli inizi degli anni ’30, in Val di Viù e precisamente nella chiesetta di Biolaj, una borgata oggi abbandonata, sopra Richiaglio lungo l’antica mulattiera un tempo principale collegamento interno alla Savoia quando le Terre di Margherita erano le uniche rimaste al Ducato”. 

È innegabile come la Santa Sindone abbia condizionato la storia del Piemonte e d’Italia per secoli lasciando quell’impronta, così forte, non solo nel patrimonio culturale ma anche negli animi e nelle coscienze. Osservare i cimeli della mostra in corso a Palazzo Madama permette di fare un viaggio anche interiore. Di riscoprire se stessi e le proprie radici. Le passioni e la fede dei nostri antenati. Le loro speranze e i loro sogni spesso riposti in quell’emblematica immagine che tante domande ha fatto sorgere nell’animo di tutti noi. Anni di indagini, ricerche scientifiche dagli esiti spesso in contrasto tra loro, dibattiti e conferenze non hanno chiarito mai il mistero. E forse è bene così. La Sindone è un reperto che rappresenta tutta la collettività. Della fede per i credenti, d’arte e cultura per tutti. Un’icona che ci rappresenta perché racconta una storia secolare intrecciata a quella millenaria della Dinastia che si giocò tutto (trono, vita, avvenire e sogni) per permettere all’Italia di coronare il suo grande sogno risorgimentale: l’unità nazionale. Un motivo in più per andare a Torino a visitare “La Sindone e la sua immagine”.

Alessandro Mella

Foto dell'Autore e di Karen Giacobino

 

La mostra resterà aperta e visitabile fino al 21 gennaio 2019.

Orari:

Lunedì-domenica dalle 10 alle 18 eccetto il martedì. (Chiusura biglietteria ore 17).

Orario valido anche nei giorni 1 novembre, 8 e 26 dicembre e 6 gennaio.

Dalle 10 alle 14 nei giorni 24 e 31 dicembre.  Dal 1 gennaio dalle 14 alle 18.

Chiuso il 25 dicembre.

Palazzo Madama – Corte Medievale. Piazza Castello 10122 Torino.

Telefono 011-4433501.

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Articolo pubblicato il 14/10/2018